Da dove nasce l’idea che il fantasy sia solo elfi, nani, draghi ed escapismo? In che modo Tolkien ha davvero cambiato il fantasy? Una risposta a Il Fatto Quotidiano.
Il 3 gennaio del 1892 a Bloemfontein, in Sudafrica, nasceva John Ronald Reuel Tolkien, meglio conosciuto dal grande pubblico come J. R. R. Tolkien e dai suoi fan come Il Professore.
Quest’anno, AD 2022, ne ricorre quindi il centotrentesimo anniversario della nascita. Sarebbe un compleanno da patriarca biblico ma, ahinoi, il Prof ha veleggiato verso le Aule di Mandos nel 1973.
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Due parole introduttive sulla vita di Tolkien
Non credo ci sia bisogno qui di dire chi sia Tolkien ma a beneficio di eventuali neofiti e soprattutto del nostro amato Google, facciamolo lo stesso. Se già sapete, skippate pure al prossimo punto. Se volete leggere i nostri articoli su Tolkien, li troverete tutti a questo link.
Prima di diventare filologo, glottoteta, accademico e linguista britannico, J. R. R. Tolkien fu studente dell’antico inglese e delle lingue germaniche all’Exeter College presso il quale aveva vinto una borsa di studio nel 1910. Cinque anni dopo, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si arruolò volontario nel reggimento di fanteria dei Fucilieri del Lancashire, finì sul fronte occidentale e venne rimandato a casa solo quando si ammalò dopo sei mesi di trincea.
Al termine della guerra riprese gli studi, conseguendo nel ’19 il titolo di Master Of Arts e diventando, nel ’21, docente di lettere all’Università di Leeds. Tra il 1925 al 1945 Tolkien fu professore di antico inglese al college di Merton e dal 1945 al 1959 insegnò letteratura inglese all’Università di Oxford.
J. R. R. Tolkien fu anche autore letterario. Quella che ci interessa di più qui è la sua produzione più famosa, ossia quella legata strettamente al genere fantasy. Nel 1937, infatti, Tolkien pubblica Lo Hobbit, primo romanzo ambientato nel mondo secondario della Terra di Mezzo. Invece, a metà degli anni ’50 esce quella che è la sua opera più famosa, Il Signore degli Anelli, pubblicato in tre volumi separati: La Compagnia dell’Anello (1954), Le due torri (1955) e Il ritorno del re (1955).
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Dopo Tolkien, il fantasy non è più stato lo stesso: gli auguri de Il Fatto Quotidiano
Il 3 gennaio scorso, in occasione appunto del 130esimo anniversario della nascita di Tolkien, Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo intitolato Dopo Tolkien, il fantasy non è più stato lo stesso, che vi linkiamo qui, perché citare le fonti è sempre importante e doveroso.
L’articolo è firmato da Simone Vacatello, che si definisce giornalista, autore, narratore e la cui scheda sul sito del giornale recita:
Collaboro con diverse testate e mi occupo di approfondimento culturale. Tante passioni, altrettanti interessi, il più duraturo dei quali è l’analisi delle mitologie di carta, pixel e pellicola filmica.
Scorrendo i titoli dei suoi articoli vedo citati Spider-Man: No Way Home, Get Back dei Beatles, Cowboy Bebop, Strappare lungo i bordi di Zerocalcare, Squid Game. Insomma, tutti gli highlights della cultura pop dell’ultimo periodo. La roba di cui si DEVE parlare. Ok.
Io lo ammetto: Vacatello non lo conosco. E può benissimo essere una mancanza mia, che vivo sempre di più come un mix tra un eremita dal pessimo carattere, un ikikomori in ritardo sui tempi, e uno con dei problemi di dipendenza ma-no-ho-tutto-sotto-controllo.
Però qualcosina ne so di Tolkien e qualcosina ne so anche di fantasy, perciò quando leggo certi titoli mi si rizzano i peli come ai gatti. Quindi sono andato a leggermi l’articolo e infatti…
Cosa ha scritto Simone Vaccaro su Tolkien e il fantasy?
[…] Il motivo per cui ci permettiamo oggi di perpetrare questo poco cavalleresco sgarbo tra mummie è dovuto al modo in cui Tolkien ha di fatto cambiato per sempre il genere fantasy, che esisteva prima di lui (chiedere a Lord Dunsany, peraltro adorato da H.P. Lovecraft), ma che dopo di lui non è più stato lo stesso (chiedere a George R.R. Martin, che da Tolkien si è lasciato ispirare ben oltre le due ‘R’ dopo il nome).Prima degli anni ‘50, quando Il Signore degli Anelli fu pubblicato per la prima volta, il genere fantasy si era mosso sempre su un doppio binario: da un lato sospinto dall’immaginario mitologico celtico animato da draghi, elfi e guerrieri di ogni sorta, immortalato in forma scritta dal poema di Beowulf, dall’altro sostenuto dal legittimo desiderio di escapismo nel cui ambito si è sempre mossa la letteratura fantastica. Il merito di Tolkien è stato proprio quello di codificare tutto ciò che aveva reso quel genere florido (a partire dal concetto di world building, ossia di creazione di un mondo la cui esistenza è centrale e autonoma rispetto al numero di personaggi che lo popolano) in un sistema narrativo che superasse non solo la dinamica escapista fine a se stessa, ma che includesse anche una sorta di commentario sull’animo umano e sul suo rapporto con i concetti di ‘male’ e ‘bene’.
