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Miura, Martin, Rothfuss: smettiamo di trattare gli autori come dei distributori automatici

Perché la morte di Kentaro Miura ci dovrebbe far riflettere sul modo in cui trattiamo gli autori che completano lentamente (o non completano affatto) le loro opere?

Avevo in caldo la bozza di questo articolo da nove mesi. Non sapevo bene come completarlo e come finirlo.
Sfortunatamente, la morte di Kentaro Miura, l’autore del manga Berserk, mi ha dato motivo di riprenderlo e concluderlo.
Inizialmente, questo articolo si intitolava È ora di lasciare in pace George R. R. Martin, ma la versione che leggerete oggi è stata ampliata e riveduta, per fare un discorso più ampio.

“Quand’è che [inserire nome autore/trice] finisce la saga?”, “Invece di fare [inserire attività X], [inserire nome autore/trice] dovrebbe scrivere!” sono frasi che probabilmente tutti noi abbiamo detto.
Nascono dal desiderio di avere nuovo materiale di un prodotto che ci piace, di veder conclusa una storia che ci appassiona, e dalla frustrazione di non veder appagati questi desideri. Sentirsi frustrati e irritati per questi motivi è assolutamente normale. Anche sfogarsi su internet chiedendo “Ma invece che fare X, Rothfuss non può completare la sua saga?” è normale e comprensibile.
Con questo articolo non voglio demonizzare nessuno, né far sentire in colpa chi ha scritto cose simili, né dirvi che siete delle brutte persone se volete che George R. R. Martin concluda le sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

Questo articolo, invece, vuole cercare di riflettere sul fatto che questo tipo di atteggiamento, dopo un certo punto, può essere poco sano, soprattutto se poi viene recepito da un’industria che è prona allo sfruttamento dei propri lavoratori/trici. Certamente, non possiamo definire il pubblico responsabile dello sfruttamento degli autori da parte delle industrie, ma approfondiremo meglio la questione in seguito.
Vediamo come questo discorso si declina nel caso di autori come G. R. R. Martin, Patrick Rothfuss e Kentaro Miura, e come la morte di Miura ci possa insegnare qualcosa.

George R. R. Martin, undici anni dopo la pubblicazione di A Dance with Dragons
George R. R. Martin, arrivato a dieci anni dopo la pubblicazione di A Dance with Dragons

Il tormentone sulla lentezza di George R. R. Martin

“George R. R. Martin non ha ancora finito The Winds of Winter” e “Ecco cosa fa George R. R. Martin invece di scrivere” sono ormai dei tormentoni che ci accompagnano da anni.
Complice anche un George R. R. Martin che continua a promettere che sì, il sesto libro de Le cronache del ghiaccio e del fuoco, The Winds of Winter, uscirà. Così, ogni nuovo anno fioccano memini e articoli su quanto questo autore fantasy sia lento nello scrivere la sua saga di maggior successo.

La sua lentezza è ben nota e rinomata. Infatti, Le cronache del ghiaccio e del fuoco hanno visto il loro primo libro, A Game of Thrones, pubblicato nel 1996, e il quinto libro, A Dance with Dragons, nel 2011. Nell’attesa di avere finalmente il sesto libro, abbiamo fatto in tempo a vedere iniziata (2011) e conclusa (2019) una serie TV di otto stagioni. Nei diciotto anni passati da quando ho iniziato a leggere questa saga nel lontano 2003, ho visto pubblicati solo due libri.

Tuttavia, dopo nove anni di tormentoni sulla lentezza di Martin, è mia personale opinione il fatto che dovremmo lasciare un po’ in pace questo autore.
Ma passiamo oltre, e vediamo la situazione di altri autori.

Patrick Rothfuss, arrivato a dieci anni dopo la pubblicazione de La paura del saggio
Patrick Rothfuss, arrivato a dieci anni dopo la pubblicazione de La paura del saggio

Patrick Rothfuss, i ritardi e la depressione

Molto meno conosciuto rispetto a Martin, Patrick Rothfuss è uno dei maggiori autori fantasy americani dello scorso decennio.
È infatti l’autore della trilogia Le Cronache dell’Assassino del Re, attualmente composta da due libri: Il nome del vento (2007) e La paura del saggio (2011). Il terzo volume, The Doors of Stone, non è ancora stato concluso.
Ciononostante, i primi due libri hanno venduto molto bene e Rothfuss continua a godere di grande considerazione nell’ambiente del fantasy. Non per nulla, è stato proprio Rothfuss a curare i testi e la storia della storia a fumetti Rick and Morty vs. Dungeons & Dragons.

