Ecco un breve riassunto di uno dei talk del FabCon 2020, tutto dedicato al tema Italian Game Design, moderato dalla Cercatrice G e con tanti esperti del settore!
Sabato scorso si è tenuta la terza talk online del Fabcon 2020, dedicata a un tema molto sentito nella nostra community: il game design italiano, da cui il titolo Italian Game Design
Come già vi avevamo anticipato in questo articolo, la talk Italian Game Design ha visto come relatori e relatrici personalità della community del gdr italiano esperte sia di Kickstarter, sia di creazione di giochi di ruolo e ambientazioni per gdr. Sono stati ospiti del talk diversi creatori italiani di giochi di ruolo: il creatore di Not the End, Claudio Serena di Fumble GDR, il creatore di Nightfell, Angelo Peluso, e il creatore di Historia, Mirko Failoni. In qualità di esperti di Kickstarter italiani e di divulgatori, abbiamo avuto anche Chiara Listo e Giuseppe Vitale di Morgengabe.
Vediamo cosa ci siamo detti durante il talk su Italian Game Design!
Se volete vedere il video della live, cliccate qui!
Italian Game Design: approfondimento sui Kickstarter italiani
La talk Italian Game Design si è aperta con una serie di domande della Cercatrice G, moderatrice della tavola rotonda, sulle caratteristiche e la struttura dei Kickstarter italiani a cui i relatori hanno partecipato. Basandosi anche sui dati raccolti da Eugenio Lauro in questo articolo, si è visto che i giochi di ruolo italiani lanciati su Kickstarter sono più che raddoppiati nel 2019, e nel 2020 si sono registrati alcuni titoli con entrate da record.
Per capire meglio le strategie, le sfide e le caratteristiche dei Kickstarter italiani di giochi di ruolo, ho fatto ai relatori e alle relatrici una serie di domande sul tema.
NB: le citazioni non riportano parola per parola ciò che i relatori e le relatrici della talk Italian Game Design hanno detto, ma ne sono un mero riassunto. Consiglio di visionare il video del talk per avere la versione estesa dei loro interventi.
Ai Morgengabe: secondo voi, in cosa i Kickstarter italiani si differenziano da quelli esteri? E invece, quali sono le lezioni migliori che abbiamo imparato dai Kickstarter esteri?
Poiché i Morgengabe si occupano di Kickstarter da un punto di vista professionale e tengono anche una newsletter sulle campagne di crowdfunding attive, col tempo si sono fatti un’idea piuttosto precisa su come si strutturi un Kickstarter di successo.
I kickstarter italiani si sono professionalizzati sempre di più. Siamo partiti da progetti con molto entusiasmo, ma senza grandi strategie dietro, per arrivare a progetti con un comparto grafico, artistico e di marketing notevoli. Abbiamo imparato molto dagli americani, che sono maestri di questo.
Oggi, progetti come Nightfell non hanno nulla da invidiare ai progetti americani come Blades in the Dark o Savage World. Anzi, ormai dal punto di vista del comparto grafico e artistico li battiamo persino, cosa che qualche anno fa non sarebbe stato possibile.
Di differenze non ce ne sono molte, ma abbiamo imparato a osare, studiando i Kickstarter esteri. Poi c’è una grossa differenza tra il Kickstarter pensato solo per il mercato italiano e quello multilingua. C’è una differenza di budget, di persone che si vuol raggiungere e anche di investimento. Infatti, raggiungere il pubblico americano attraverso la pubblicità costa molto di più, perché gli USA sono enormi. Una delle grandi difficoltà degli autori italiani è raggiungere i cuori degli americani, perché non siamo alle loro fiere e non abbiamo un rapporto diretto con i fan oltreoceano.
A Claudio Serena: in tal senso, perché voi vi siete rivolti solo al pubblico italiano e quali sono stati i vantaggi di questa strategia?
