Commentiamo l’intervista ad Ottavio Fatica recentemente uscita su Venerdì di Repubblica. Perché è pensata per umanizzare il nuovo traduttore di Tolkien, piuttosto che per rispondere alle domande di molti?
Quando pare che le polemiche su Tolkien si siano calmate, ecco che Ottavio Fatica fa capolino dal suo studio. Prima di gridare al “finalmente”, però bisogna fare un sunto della situazione.
La polemica sulla nuova traduzione, spiegata in breve
Per chi non conoscesse il re di tutti i flame, ripercorrerò brevemente le vicende che hanno sconvolto la comunità tolkieniana negli ultimi tempi.
La casa editrice Bompiani ha richiesto una nuova traduzione per Il signore degli anelli di J. R. R. Tolkien, affidando il lavoro a Ottavio Fatica, il quale sarebbe poi stato affiancato nel lavoro dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani (AIST).
Querele, complotti e giudizi pre-lettura
Fatica, parlando del proprio lavoro con Tolkien, alla Fiera del Libro di Torino 2018, ha sottolineato come la precedente traduzione di Vittoria Alliata (poi però riveduta nei nomi propri e nelle poesie da Quirino Principe!) contenesse molti errori o scelte quantomeno discutibili. Così, Vittoria Alliata ha ben pensato di querelare Fatica, affermando poi, in una intervista a Il Giornale, che la nuova traduzione fosse frutto di un complotto comunista e mondialista, e che avrebbe reso LGBT+ l’opera di Tolkien. Questa diatriba è stata ripercorsa qui.
Quindi, all’uscita de La compagnia dell’anello, gli animi erano già agitati. La scelta di una veste grafica anonima e molto poco fantasy (da noi recensita qui!) per il primo volume non ha aiutato. Ma la situazione è precipitata quando, alle orecchie del pubblico che ancora non aveva letto il libro, era arrivata la voce della nuova resa di molti nomi propri o della Poesia dell’Anello. Così, pur senza averla letta, un numero notevole di persone ha deciso di cestinare preventivamente la nuova traduzione de La compagnia dell’anello. Abbiamo parlato di questa valanga di giudizi pre-lettura qui.
Un lungo dibattito sulla nuova traduzione
Per settimane nei gruppi tolkieniani si è dibattuto, con toni altalenanti, sulle scelte di traduzione di Ottavio Fatica, e giustamente. Perché Samwise è diventato Samplicio? E perché la Poesia dell’Anello ora è molto meno musicale? Perché alcuni nomi propri non sono stati tradotti? Perché Bilbo compie undicento anni e non centoundici? E, infine, perché Aragorn è diventato un Forestale?
Tuttavia, la maggior parte delle spiegazioni sulla scelta di determinati termini da parte di Fatica sono ancora supposizioni. Dal suo editor, Giampaolo Canzonieri, ci è arrivata la spiegazione della scelta di Samplicio. Invece, Wu Ming 4 (dei cui due laboratori all’Università di Trento abbiamo parlato qui e qui!) ha commentato le trovate stilistiche e lessicali del traduttore per la Poesia dell’Anello. Altre persone, sul Gruppo di lettura de La compagnia dell’anello, hanno discusso su ulteriori aspetti, segnalando errori e imprecisioni dove emergevano, e dubbi e perplessità su altri passaggi.
Attualmente, abbiamo abbastanza materiale da scrivere numerosi saggi sulla nuova traduzione de La compagnia dell’anello, ma ancora manca una voce molto importante per questo coro: quella di Ottavio Fatica.
Ora, su Venerdì di Repubblica, finalmente Ottavio Fatica ha rilasciato un’intervista, in cui ha commentato la traduzione de La compagnia dell’anello. Avremo finalmente risposta alle nostre domande?

Un’intervista senza vere risposte: Ottavio Fatica non scende nel dettaglio del proprio lavoro
Che l’intervista, condotta da Piero Melati, non potesse rivelarsi un saggio di 50 pagine col commentario completo di tutte le scelte, i cavilli e i punti critici della traduzione di Ottavio Fatica, era evidente. Tuttavia, almeno un accenno ad alcune delle scelte maggiormente contestate o un accenno a future spiegazioni sarebbero stati graditi.
Ottavio Fatica, sostanzialmente, racconta la traduzione di Tolkien non da un punto di vista tecnico, bensì da uno tutto umano. Sul sito di AIST si trova una buona sintesi dell’intervista, qualora vi interessasse.
Difficoltà di stile, ma ricchezza letteraria
Iniziando con un confronto tra tradurre Tolkien e tradurre Melville, Fatica è molto chiaro nell’affermare che il Professore sia una sfida molto difficile da affrontare. Laddove Moby Dick si è rivelato una traduzione difficile proprio non solo nel suo insieme, ma anche nella resa delle singole parole, Il signore degli anelli mette alla prova con la sua varietà di stili e di registri diversi.