I dieci anni passati dalla pubblicazione de La paura del saggio si sono fatti però sentire nella sua fanbase. Oggi, infatti, è difficile imbattersi in discussioni online su Rothfuss (anche concernenti cose diverse dalla scrittura) senza che si tiri fuori la sua lentezza nella scrittura e il suo ritardo nella pubblicazione del terzo volume.
Ormai, Rothfuss difficilmente può esprimere un qualsiasi tipo di opinione, senza che qualcuno cerchi di invalidarlo tirando fuori l’argomento del ritardo. “Ma finisse la sua opera invece di parlare parlare parlare”, scrive un utente su un noto gruppo Facebook di lettori e scrittori fantasy.

La depressione e il supporto dei fan

Bisogna inoltre sottolineare una cosa: Rothfuss negli ultimi anni ha dovuto confrontarsi con la depressione. E, come racconta pure lui su Twitter, non è stato semplice:

In retrospect, attempting to battle crippling depression by drinking vodka and watching Attack on Titan might not have been a great plan.
I’m off to bed. And while I’m not doing great, I’m okay. If you know what I mean. Thanks for your support, folks. Take care of yourselves.

In retrospettiva, tentare di sconfiggere una depressione paralizzante bevendo vodka e guardando L’Attacco dei Giganti potrebbe non essere stato un gran piano.
Sono uscito dal letto. E sebbene non stia benissimo, sono okay. Se sapete cosa intendo. Grazie per il vostro supporto, gente. Prendetevi cura di voi stessi.

Per fortuna, però, una grossa parte della sua fanbase continua a supportare tantissimo Rothfuss:

1) Take care of yourself, Pat. We all love you. And yes, I know exactly what you mean.
Prenditi cura di te stesso, Pat. Ti vogliamo tutti bene. E sì, so benissimo cosa intendi.
2) more importantly take care of yourself and remember you are awesome!
Ma prima di tutto prenditi cura di te stesso e ricordati che sei fantastico!
3) love you bud. You’re such an inspiration. Keep at it. Don’t quit. You’ve impacted and changed a lot of lives.
Ti voglio bene, compare. Sei una grandissima ispirazione. Resisti. Non cedere. Hai avuto un grande impatto e hai cambiato tante vite.

Kentaro Miura
Kentaro Miura

Kentaro Miura e i tremendi ritmi di lavoro dei mangaka giapponesi

Creatore del seinen manga Berserk e uno dei più acclamati mangaka degli ultimi quarant’anni, Kentaro Miura è morto il 6 maggio 2021.
Berserk ha iniziato a essere pubblicato nel 1989 ed è ancora in corso. Tuttavia, dal 2006 in poi Miura ha iniziato a rallentare e a rendere più irregolare il ritmo delle proprie pubblicazioni. Attualmente, pubblicava circa due o tre capitoli all’anno.

Generalmente, il fandom di Berserk è sempre stato piuttosto comprensivo nei confronti di Miura. Infatti, non solo la qualità delle illustrazioni del manga è sempre stata elevatissima, ma il fatto che l’autore stesse continuando a scrivere l’opera da trent’anni ha sempre suscitato la solidarietà dei lettori.
Ciononostante, purtroppo, negli anni non sono mancate uscite infelici da parte dei fan, che ritenevano che Miura non avesse più “voglia di lavorare”.
Al contrario, in un’intervista Miura ha raccontato di lavorare circa 10 o 11 ore al giorno, dormendo circa 6 o 7 ore a “notte”. Inoltre, Miura sottolineava di non prendersi praticamente mai delle ferie. La sua stessa tabella di marcia è molto particolare, poiché il magaka tendeva a dormire da mezzogiorno alle sette di sera, lavorando poi tutta la notte e la mattina seguenti.

La verità che non vogliamo sentirci dire: gli autori non sono tenuti a concludere le proprie opere

Capisco che quando ci si impegna a creare una serie di prodotti, teoricamente bisognerebbe arrivare alla fine di questa serie. Tuttavia, dobbiamo ricordarci che, generalmente, un autore non è pagato anticipatamente per tutta la serie che dovrebbe pubblicare, bensì libro dopo libro, ad eccezione di casi in cui la casa editrice stipula un contratto per una trilogia intera.
In tal senso, generalmente non ci sono vincoli legali che obblighino un autore a finire la sua serie.

Certamente, possiamo ritenere che Martin o Rothfuss dovrebbero finire le loro opere per rispetto nei confronti dei fan. Questa argomentazione è comprensibile, ma ha un grosso difetto: non tiene conto del fatto che uno scrittore non ha alcun obbligo a concludere il proprio lavoro.