Quello di Not the End è stato il nostro primo Kickstarter, e quindi era una zona ignota. Quindi, siamo andati nella zona meno ignota della zona ignota: l’Italia. Qua avevamo una community solida, nata col podcast negli anni. Conoscevamo un sacco di gente, chi frequentava le fiere, altri autori ed editori. Quindi ci sentivamo di andare un po’ più sicuri limitandoci all’Italia.
Inoltre, un altro fattore che ci ha fatto propendere per l’Italia era la logistica, ossia il gestire le spedizioni. In Italia già sono state difficili per il Covid, quest’anno, ma anche eventuali spedizioni all’estero sarebbero state complesse. Quindi, per fortuna ci siamo limitati all’Italia, perché il Kickstarter è finito quando è iniziata la pandemia globale. È stato già traumatico gestire le spedizioni in Italia con la quarantena, gestire anche quelle estere sarebbe stato impossibile.
Anche per questo abbiamo preferito fare un Kickstarter solo italiano, sapendo che poi avremmo potuto farne uno anche per l’estero.
A Angelo Peluso: perché vi siete rivolti anche al pubblico internazionale e quali sono stati i vantaggi di questa strategia?
Il mio ragionamento è stato leggermente inverso rispetto a quello di Claudio. Io non partivo con una fanbase, perché innanzitutto sono un illustratore, e inoltre non sono una persona che si espone molto. Quindi, se lo devo fare, provo a fare qualcosa che potrebbe darmi una maggiore longevità sul lungo periodo, e quindi puntare sull’estero perché potrebbe darmi un pubblico parecchio maggiore.
Quando proposi a Mana Project il progetto, effettivamente, quella di Nightfell è un’ambientazione “da americani”, ossia quelle ambientazioni che, nel corso della storia, hanno fatto scalpore negli USA. Mi ha fatto molto piacere quando alcuni lo hanno paragonato a Ravenloft. Involontariamente, Nightfell è andato a coprire un leggero buco di mercato negli USA, andando a prendere il pubblico appassionato di fantasy classico e di horror.
Questa ricezione positiva mi ha fatto piacere, perché è da oltre un anno che lavoro su questo progetto, scrivendo, disegnando e facendo worldbuilding per Nightfell. Al di là del risultato economico, che mi darà la possibilità di realizzare il progetto nel modo più liscio possibile, è la gioia di vedere tutte queste persone che si sono appassionate a qualcosa di mio che dà più soddisfazione.
A Mirko Failoni: Quali sono le tue fonti per i tuoi disegni su Historia? Da dove nasce la tua passione per il disegno di personaggi che già dall’immagine raccontano una storia?
Una delle caratteristiche che secondo me rende i manuali dei KS italiani pregiati è l’estetica, e in particolare i disegni, che da soli sono capaci di dare l’idea della storia che un gioco di ruolo vuole raccontare. In particolare, le illustrazioni sono il punto forte di un titolo come Historia.
Historia non è nata come un gioco per giocare animali antropomorfi “for the sake of giocare animali antropomorfi”. Historia è nata per giocare personaggi archetipici. Io ho dei gusti ben precisi e volevo dare un feeling ben preciso al progetto.
Essendo appassionato di storia e di costume, la cosa traspare. Non volevo che Historia desse l’idea di un Medioevo fantasy classico, ma che avesse la sua identità. I miei riferimenti sono svariati, potrei citare film di animazione, artisti, o altri gdr. Come in qualsiasi creazione artistica, ci sono le mie esperienze passate, i miei gusti, la mia professione e la mia formazione.
Italian Game Design: sistema di gioco originale o ambientazione per D&D5e?
Il dibattito sull’uso (e forse anche sull’abuso) della quinta edizione di Dungeons&Dragons per la creazione di nuovi giochi di ruolo e nuove ambientazioni è sempre molto caldo. Vediamo cosa ne pensano i nostri relatori e le nostre relatrici.
Morgengabe: due prodotti validi, ma con strategie di vendita diverse
Noi abbiamo lavorato sia su progetti basati su D&D, sia su progetti molto più indie e autoriali. Sono due prodotti molto diversi, entrambi validissimi. Riuscire a vendere uno è molto diverso dal riuscire a vendere l’altro.