Non solo personaggi differenti utilizzano un lessico coerente con la propria estrazione sociale, ma Tolkien tende anche ad “antichizzare la lingua”. In questo modo, il Professore si rifà a diverse tradizioni letterarie, senza disdegnare accostare una “resa più nordica” alla letteratura cavalleresca di Ariosto e Tasso. Ottavio Fatica non manca di notare anche alcuni (voluti? Fortuiti? Chissà!) parallelismi tra il ritmo narrativo di Tolkien e quello di Melville, così come la comune tendenza di Kipling e del Professore a scrivere in versi quando si esaltano.
Quindi, in generale, l’intervista ripropone a più riprese la fatica di Fatica (ha!) nel tradurre Tolkien.
È un lavoro da masochisti. Lotti, fai contorsioni, sudi sui versi e sulle rime. Ti arrabbi, bestemmi, non ti viene nulla di efficace. A volte devi aspettare un paio di giorni, anche una settimana, prima di intravedere una soluzione. Devi riflettere, studiare.
La traduzione della trilogia è quasi finita? E che dire dei “fan da curva sud”?
Ciononostante, ormai pare che Il signore degli anelli sia praticamente quasi del tutto tradotto. O almeno, così sembrerebbe quando si sente dire da Ottavio Fatica che il volume più difficile da tradurre sia stato Le due torri, mentre Il ritorno del re riprende il ritmo narrativo de La compagnia dell’anello.
In tal senso, Fatica spera che il cambio del tono narrativo de Le due torri si senta. Infatti, è importante ricordare che Tolkien ha riscritto ed esteso le vicende di Frodo, dopo aver già scritto gran parte de Il ritorno del re.
Infine, Fatica afferma di non essersi aspettato di trovare dei “fan da curva sud” tra gli amanti del Legendarium tolkieniano. Ma spera che anche i tolkieniani più schierati in favore della traduzione Alliata-Principe diano una possibilità alla nuova versione dell’opera, pur continuando a difendere il proprio “orsacchiotto di peluche”.

Un’intervista generica o un tentativo di umanizzare Ottavio Fatica?
Sul perché dell’assenza di spiegazioni specifiche e puntuali su alcune scelte di traduzione possiamo fare due ipotesi.
Innanzitutto, dobbiamo ricordarci che Venerdì di Repubblica non è una rivista specialistica né di letteratura, né di questioni nerd. Conseguentemente, forse un’intervista in cui si fosse scesi troppo nel dettaglio sarebbe stata poco fruibile per i lettori occasionali, che magari sfogliano il Venerdì per avere un’infarinatura di svariati argomenti.
In secondo luogo, reputo che un’intervista di questo genere sia stata pensata non tanto per informare i fan (o gli hater), bensì per rendere Ottavio Fatica più umano. Ecco perché si concentra così tanto sulle impressioni che Fatica ha avuto dal suo lavoro e sulla difficoltà che ha avuto nel tradurre Tolkien.
Altre due parole sulle critiche di queste settimane
In questi due mesi, ormai, Fatica si è sentito dire di tutto. Da chi lo considera un incompetente, a chi ne critica la supposta arroganza. Da chi lo paragona a Cannarsi, a chi lo rende protagonista di memini. Fino ad arrivare a chi lo insulta e basta, ovviamente.
Come avevamo detto in un precedente articolo, l’uscita della nuova traduzione de La compagnia dell’anello ha visto un’improvvisa impennata di Italiani divenuti improvvisamente esperti di traduzione. Improvvisamente, chiunque sa tradurre Tolkien facilmente, proponendo soluzioni geniali e rivelandosi espertissimo di inglese medievale.
Badate bene, non sto dicendo che non si possa criticare la traduzione di Fatica o che la si debba apprezzare per forza. Non sto nemmeno dicendo che alcune scelte del traduttore non siano state quantomeno discutibili (i Forestali in primis) o che La compagnia dell’anello non contenga sviste, errori o imprecisioni. Chi si è dimostrato effettivamente interessato al benessere dell’opera si è espresso educatamente, argomentando le proprie opinioni e portando osservazioni puntuali all’editor di Fatica. Si spera che, quando avremo finalmente Il signore degli anelli riunito in un volume unico, questi errori saranno corretti, per quanto probabilmente ci dovremo tenere i maledetti Forestali.
