Sinners conquista un sorprendente 98% di media su Rotten Tomatoes da parte della critica. Il nuovo horror di Ryan Coogler (Judas and the Black Messiah, Black Panther, Wakanda Forever, Creed) si conferma ancora una volta vincente. Pochi come lui sanno scrivere una sceneggiatura in grado di resistere all’inclemente passare del tempo.
Sinners: un po’ di storia
Due gemelli, Elijah “Smoke” e Elias “Stack” Moore, tornano nella loro città natale Clarksdale, nello stato del Missisipi, da Chicago dopo aver fatto i soldi. Si presentano vestiti come bianchi, con denaro da spendere, eppure niente può cambiare il colore della loro pelle e come questa venga percepita dagli altri. Al loro fianco il cugino, Sammie, giovane, sognatore, figlio del pastore della zona. Solo che lui non vuole seguire le orme del padre, ma spiegare le ali ed essere libero.
Sinners trasporta lo spettatore nel profondo sud degli Stati uniti agli inizi del secolo scorso. Le piantagioni sono ovunque e coloro che non sono più schiavi ancora raccolgono cotone per pochi spiccioli. L’unico riparo dal sole cocente è rappresentato dalla piccola chiesa, che altro non è che una diversa catena. Forse più leggera da indossare perché dona l’illusione di essere una libera scelta.
È in questo scenario che si muovono i protagonisti del film. Un film corale, sì, ma che fin da subito inquadra i personaggi principali.
Coogler conosce bene il proprio lavoro e le basi dello storytelling. Non lo nasconde, anzi lo esalta in ogni parola scritta ed ogni scena girata.
Lo si capisce dal modo in cui crea l’illusione che tutti i personaggi sullo schermo siano protagonisti in qualche modo, ma la realtà è un’altra. Lo spettatore crede di conoscere i personaggi sullo schermo e ha la sensazione che siano tutti fondamentali. Tutti mossi dalla spinta di un riscatto interiore, quando in realtà sono archetipi realizzati così bene da sembrare veri e completi.
I personaggi di supporto sono mossi dalla ricerca di qualcosa di universale. Solo i veri protagonisti uniscono a questa spinta anche il lato personale, creando la vera unicità di Sinners.
La differenza tra universale e personale: Sinners
Tutti cercano un luogo a cui appartenere. Una famiglia che li accetti per quello che sono e dove possano essere liberi.
I protagonisti di Sinners vogliono le stesse cose, ma con l’aggiunta di qualcos’altro…
La famiglia che hanno perduto con la morte del figlio appena nato. Loro esistono, sì, ma con l’impossibilità di vivere lo stesso dolore accanto alla donna che hanno amato. Soprattutto perché non la sanno confortare davanti ad una perdita così straziante.
L’amore della donna per cui brucerebbero il mondo, ma che rappresenta una debolezza in un mondo che non perdona.
Eppure amarla vuol anche dire privarla della possibilità di una vita diversa. Forse anche migliore, perché lei può passare per bianca grazie al suo sangue misto.
E ancora il desiderio di essere liberi in una società che ancora si rifiuta di riconoscere che tutti gli esseri umani sono uguali. Ma anche il sogno di essere liberi da un padre che, per troppo amore e per paura di quello che il mondo potrebbe fargli, vorrebbe il suo unico figlio maschio chiuso nella gabbia dorata rappresentata dalla chiesa.
La musica, il motore traente del film
Il cantare è proprio di chi ama e chi Canta prega due volte.
Sant’Agostino
Sammie trova la sua libertà nella musica che il padre così tanto teme.
Musica che può guarire, ma che può anche attrarre il male, quello che non sa creare ma solo distruggere. Musica che può infrangere il velo tra passato, presente e futuro.
Si assiste ad una trasformazione della Musica. Già veicolo di segreta comunicazione tra coloro che sono ridotti in catene, usata davanti ai padroni bianchi che non parlano altra lingua se non la propria. Adesso diventa veicolo di comunicazione tra diverse culture. Questa è la vera potenza della Musica incarnata dai protagonisti.