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Il Fantasy Pre-Tolkien: celtismo ed escapismo? Ma dove?!?
La prima parte della citazione è un po’ paracula, perché si sa che gli appassionati più ingenui (e/o ignoranti come capre) considerano Tolkien il “padre” del fantasy. Che sarebbe come dire che Bram Stoker è il padre dell’horror o anche solo della narrativa vampiresca grazie al suo Dracula ignorando Il Vampiro di Polidori o Carmilla di Le Fanou.
Vacatello però cita due autori del passato, Lord Dunsany e Lovecraft. Saranno, come dice lui, due autori mossi dal desiderio di escapismo e tratteranno di mitologia celtica? Andiamo a vedere.
Cosa scriveva Lord Dunsany?
Lord Dunsany, al secolo Edward John Moreton Drax Plunkett, XVIII barone Dunsany, è famoso per la sua narrativa fantastica. Ma riguardo a quella che forse è la sua opera più famosa, Gli dei di Pegāna, Gahan Wilson dice:
Parlando in un altamente originale mix tra l’inglese della Bibbia di Re Giacomo, la sintassi di Yeats e un imaginario da Le Mille e una Notte, [Dunssany] ci fa entrare in un Valhalla splendidamente sinistro, popolato con Dèi folli, spettacolarmente crudeli e meravigliosamente sciocchi.
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Cosa scriveva Lovecraft?
Vogliamo parlare dell’escapismo di H. P. Lovecraft? Uno che nel suo ciclo fantastico più famoso, quello definito da August Derleth I Miti di Cthulhu, impernia la sua narrativa sul concetto che l’universo è indifferente alla condizione umana e popolato da entità mostruose e maligne votate solo alla distruzione? Riporto qui l’incipit de Il Richiamo di Cthulhu nella versione curata da Gianni Pilo e Sebastiano Fusco:
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell’infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo.
Quanta leggerezza eh?
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E cosa scrivevano gli altri autori fantasy precedenti a Tolkien?
Ma prendiamo anche, per esempio, il ciclo di Averroigne di Clarke Ashton Smith, composto da racconti e poesie pubblicati tra il 1930 e il 1951. Vedremo che Smith si rifà di sicuro più alla narrativa di Cappa e Spada, che a quella celtica, e ha un’ambientazione pseudo-francese.
E se prendiamo l’opera di Robert Ervin Howard che va da l 1925 al 1936 ci rendiamo conto in fretta che nel creare la sua Era Hyboriana e tutte le sue propagini che vanno sia avanti che indietro nel tempo della sua storia fittizia, Howard ha di certo preso a piene mani dall’immaginario celtico e scandinavo. Basti pensare al ciclo di Bran Mak Morn o a storie come La Figlia del Gigante dei Ghiacci di Conan.
Tuttavia, Howard ci ha piazzato accanto elementi mediterranei e orientaleggianti. Un patchwork a cui è sicuramente debitore George R. R. Martin per il suo secondary world delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
E in quanto a d escapismo: sì, ok. Ma certi personaggi, come l’ombroso Kull di Valusia e il già citato Bran, non sono esattamente la spensieratezza fatta e finita.
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E anche se volessimo andare a cercarli apposta gli elementi citati?
Ecco, potremmo anche trovare opere come il ciclo dell’Incantatore Incompleto di Lyon Sprague de Camp, i cui primi tre libri sono pubblicati tra il ’41 e il ’53. De Champ si rifà in parte al mito nordico ed è sicuramente una narrativa avventurosa e scanzonata, ma è anche molto, molto moderna, e usa il mito come sfondo, non come sostanza della narrazione.
E cercando elfi, nani e troll, potremmo incappare ne La Spada Spezzata di Paul Anderson. Questo libro però viene pubblicato nel 1954, quindi contemporaneamente a Il Signore degli Anelli, non dopo, come verrebbe da pensare leggendo Vacatello. Inoltre, La Spada Spezzata presenta quegli elementi perché Anderson e Tolkien si rifanno sostanzialmente alle stesse fonti, anche se in maniera completamente diversa.
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Elfi, nani, draghi e dove trovarli: nel fantasy Post-Tolkien
Il punto è che il fantasy di ispirazione celtico-nordico-medievale con più o meno spessore è stata una conseguenza del successo de Il signore degli anelli. E questo è avvenuto non certo per colpa del Professore, ma perché un sacco di editori negli anni ha pensato bene di cavalcare l’onda e di dare “ancora più Tolkien” a un pubblico bulimico.
Che fantasy si scriveva tra gli anni Cinquanta e Settanta?