Ricordiamoci che da un posto di lavoro ci si può sempre licenziare

Dopo tutto, una persona che lavora nel turismo può decidere di licenziarsi in piena stagione estiva, senza completare il “periodo delle vacanze” dall’inizio alla fine, perché la paga è troppo bassa. Similmente, una persona che lavora su un videogioco può decidere di licenziarsi perché i ritmi di lavoro sono troppo oppressivi. Ci si può licenziare perché nella nostra vita sopraggiungono faccende più importanti. Ci si può licenziare perché non ci si trova bene con i colleghi. Oppure, ci si può licenziare perché, semplicemente, il nostro lavoro non ci piace più.
E allora perché abbiamo l’idea che uno scrittore o una scrittrice debba sposare il proprio lavoro senza la possibilità di divorziare?

Rothfuss ha il diritto di non completare The Doors of Stone perché soffre di depressione e ha onestamente altro di cui preoccuparsi. Scott Lynch, l’autore del ciclo dei Bastardi Galantuomini, fermo al terzo volume su sette, ha il diritto di non scrivere, se nel frattempo deve combattere anche lui la depressione. Un autore prolifico come Brandon Sanderson può non continuare la saga de Il Ritmatista, se non si sente pronto ad affrontare le tematiche che quella ambientazione.
E sì, un autore come George Martin può anche non concludere Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, se si è incartato con la trama, o non ha più idee, o si è semplicemente stufato di lavorare su quella storia.

La complessità dei disegni portava Miura a lavorare anche 50 ore su una singola tavola
La complessità dei disegni portava Miura a lavorare anche 50 ore su una singola tavola

Kentaro Miura: un autore che ha lavorato troppo?

Cosa c’entra tutto questo discorso con Kentaro Miura e con la sua morte?
Ebbene, nei giorni scorsi è girato su Facebook un post dello sceneggiatore Giovanni Barbieri. Vediamo meglio cosa dice.

Kentaro Miura (1966-2021) è morto il 6 maggio. Non lascia né moglie né figli.
La causa del decesso è la dissezione aortica. In pratica, il tessuto interno dell’aorta si lacera e si crea una sacca. Quando la sacca a sua volta si rompe, l’esito è fatale.
Fra le cause, la pressione alta e l’eccesso di stimolanti. Solo una diagnosi precoce può salvare la vita.
Ma com’era la vita di Miura? Proviamo a leggere le note autobiografiche che lasciava nei suoi fumetti…

Una vita da recluso: le dichiarazioni di Miura negli anni Novanta

Il post di Barbieri prosegue, elencando le dichiarazioni di Miura negli anni Novanta, ossia negli anni in cui Berserk è uscito con maggiore continuità:

Mi è venuta la febbre a 40. Ripensandoci, ho avuto solo due giorni liberi quest’anno. (1993)
Ho perso 5 chili senza fare niente. Mi chiedo perché. (1993)
Negli ultimi due mesi, ho dormito in media meno di quattro ore a notte. (1993)
Compirò 27 anni in luglio. Guardando indietro, sono stati 27 anni di fumetti. È questo che voglio? (1993)

Da quando ho traslocato, le mie ore di sonno sono state meno di quattro. (1994)
È lo stesso ogni anno, devo lavorare a Natale e Capodanno. Vorrei festeggiare, una volta tanto. (1994)
Ho avuto un giorno libero per la prima volta in un mese e mezzo e quando sono uscito, ho avuto un colpo di calore. (1995)
Ho comprato scarpe e vestiti nuovi per Capodanno. Ho solo un paio di scarpe da ginnastica. (1996)
Sono stato a Okinawa per le mie prime vacanze da mangaka e per i primi due giorni e mezzo sono stato male per un colpo di calore. (1998)

Una vita spesa per il lavoro, anche quando il lavoro sembra diminuire: le dichiarazioni di Miura negli anni ’00

Berserk è uscito con continuità fino al 2006, ma anche dopo la routine di Miura non è molto migliorata.