Intanto, con un prodotto sconosciuto che non si appoggi a un altro gioco famoso, parti da zero. La prima cosa che devi fare è farti conoscere per la particolarità del tuo sistema o della tua ambientazione. Devi capire a quale nicchia di giocatori ti vuoi rivolgere, e non è così immediato. Dovrai lavorare molto di più.
Se invece ti appoggi a un sistema già famoso, avrai già una nicchia di giocatori interessati e dovrai lavorare di più sul colore che gli vuoi dare. Devi far apprezzare l’ambientazione tanto quanto il sistema. In questo modo però ti precludi anche alcune persone. Mentre con un sistema nuovo potenzialmente non ti precludi nessuno, finché non provano il gioco; basandoti su un sistema già esistente ti precludi chi questo sistema non lo apprezza.
In ogni caso, la fanbase è fondamentale. Senza la fanbase, è difficile che qualcuno sappia addirittura che tu stai facendo il Kickstarter. Tante persone non del mestiere pensano che il lavoro sul Kickstarter lo fai dopo che hai pubblicato la campagna di crowdfunding. Ma in realtà l’80% del lavoro sul Kickstarter non lo vedi, perché lo hai fatto prima del lancio: quando hai fatto provare il gioco, lo hai portato in giro e lo hai fatto conoscere. Generalmente, quando il Kickstarter viene lanciato, gran parte del lavoro è stato già fatto e sai già che con quel Kickstarter farai un certo numero di soldi.
Claudio Serena: solo sistemi originali
Fumble GDR ha pubblicato solo giochi con sistemi originali, perché è nel nostro manifesto. Per una mia fissazione personale, per me fare un’ambientazione non è fare un gioco. Quindi, per una questione puramente semantica, io preferisco i sistemi originali, perché così posso dire “ho fatto il gioco su una certa cosa”.
Inoltre, mi piace testare e portare al limite i sistemi di gioco. Il punto forte di fare un sistema originale (e non un sistema generico, perché nemmeno Not the End è generico!) è il togliere cose necessarie in un sistema generico e il potersi concentrare sulle parti importanti che possono trasmettere un tono, un mondo e una narrazione ben precisa. Lo abbiamo fatto con Not the End, con Gattai! e con Monogatari, che si concentrano su tematiche precise.
Angelo Peluso: grossa fanbase, ma molta competizione
Io per primo dico che Nightfell è un’ambientazione di D&D, più che un gioco di ruolo. Semanticamente, Claudio ha ragione. La cosa che più premeva a me era proprio il creare un’ambientazione, creature, etnie, religioni e simili.
Il bacino di utenza di D&D, secondo me, è un’arma a doppio taglio. C’è un bacino di utenza molto grande, consolidato e radicato, che aspetta prodotti di questo tipo. Il problema è che per la quinta edizione c’è la qualunque, tra espansioni, oggettistica, poteri o ambientazioni. Qua devi sgomitare per spiccare in mezzo a un mare magnum incredibile. Quindi sì, selezioni un target specifico, ma devi convincerli di star facendo qualcosa di veramente valido che non sia come le altre dodicimila cose già uscite.
Io non so dire esattamente perché Nightfell abbia avuto questo successo, ma evidentemente è piaciuto a gente con i miei stessi gusti e che vuole da D&D quello che voglio anch’io. Molto semplicemente, sono andato dalla gente come me.
Mirko Failoni: una via di mezzo
In un certo senso, Historia è a metà. È basato sull’open game licence di D&D, ma abbiamo fatto la scelta di non fare un add-on, ma un’hack di D&D. Le classi di Historia non sono archetipi da aggiungere alle classi di D&D, ma abbiamo creato delle classi apposite. Ci sono delle meccaniche particolari fatte per l’ambientazione, perché la mia idea all’interno del libro era abbastanza specifica.