E non è nemmeno stata una cosa immediata, perché ai tempi le cose viaggiavano con ritmi decisamente più lenti di adesso.
Quindi, la narrativa fantastica a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’70 è più legata all’eredità delle riviste pulp che all’immaginario epico-cavalleresco. Penso per esempio al ciclo di Fafhard e del Gray Mouser di Fritz Leiber, che spazia dal ’47 all’’88. O al ciclo di Elric di Melniboné di Michael Moorcock, il cui nucleo originale vede la luce tra il ’65 e il ’77.
Quando si è iniziato a vedere il fantasy “alla Tolkien”?
Se invece cerchiamo romanzi fantasy sono infarciti di Elfi con gli archi lunghi, Nani con asce e martelli, Prodi Cavalieri dalle armature lucenti e dalle lunghe spade, Maghi dalle lunghe vesti colorate, Orchi/Troll brutti e cattivi e Draghi volanti dall’alito di fuoco o di qualunque altra cosa tolkieniana, dobbiamo guardare alla fine degli anni ’70 e via via nei due decenni successivi.
Basti pensare al ciclo di Shannara di Terry Brooks, che parte nel 1977 con La Spada di Shannara, che è praticamente un Il signore degli anelli in versione young adult. O alla saga di Dragonlance di Margaret Weis e Tracy Hickman, che esorisce nell’’84 con I draghi del crepuscono d’autunno, in cui le avventure sono basate in un’ambientazione di Dungeons & Dragons di ispirazione tolkieniana. Persino Robert Jordan, per piazzare all’editore il mastodontico progetto de La Ruota del Tempo, ha dovuto dare un impianto “alla Tolkien” al primo romanzo della serie, L’occhio del mondo, del 1990, impianto che poi va rapidamente perdendosi nei volumi successivi.
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L’eredità di Tolkien: ricchezza o fardello?
L’impatto di Tolkien sul genere fantasy è stato sicuramente ENORME. Positivo o negativo? Credo dipenda molto da quali aspetti vengono considerati. E, comunque, non si può imputare alcuna colpa al Professore, che ha sicuramente dato una profondità e uno spessore del tutto particolare alla sua opera. Da una parte ha arricchito lettori e autori di generazioni, ma ha anche settato dei modelli che, nelle opere degli epigoni, sono diventati spesso cliché.
È in conseguenza di QUELLA ondata che OGGI gli editori americani badano ben poco a QUEL tipo di fantasy di nani, elfi, maghi e draghi. Al contrario, oggi cercano di esplorare influenze di altre culture. E in questo modo, in fondo, propongono una varietà che nel fantastico era già presente in precedenza, ma che era stata fagocitata dalle logiche di mercato.
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Quindi, seppure sia innegabile che, come dice Vacatello, l’opera tolkieniana abbia cambiato il genere fantasy, tant’è che esiste un Pre e un Post Tolkien, questo cambiamento ha più aspetti. Da una parte c’è l’indubbio valore letterario degli scritti del Professore, dall’altro un successo di lungo periodo e la capacità di incantare i lettori, ma infine ci sono state anche le scelte delle case editrici che hanno tentato di replicare una formula vincente.
Inoltre è completamente errata la descrizione che viene fatta del fantasy pre-tolkien. L’escapismo e la leggerezza, che sicuramente sono e sono state tra le caratteristiche del genere in molte sue declinazioni, non sono mai state regole assolute, anzi. E per quanto riguarda il proliferare di pseudo-medioevi celtico-norreni nel fantasy occidentale, quella è stata una conseguenza, nefasta e sicuramente né voluta né immaginata da Tolkien, del successo de Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e, successivamente, del Silmarillion.
E senza nulla togliere agli indubbi meriti di Tolkien e alla sua grandissima influenza sul genere, è frustrante leggere sempre articoli sul fantasy scritti con così tanta superficialità.
Perché, diocristo, basterebbe conoscere due cose in croce e farsi un giro su Wikipedia, eh?
Già, basterebbe.
2 Commento
Giovanni Carmine Costabile
Cosa leggo? L’ “immaginario mitologico celtico animato da draghi, elfi e guerrieri di ogni sorta, immortalato in forma scritta dal poema di Beowulf”? Ma se il Beowulf è anglosassone, cioè germanico, e non celtico!
Però vedo che anche l’autore dell’articolo ha le idee confuse su cosa sia celtico, visto che cita come presunta prova che Dunsany non sia celtico un autore che definisce la sua scrittura “un altamente originale mix tra l’inglese della Bibbia di Re Giacomo, la sintassi di Yeats e un immaginario da Le Mille e una Notte”, quando Yeats è per l’appunto uno degli autori del Celtic Revival.
Insomma, chi sbaglia e chi corregge risbagliando. E vabbè, è l’Italia, spaghetti e mandolino, mafia e gente che loda Ottavio Fatica, è tutto folklore…
Gloria Comandini
Ho già ampiamente risposto sulla nostra pagina Facebook a questo commento.
https://www.facebook.com/cercatoridiatlantide
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