Ricordiamoci che tradurre Tolkien non è facile e critichiamo il lavoro ricordandoci che chi lo ha fatto è una persona
Tuttavia, c’è un’altra parte di critiche che è stata mossa non solo senza la conoscenza approfondita dell’opera di Tolkien (basti pensare a chi riteneva che Samplicio fosse scorretto perché secondo loro Samwise significava “saggio”!), ma anche senza tener conto del fatto che tradurre Tolkien non è un compito banale. Proprio per questo bisognerebbe dialogare col traduttore, confrontarsi col suo lavoro portando avanti le proprie idee. Ma comunque confrontandosi nell’ottica di un rispetto reciproco, perché tradurre Tolkien non è facile. Si potrebbe discutere per ore su come rendere una certa parola, il tono di una certa frase o il ritmo di una certa poesia.
Questa intervista serve proprio a ricordarci che no, Ottavio Fatica non ha fatto un lavoro tirato via, né si è approcciato a Tolkien con “arroganza” o con “supponenza”. Ottavio Fatica ha sbattuto e risbattuto la testa su Il signore degli anelli, ci ha smadonnato sopra e su alcune questioni probabilmente ha toppato. Ma la vita (e il lavoro) è fatta anche di queste cose.
E in un mondo di gente bravissima a fare il lavoro degli altri, a volte è utile pensare che un professionista riesce ad ammettere che no, per lui tradurre Tolkien non è facile.

Riguardo ai “fan da curva sud”
Riguardo invece alla frecciatina nei confronti dei “fan da curva sud”, dei “fan tolkieniani iperfaziosi” che difendono il loro “vecchio orsacchiotto di peluche”, non c’è molto da dire. Perché se avete bazzicato per l’internet, in questi mesi, e non vi siete semplicemente arroccati sulla vostra posizione, avrete sicuramente notato che qui Ottavio Fatica un po’ di ragione ce l’ha eccome.
Le orde di indignati della domenica, che hanno letto Tolkien almeno dieci anni fa e non hanno idea della complessità del testo originale, ci sono state. Le persone che hanno gridato “orrore!” quando il Gaffiere/il Veglio ha detto che Bilbo “ha imparato le lettere” a Sam, pensando che fosse Fatica l’analfabeta, non il vecchio hobbit, ci sono state. Le persone che hanno insultato Fatica per Samplicio “che non riprende il -wise, perché Sam è saggio sebbene sia un contadino!” ci sono state, e che eco hanno avuto!
I fan tolkieniani che aborrono anche i nomi tradotti, secondo me, meglio rispetto a prima (come Poggitumuli per Tumulilande) solo perché non sono uguali a quelli del libro sacro della loro infanzia/adolescenza esistono. Badate che non sto parlando dei perplessi che si chiedono perché Samplicio sia stato tradotto, mentre Merry e Pippin no: questi sono dubbi legittimi! Tuttavia, quando critichiamo la nuova rivisitazione di un’opera storica, dobbiamo sempre chiederci se ciò che guida la nostra critica siano i duri fatti, oppure l’effetto nostalgia.
La differenza tra fan di Tolkien critico e hooligan dell’effetto nostalgia
Perché sì, esistono i nerd che sono legatissimi all’effetto nostalgia. Sono quelli che no, non giocheranno mai a nulla di diverso da D&D 3.5. Coloro per i quali esiste solo e soltanto la trilogia originale di Star Wars (con gli Ewok accettati a malapena!), mentre tutto ciò che è stato prodotto dopo è spazzatura (sì, The Clone Wars compreso). Sono anche quelli che “che schifo il nuovo She-Ra!” a prescindere, nonostante il character design molto più curato e la storia profonda. Sono, infine, quelli che si professano fan del fantasy, ma non leggono più un fantasy da quando hanno compiuto vent’anni, rimanendo legati al loro bagaglio culturale composto (se va bene!) da Robert Jordan, Terry Brooks, Licia Troisi e Christopher Paolini. Ecco, forse hanno giusto recuperato George R. R. Martin dopo l’uscita di Game of Thrones.
E per questa tipologia di nerd, Il signore degli anelli non è un’opera di valore, da scoprire e riscoprire. È un feticcio, un tomo dell’orgoglio da esibire nella loro libreria. E, in tal senso, è proprio l’orsacchiotto di peluche di cui parla Fatica. Solo che io lo avrei definito “copertina di pile”.
Quindi, fan di Tolkien che non ami la nuova traduzione perché hai opinioni sensate: questa critica, e la critica di Fatica, non è rivolta a te. Tu vai bene, tu rendi il dibattito interessante, un’opportunità per crescere, confrontarsi e imparare. Tu hai tutto il diritto del mondo di criticare la nuova traduzione, a patto che la critica non scada nell’insulto becero.
Ma ricordati, fan di Tolkien, che fermarsi un attimo e chiedersi “ma quanto è forte l’effetto nostalgia per me?” non è un male. È una presa di coscienza matura del fatto che non siamo infallibili.

Cosa vorrei da una futura intervista a Ottavio Fatica?