Nell’ultimo mese e mezzo, sono uscito due ore per cenare in un locale. (2001)
Se non vedo gente per tanto tempo, la mia bocca non funziona più come si deve. (2002)
I miei giorni liberi sono una mezza giornata ogni due mesi. Non faccio due giorni di pausa consecutivi da quattro anni. Mi sto stancando. (2004)
Ho avuto un altro collasso per superlavoro. (2005)

I miei trent’anni stanno per finire. La mia vita è un casino, fatta solo di manga. Ma non mi può essere restituita, quindi vado avanti! Starò chiuso in casa anche quest’anno. (2006)Dopo tutto, non starò chiuso in casa, perché mi sento solo. (2006)
È da una settimana che non riesco a uscire e la cioccolata è diventata un alimento prezioso. (2006)
Due terzi del mio corpo sono fatti di barrette energetiche. Vuol dire che Berserk è sponsorizzato per due terzi dalla ditta produttrice? (2009)
Non sono riuscito a vedere i ciliegi in fiore dal vivo neanche quest’anno. (2011)

La schedule di Miura non era fuori dalla norma: ecco come lavora Hiroshi Shiibashi
La schedule di Miura non era fuori dalla norma: ecco come lavora Hiroshi Shiibashi

La dura vita del mangaka: l’artista come macchina di produzione di opere

Come avevamo detto prima e come abbiamo visto adesso, Kentaro Miura ha sempre lavorato con ritmi tremendamente serrati. C’è anche la possibilità che questo stile di vita altamente stressante abbia accelerato la manifestazione della dissezione aortica, sebbene questa resti comunque un’ipotesi.

Purtroppo, lavorare in queste condizioni non è una prerogativa di Miura: praticamente tutti i e le mangaka giapponesi hanno ritmi di lavoro simili.
In questo articolo vediamo alcuni esempi.
Eiichiro Oda, l’autore di One Piece, per esempio, afferma di dormire solo tre ore a notte.
Masashi Kishimoto, l’autore di Naruto, ha dei ritmi di vita molto simili, lavorando fino a 19 ore al giorno e dormendo per tre.
Akira Toriyama, l’autore di Dragon Ball, invece, tende a lavorare finché non crolla.
Ma sul web si trovano anche le schedule di lavoro di altri mangaka, come Hiroshi Shiibashi, autore de I signori dei mostri, che potete vedere nell’immagine qui sopra. Notate come Shiibashi tenda a dormire fino a un minimo di tre ore a notte, e con solo tre ore di tempo libero a settimana!

Si tratta di ritmi lavorativi disumani, che violano i diritti umani dei e delle mangaka e che possono avere tremendi effetti sulla loro salute, come riporta anche questo articolo.
Certamente, questi ritmi di lavoro sono piuttosto comuni nella società giapponese, dove, tra senso del dovere verso la comunità (e quindi verso la casa editrice e i lettori, nel caso dei mangaka) e un’economia ultracapitalista, c’è spesso poco spazio per la coltivazione di un’identità della persona singola, distaccata dal lavoro e dai suoi doveri sociali, e quindi avente diritto a, per esempio, del tempo libero.

Cosa possiamo fare per evitare altri Miura?

Siamo sinceri: noi Occidentali possiamo fare ben poco per cambiare il mondo del lavoro giapponese.
In particolar modo, abbiamo ben pochi mezzi per influenzare le vite dei mangaka. Infatti, ricordiamoci sempre che gran parte degli introiti derivati dalla vendita di manga e anime proviene proprio dal mercato giapponese.
Pertanto, anche se volessimo, per esempio, boicottare i manga della casa editrice per cui lavorava Miura, ossia la Hakusensha, chiedendo che migliori le condizioni di lavoro dei propri mangaka, il danno economico che potremmo fare sarebbe minimo, perché ci sarebbe sempre il mercato giapponese.

Una cosa che invece possiamo fare è cambiare, in generale, il nostro atteggiamento nei confronti di chi crea contenuti, soprattutto per evitare che altri editori o case produttrici emulino troppo i ritmi di lavoro proposti dalle case editrici di manga.
Credo che, quindi, dovremmo concentrarci più che altro non su quando un libro, un film o un videogioco uscirà, bensì su quanto sia etico il modo in cui viene prodotto.
E questo sì, significa boicottare le case produttrici di videogiochi che fanno crunching sui propri dipendenti, come nel caso di Cyberpunk 2077. O boicottare i film diretti da registi che trattano male chi lavora con loro, come nel caso di Joss Whedon.

E sì, a un livello più piccolo e personale, significa anche limitarci su quanto spesso possiamo tormentare i nostri autori preferiti, quando tardano a pubblicare il nuovo libro di una saga che amiamo.
Perché, alla fine, così facendo ci accostiamo e diamo validità, anche inconsciamente, a quel tipo di mentalità che forse è responsabile della morte di Miura, e che vede chi crea contenuti come un distributore automatico, che deve produrre sempre e comunque, perché “altrimenti tradisce i fan”.

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