Bandita, repressa, innalzata da voci angeliche per celebrare la gloria di Dio. Si può fare di tutto alla musica, ma di certo non la si può fermare!
La Musica è libertà, e Sammie non può incatenare e richiuderla su un altare. La musica dona sì libertà, ma la pretende anche. Dunque Sammie deve trovare qualcosa di nuovo, di sconosciuto, che inebri e atterrisca allo stesso tempo.
Il viaggio di Sammie verso la libertà, non è altro che la metafora della spinta che l’umanità anela.
Il sapore agrodolce delle vittorie pagate a caro prezzo
Ancora una volta Coogler dimostra di conoscere e padroneggiare le regole della narrazione filmica. Ma nono solo, anche di conoscere i modi per infrangerle senza che lo spettatore si senti costretto a seguire la direzione indicata. Per tutta la durata di Sinners, chi vi assiste si sente libero di interpretare quello che accade, senza il peso di una direzione che potrebbe risultare saccente.
Per tutto lo svolgersi dell’azione i protagonisti hanno la speranza concreta di poter ottenere quello che vogliono davvero. Sì, anche il padre che ha perso il proprio figlio. L’azione si svolge pur sempre in Missisipi, eppure, in un crescendo costante di tensione, c’è la sensazione sempre più oppressiva che il prezzo da pagare sarà troppo alto…
Il regista sa che la vita è agrodolce e che i film che più risuonano con lo spettatore sono quelli in cui le vittorie avvengono, ma sono bilanciate da perdite strazianti.
Il solo modo per avere indietro la famiglia perduta? Ricongiungersi a loro nel mondo degli spiriti. Il prezzo da pagare? La morte, ma anche la consapevolezza che il fratello ha scelto un’altra strada, una sulla quale non può seguirlo.
Quando il fratello è perduto, trasformato in altro, in qualcosa che non può trovare riposo, e la sua esistenza non è più legata alla propria, è finalmente giunto il momento di riposare. Ma non prima di aver consumato la propria vendetta personale.
Il modo per vivere quell’amore che neanche la morte è riuscito a distruggere? Vivere in eterno, costretti a guardare il mondo che cambia intorno a loro. Ormai immutati e immutabili, in attesa che un giorno le cose possano cambiare abbastanza da permettere ad una coppia come la loro di vivere senza il giudizio degli altri a gravare sulle loro spalle.
Forse però, all’occhio dello spettatore, il sacrificio più grande è quello a cui è chiamato Sammie.
Per ottenere quella libertà che la musica può offrire deve perdere tutto e senza alcuna certezza.
Tutto ciò che ha amato e conosciuto, la famiglia che lo ha reso libero di essere se stesso e lo ha compreso, anche nella sua folle idea di voler fare musica come spinta che viene da qualcosa di più grande di noi, viene distrutto sotto i suoi occhi.

Sinners: Un horror che torna alle origini
L’universale si incontra, si scontra e diventa una cosa sola con il personale in questo horror che torna alle origini stesse del genere.
L’horror come denuncia che senza temere la censura parla di quello che la società non vuole vedere.
E la denuncia più feroce che Sinners fa, a distanza di 160 anni dall’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, è contro il razzismo. Un cancro della nostra società che, inserendosi in ogni aspetto della vita, ne impedisce l’evoluzione.
È di questo che il film parla davvero e lo fa non solo tramite le storie, personali ed interconnesse, dei vari personaggi, ma anche con l’ambientazione.
I gemelli tornano dopo aver fatto fortuna, ma mentre i loro soldi non hanno colore la loro pelle è ancora sbagliata.
Come si combatte il male, quando questo non sembra disposto ad ascoltare? Con un male ancora maggiore.
E mentre un gruppo di cacciatori nativi insegue una creatura che sembra umana e cerca riparo dal sole, la creatura bussa alla porta della casa sbagliata, o, in questo caso, di quella giusta…
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Accolta da fucili spianati, lo spettatore vede, tramite gli occhi dell’uomo inseguito, una cappa bianca e l’inconfondibile cappuccio dello stesso colore.