Sperando che questa non sia la sola intervista che Fatica rilascerà, sarebbe il caso che le sue prossime dichiarazioni siano un po’ diverse.
Innanzitutto, sarebbe utile un commento più puntuale sulle sue scelte di traduzione, specialmente su quelle più controverse, e non parlo solo dei nomi propri. Perché ha preferito un’aderenza maggiore allo stile poetico di Tolkien, rispetto ad un adattamento più piacevole all’orecchio di un italiano? Perché sono presenti alcuni tecnicismi o arcaismi italiani per tradurre termini inglesi che non paiono troppo oscuri? Ad esempio, perché tradurre blue butterfly con licene? Perché, poi, tradurre Prancing Pony con Cavallino Inalberato e non con Pony/Cavallino Rampante? EDIT: se controllate in giro, Giampaolo Canzonieri ha de facto spiegato quest’ultima scelta di traduzione molte volte!
Io personalmente non sono risentita per la nuova traduzione, nonostante alcune scelte stilistiche non mi piacciano. In generale, infatti, la mia posizione coincide a grandi linee con quella di Claudio Testi in questo articolo. Tuttavia, credo che un confronto costruttivo su queste tematiche possa sol che giovare a tutti.
In secondo luogo, sarebbero interessanti alcune dichiarazioni più precise su quali siano stati i passaggi su cui Fatica ha bestemmiato di più. Da questa intervista, onestamente, mi è sorto il desiderio di leggere un’edizione con i commenti coloriti del traduttore, comprensivi di “qui ho lanciato il libro dalla finestra” e di disegnini di piogge di Madonne. Sicuramente, si tratterebbe di un’edizione particolarmente divertente.
Insomma, ci sono ancora molte cose, più o meno tecniche e più o meno goliardiche, che potremmo scoprire da Fatica. Certamente, spero che il traduttore si presti ad ulteriori interviste per spiegare meglio le motivazioni delle sue scelte.
8 Commento
Giampaolo
Bell’articolo, come quelli che mi è capitato di leggere finora. Solo due preciszioni e un appunto: io non sono l’editor di Fatica (magari!) ma solo il suo “consulente tolkieniano”; il mio nome è Giampaolo, con la “m”, e sul Cavallino Inalberato avrò dato spiegaioni almeno una decina di volte :-)
Antonio
Tanto per perdere tempo e pure fuori tempo, non sono d’accordo a proposito dei famosi Cavalliini Inalberati, si parla di una insegna di osteria che non ha nulla a che fare con l’araldica , dove comunque si usa l’aggettivo rampante per riferirsi a qualsiasi animale ritto sui quarti posteriori e quindi non si definisce ne impennato ne inalberato, la scelta è solo del traduttore che sceglie il termine che nel suo pensiero rende meglio l’idea. In ogni caso visto che il famoso “Cavallino Rampante” di Francesco Baracca o della Ferrari sono detti “rampanti” da sempre e quindi hanno bisogno di aggiornamento , attendiamo tutti che Fatica o i suoi fans lancino una campagna affinchè la definizione venga corretta. In realtà la scelta è stata fatta per “marcare la differenza” come in molti altri casi nella traduzione;tutto qui.
eowynscudieradirohan
Ottimo articolo. Un’edizione con i commenti colorati del traduttore :) la leggerei molto volentieri pure io. E neanche solo con i commenti di Fatica. Anche quelli di Alliata o di Principe sarebbe molto interessante a leggere.
Giampaolo
Replico volentieri qui la spiegazione. L’originale è “The prancing pony”, tradotto dall’Alliata con “Il Puledro Impennato”. Riguardo al “pony” Fatica come sempre si mantiene aderente al testo, evitando “puledro” che in italiano è in realtà un cavallo giovane e traducendo “Cavallino” visto che il pony in italiano si identifica con lo “Shetland pony” che in questo caso è fuori luogo (per quel che vale, io i pony degli hobbit me li sono sempre immaginati come degli aveglinesi). Quanto a “inalberato”, trattandosi di un’insegna Fatica si rifa all’araldica, dove il cavallino in piedi sulle zampe posteriori è definito “inalberato” (prima che qualcuno lo chieda, quello “rampante” in araldica è il leone).
Daniele Di Rubbo
Ottimo articolo!
Su di me appassionato, ci tengo solo a dire che sto proprio evitando a tutti i costi di cadere nel caro vecchio effetto nostalgia, piaga della sottocultura nerd e, a ben vedere, di molti altri campi.
Simone Maccapani
Hai assolutamente ragione.
Kelo
Brava come sempre, Gloria! Attendiamo nuovi sviluppi allora – e, nel frattempo, che se ne continui a parlare; purché i toni siano quelli da te auspicati! :)