Quindi, per arrivare al gioco, abbiamo adattato D&D all’ambientazione e l’ambientazione a D&D. Abbiamo cercato di arrivare a un middle ground per sposare le due visioni. D&D dà accesso a un bacino di utenza grande, come dicevamo, però per il tipo di ambientazione di Historia alcune cose non potevano andare bene, proprio per una scelta stilistica e di mood. All’interno di Historia una cosa come un Monaco stonerebbe, per esempio. Una classe come il Monaco stonerebbe in un’ambientazione basata sull’Italia dei Comuni e Rinascimentale. Quindi abbiamo ricostruito le classi da zero, dal livello 1 al livello 20, che si sposano al setting.
Non nascondo che mi piacerebbe fare, un giorno, un sistema proprietario per il gioco di Historia, per esplorare alcune questioni di worldbuilding che D&D non supporta. Mi piacerebbe un sistema che non veda tutte le classi con lo stesso livello di potere, ma che abbia differenze meccaniche tra personaggi di ceti sociali diversi, cosa che D&D non permette di fare.
Appello a non creare il campionato di calcio dei Kickstarter italiani
Angelo Peluso nota che si respira un’aria di competizione immotivata, che spinge chi fa un Kickstarter a dover avere risultati per forza migliori di quelli degli altri.
Il Kickstarter serve come proiezione di quanto sei riuscito a raggiungere il tuo pubblico. Quindi è una soddisfazione personale, non comunitaria. Non è la vittoria di un campionato. Non so come, ma è iniziata a scattare una competitività tossica di essere il Kickstarter italiano meglio riuscito.
Quello che voglio dire io è che già fare un Kickstarter è un dito nel c*lo enorme, di lavoro e preparazione costante. Quindi, se dobbiamo aggiungerci altro stress, è inutile. Mi pare che ci sia una generale voglia di fare il campionato dei Kickstarter a chi guadagna di più. Tra un po’ faranno il fanta-Kickstarter italiano, con gente che punterà su uno o su un altro.
Le impressioni di Claudio Serena e Morgengabe
Claudio Serena ammette che un po’ sono stati anche loro di Fumble GDR a iniziare questo trend, perché erano stupiti dei risultati che stavano raggiungendo.
Un po’, il dire che Not the End era il Kickstarter che aveva fatto più backer e più soldi è una questione di marketing. Forse qualcuno lo ha vissuto come tossico. Ma con i ragazzi di Broken Compass non lo abbiamo percepito come tossico e facevamo delle battute con loro, anche pubblicamente. Eravamo un po’ i “grandi dei piccoli”, perché eravamo il più grande Kickstarter, ma solo in italiano. Quindi c’era sempre quel “ma” subito dopo che limitava un po’ lo scopo di quello che stavamo dicendo, ed era una cosa quasi puccettosa e carina.
Anche i Morgengabe affermano di non aver vissuto i Kickstarter come una competizione tossica. Dalla parte dei giochi indipendenti non hanno visto questa competizione, anche se forse nell’ambiente di D&D o con l’aumentare dei backer possono nascere situazioni più calcistiche.
L’invito di Mirko Failoni a guardare sempre al contesto
Secondo Mirko Failoni c’è una parte della fanbase che esprime le proprie opinioni “con una certa fermezza”.
Però da un certo punto di vista questa tifoseria è nella dichiarazione di intenti di ciò che facciamo. Prima o poi avremo sempre un gruppo di super-fan che, anche se sputi per terra, diranno “opera d’arte” (si spera), così come avrai dei detrattori che qualsiasi cosa fai, anche se c’è la prova provata che hai fatto bene, verranno a dire “eh sì, però, mh”.
Quindi questa è una cosa che, passando il tempo, mi interessa sempre di meno. Anche mettersi in competizione tra chi fa Kickstarter per me ha poco senso. Dipende sempre tutto dal contesto, da che tipo di prodotto fai, da un sacco di cose. Oggi c’è un tipo di contesto e un tipo di seguito che permettono di fare certe cose e certe cifre. Se lo vediamo in confronto ai risultati che faranno tra dieci anni, probabilmente unendo tutti quanti i risultati di tutti i nostri Kickstarter non faremo il Kickstarter di successo che ci sarà tra dieci anni, se il trend va avanti così.