Accolto in casa perché del colore giusto, quella stessa attenzione non viene concessa ai cacciatori che cercano di avvertire del pericolo.
Non c’è salvezza per chi non vuole essere salvato ed i cacciatori se ne vanno, senza atti di eroismo, perché non è il loro film. Hanno fatto la loro parte nella storia. Ci sono altre creature a cui dare la caccia. Queste non sono più un loro problema.
Si ribaltano le regole d’ingaggio dettate da La notte dei morti viventi di George A. Romero. In quel “lontano” 1968, l’unico personaggio che sopravviveva agli zombies era quello di colore. Per poi venire ucciso dalla guardia nazionale mentre cerca di dire loro di essere un essere umano.
Se ancora una volta la guerra senza fine tra bene e male diventa anche guerra sociale, questa volta è un personaggio di colore ad essere il solo a sopravvivere.
La colonna sonora diventa personaggio protagonista
Esistono uomini nati con il dono di fare musica. Una musica così potente da infrangere il velo tra il nostro mondo e quello degli spiriti. Così potente da poter guarire… Ma uomini del genere attraggono anche il male.
A fare da sottofondo a questa guerra, c’è nuovamente lei, la musica. La colonna sonora diventa così la protagonista di questa narrazione sottile. Grazie ad una scelta accurata e studiata riesce a sottolineare i momenti più importanti del film senza dare allo spettatore la sensazione di essere manipolato.
Il Blues che nasce dall’anima di chi lo suona e parla ai cuori di tutti. Espressione del dolore di chi non può essere libero, incontra il ritmo delle percussioni e della danza rituale che apre un canale di comunicazione non solo con il proprio passato, ma creano una connessione che trasporta la musica anche nel presente, fino ai giorni nostri. Si gettano così le basi per generi come il RAP che altro non è che una nuova forma di denuncia contro le ingiustizie subite per la sola colpa di avere la pelle ancore una volta del colore che sembra essere sbagliato.
Il Male è invece rappresentato da una musica slegata, estranea, che non appartiene a questo luogo e, che non avendo connessioni con il proprio passato, non può sperare di avere un futuro.
Una musica che a poco a poco diviene cacofonia e costringe tutti a muoversi ad un ritmo innaturale, che niente ha a che vedere con le proprie radici culturali. Un ritmo sterile che nasce e muore nel presente.
Anche negli ingranaggi meglio oleati ci sono degli intoppi
È del poeta il fin la meraviglia chi non sa far stupir, vada alla striglia.
Giovanbattista Marino
C’è una scena che davvero stona nella narrazione del film. Certo lo spettatore è abituato al concetto del lupo solitario che non ha più niente da perdere, ma a tutto c’è un limite!
Questo nuovo momento di rottura avviene in un modo imprevisto che risulta un cazzotto in un occhio, come se fosse una scena montata in questo film per errore.
Sotto gli occhi dello spettatore il protagonista si trasforma in Rambo.
Quando il KKK arriva per far pagare con la vita l’aver osato pensare di poter cambiare la propria condizione sociale, è accolto da un cecchino nascosto nella folta vegetazione.
C’è anche un momento di gloria per il celebre Thompson, tipico di tutti i film di gangsters, quando il mitra prende il posto del fucile di precisione.
Non manca neanche la bomba a mano, lanciata nell’unico camion che cerca di lasciare la scena del massacro quando le cose non vanno come si poteva immaginare…
Una scena così disgiunta e a tratti surreale da sembrare presa da un altro film.
Solo dopo un po’ di tempo, necessario per digerire il tutto, se ne comprende il senso.
È l’ultimo atto dell’eroe morente che prima di poter ottenere la sua ricompensa ultraterrena deve ergersi un’ultima volta contro il male, questa volta reale ed umano, ma non per questo meno demoniaco.
La realizzazione però lascia la sensazione che si sia cercata la soluzione più estrema solo per giocare con le emozioni dello spettatore.

Sinners: La scena post credits
Dal sapore vagamente Marveliano, questa scena potrebbe influire sulla decisione dello spettatore e rendere il film un capolavoro o un flop di dimensioni inenarrabili.
Sinners possiede una narrazione circolare all’apparenza perfetta. Tutte le sottotrame, sia quelle soprannaturali che quelle umane, raggiungono la propria conclusione. Tutte tranne una.
Che cosa è successo a Sammie?
Per trovare risposta a questa domanda lo spettatore, inaspettatamente, si ritrova a Chicago in epoca moderna.
Sul palco un gruppo blues, il cui leader, dalla voce possente e calda nonostante l’età, mostra sul volto cicatrici che lo spettatore non può non riconoscere.
Lasciate da artigli crudeli di colui che voleva commettere l’ultima e peggiore forma di violazione. Pretendendo la più totale forma di sottomissione.
La creatura non poteva creare musica. La sua gente era perduta per sempre, per questo voleva Sammie.
La violazione estrema del proprio io, della propria natura sta proprio nel fatto che chi viene trasformato perde l’autonomia sui propri ricordi, sulla parte più intima del proprio essere. I ricordi diventano proprietà di tutti, perdendo così la propria unicità e la potenza che contengono, fino a diventare niente.
Il vampirismo divine dunque metafora del colonialismo che tende a distruggere ciò che rende unico l’altro.
Sammie è sul palco. Ha vissuto una vita completa, come voleva, ma è questa dunque la fine?
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Quando tutto sembra perduto ed il film destinato a finire nella lista di quei titoli che avevano una grande potenzialità concettuale, ma la cui realizzazione non era stata all’altezza delle aspettative, ecco l’ultimo colpo di scena.
Qualcuno chiede di Sammie, e Sammie, forte sì, ma stanco decide di vedere chi è che chiede di lui.
Quel giorno, prima del calare del sole, sono stato davvero felice per la prima volta.
Sammie
La verità che ogni uomo conosce, ma che non vuole ammettere. Nella vita la felicità non è mai un qualcosa di prolungato nel tempo. È così preziosa proprio perché rara, tanto da poter essere trovata davvero anche in un solo istante, che diviene prezioso ricordo per tutto il resto della vita.
Questa confessione viene fatta ad uno dei gemelli, il solo a non essere stato trasformato non per odio, ma per amore. Il solo, con la sua compagna, a non essere stato distrutto quando il loro creatore è stato bruciato dal sole.
Quella notte, anche se è stata l’ultima volta che ho visto mio fratello, l’ultima volta che ho visto il sole, quella notte, per poche ore, sono stato davvero libero.
Libero di essere se stesso. Indipendete con la famiglia di sangue, ma anche con quella che si è scelto di costruirsi nell’arco della vita. Affrancato come solo un essere umano può desiderare di essere.
E così il cerchio della narrazione si conclude davvero. Ancora una volta il personale che si unisce all’universale in un messaggio che raggiunge tutti. Travalica i confini di razza e di status sociale unificando tutti nella definizione più pura di umanità.
Sinenrs: Conclusioni
Sinners è un film da vedere con mente aperta.
Per gli amanti del genere horror che conoscono il suo significato più profondo.
E anche per gli amanti dei vampiri. Apprezzeranno sicuramente la classica metafora che li vede depositari di isolamente ed emarginazione. Ma non disdegneranno di vederli rappresentati anche come creature crudeli e senza rimpianti. Intrappolati in un tempo che non è il loro, circondati dal mondo che cambia mentre loro rimangono sempre uguali a se stessi. Furiosi per quello che non possono fare nonostante i poteri che possiedono.
Un film adatto a chi è interessato a scoprire come le parole di Tomasi di Lampedusa – Cambiare tutto perché niente cambi – risuonino ancora tristemente vere in una società come quella americana che, in ambito sociale, non è ancora riuscita a lasciarsi alle spalle il KKK e gli orrori della schiavitù.
Per chi ama la musica e crede nel suo potere comunicativo. Per chi crede che possa guarire ed avvicinare anche le persone più diverse.
Sinners farà sicuramente arrabbiare, ma anche riflettere molto. Merce rara ai giorni nostri!
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