I numeri dei Kickstarter come indicatori del successo di un gioco di ruolo?
Successivamente, un commentatore ha fatto notare che i numeri dei Kickstarter sono uno dei pochi indicatori che il pubblico ha per farsi un’idea di come stiano andando i giochi di ruolo italiani. A questo, Mirko Failoni risponde:
Vendere tante copie di un gioco di ruolo al lancio è bene. Ma se negli anni successivi le recensioni ti uccidono, se hai sbagliato delle cose, sei in ritardo di anni, è un risultato aver fatto anche 100.000€ in più, rispetto a uno che ha fatto la metà di te, ma negli anni ha un continuo di vendite che vanno bene o che salgono addirittura. Infatti, ci sono ambientazioni che esplodono dopo un anno.
Il Kickstarter deve essere visto come quanta benzina ha il razzo per arrivare in orbita. Non è detto che il razzo possa essere rifornito dopo. È solo la spinta iniziale.
I Morgengabe concordano e sottolineano che le metriche che contano nei Kickstarter sono due, e non le si può vedere dal numero dei backer o della somma ottenuta.
La prima metrica è il ritorno di investimento. Se fai un Kickstarter da 100.000€, ma ne hai spesi 99.000€, è peggio che fare un Kickstarter da 20.000€ e averne spesi 3.000€.
La seconda metrica sono i guadagni su lungo termine sul tuo brand, sul tuo gioco, su quante persone giocheranno il tuo gioco. Abbiamo visto giochi che vendono 3.000 copie, ma poi non vengono giocati. Invece, ci sono anche giochi che vendono 400 copie, ma poi formano una community sempre più grande. Ed è questo quello che conta e che fa bene all’ambiente: dei giochi che vengono giocati, su cui si può costruire qualcosa e su cui si può creare una community interessante.
Italian Game Design: pro e contro di farsi un nome all’estero
Secondo Angelo Peluso, quindi, dovremmo essere contenti del fatto che altri progetti italiani siano Kickstarter di successo, perché si deve costruire l’identità dell’Italia e, come da titolo, dell’Italian Game Design nel mercato del gioco di ruolo mondiale.
Stiamo tutti quanti tirando l’acqua al medesimo mulino, che è il panorama lavorativo italiano nell’ambito dei giochi di ruolo. E quindi, come potrebbe essere per il cinema o tante altre cose, man mano che cresce la qualità generale, tutti quanti ne guadagnamo. Infatti, così chi da fuori vede Kickstarter di roba italiana, penserà che la roba italiana spacca. È a questo che dobbiamo puntare.
La prima domanda di Helios: “perché costruire un’identità italiana dei giochi e non creare una cultura globale del game-design?”
Helios Pu di Helios Games (abbiamo parlato del suo Kaiser 1451 qui!) chiede se creare un’identità italiana dei giochi di ruolo, quindi un Italian Game Design, sia effettivamente positivo.
Secondo i Morgengabe, il punto non è creare un’identità italiana dei giochi di ruolo. Il punto è far capire che gli Italiani sanno creare giochi di ruolo anche su altri mercati.
Il punto è far capire che i nostri prodotti, non solo da un punto di vista di game-design, arrivano in tempo, sono artisticamente e tecnicamente di un certo livello, sono fatti bene. E su questo dobbiamo lavorare. Su questo è necessario che i prodotti di punta, in questo caso Nightfell, arrivino in tempo e siano della qualità che le persone si aspettano.
Poi ovviamente la cultura del game-design è globale. Noi guardiamo quello che fanno in Giappone, in America, in Russia, in Polonia. Ci confrontiamo, ci guardiamo, ci compriamo a vicenda. Quindi, noi non stavamo parlando di chiuderci nell’identitarismo, ma di farci riconoscere come realtà che creano prodotti di un certo livello.
Angelo Peluso sottolinea poi che, se il panorama del gioco di ruolo italiano ricevesse più considerazione internazionale, i nostri scrittori e i nostri illustratori potrebbero essere assunti di più anche all’estero.
Io, per esempio, ho notato delle discrepanze su come vengono pagati gli illustratori italiani rispetto agli illustratori statunitensi, perché [gli Statunitensi vengono pagati di più in quanto tali]. Insomma, farebbe piacere a tutti se il mercato italiano diventasse produttivo in tutti gli ambiti.
L’importante è non scadere nel campanilismo
Mirko Failoni osserva che un’identità dell’Italian Game Design non è un male a prescindere.
Non per fare divisioni noi-loro. Ma, per esempio, a livello di stile di gioco, lo stile italiano potrebbe essere concettualmente diverso rispetto a uno stile americano. In questo non ci trovo per forza qualcosa di male, anzi. Nel momento in cui ci sono questi tipi di contaminazioni, ci sono gli ibridi che poi creano le cose nuove.
Il punto è che non dobbiamo fare l’autarchia. Il campanilismo non è una cosa che mi è mai piaciuta tantissimo. Al “made in Italy for the sake of made in Italy” e al “è italiano, quindi è meglio” non ho mai creduto e mai ci crederò.
Ma se riusciamo a “imporre”, a livello di marketing, un velo di autorevolezza perché “sono autori italiani e là, cacchio, sono quattro gatti, eppure fanno dei giochi con un certo peso”, fa bene a tutti.
La seconda domanda di Helios: ma così non rischiamo di perdere la nostra genuinità e di svendere i nostri “prodotti tipici” rendendoli la brutta copia delle loro versioni originali?
Secondo Angelo Peluso, il gioco di ruolo italiano potrebbe diventare una nicchia “meno di nicchia”.
Se diventassimo un fenomeno di massa, potremmo avere tanti giochi orripilanti, come i tortellini alle quattro del pomeriggio, ma anche giochi allucinantemente belli perché ci saranno possibilità ancora più incredibili. Ci sarà più varietà, magari.
Mirko Failoni aggiunge:
Nel momento in cui fai una cosa che ha, in qualche modo, la tua impronta, se non è una merda, ma è una cosa col preciso obiettivo di vendere tanto, è per forza una cosa negativa?
Perché altrimenti qui ci addentriamo in un’altra delle grandi polemiche, secondo cui “il gioco di ruolo dovrebbe essere una cosa solo ed esclusivamente indie e autoriale, perché altrimenti fai roba per la massa e fai schifezza”. Ma ci possono essere giochi indie fatti in una certa maniera [= fatti male n.d.CG], così come hack per D&D fatte benissimo.
Se assaggi gli spaghetti del supermercato in Italia, gli spaghetti sono comunque più buoni rispetto alla media degli spaghetti che troverai nel resto del mondo, è perché comunque la tua impronta c’è. È riconoscibile. E secondo me è quel tipo di impronta che fa tutto.
Il rischio dell’etichetta “made in Italy” secondo Claudio Serena
Claudio Serena spezza una lancia a favore di Helios:
Credo che il senso di quello che vuole dire Helios è che dire che una cosa sia made in Italy non dovrebbe essere né positivo, né negativo. Dovrebbe voler dire che qualcosa è fatto in un certo modo, ma non dovrebbe, di per sé, dire “allora è per forza figo”, perché poi cadi nel problema della concezione per cui qualsiasi cosa io faccia è figo, perché è italiano. E così smetti di impegnarti e poi viene fuori la merda. Oppure, cadi nel problema del “fa per forza schifo, perché non sono capaci a farlo, perché gli Italiani non sono capaci”.
Quello è il pericolo dell’etichetta “made in X”. Che è un po’ quello che dicevi tu un attimo fa, Mirko, in merito a D&D. Per qualcuno, se è D&D fa per forza schifo perché “con D&D non puoi parlare dei sentimenti intimi delle stelle che si muovo da lontano”. Questo può essere interessante, ma può essere interessante anche esplorare un dungeon quando vuoi esplorare un dungeon.
Quindi, se ho capito bene, il problema del “made in Italy” è quello: che tutto diventa per forza bello o brutto a seconda di chi sta osservando la scena o a seconda del contesto.