Squid Game è la serie del momento: tutti ne parlano, tutti l’hanno vista e tutti si sono fatti un parere che intendono condividere. D’altronde avremmo dovuto capire che si sarebbe trattato di una serie esplosiva: maschere, tute rosa ed un nome intrigante; il poster è l’erede spirituale de La Casa di Carta.
Hwang Dong-hyuk, scrittore e direttore della serie, aveva già pensato alla serie nel 2008, prendendo ispirazione dalle disparità socio-economiche della Corea del Sud e alle sue difficoltà giovanili. La serie, distribuita poi nel 2021, ha ovviamente fatto un’enorme successo.
Tanti disperati in cerca di soldi
Pensate di stare con un piede nella fossa: non avete un lavoro, la vostra famiglia fatica a mantenervi, non avete amici che vi possano aiutare ed i creditori vi cercano per farvi lo scalpo. Improvvisamente appare qualcuno che, giocando a carta-sasso-forbice, scommette tanti, tanti soldi. Giocate e, dopo un po’ di tentativi (che scontate attraverso calci nei garetti, visto che di soldi non ne avete) vincete. Il tizio vi propone di giocare ad altro, di giocare a qualcosa che vi porterebbe molti più soldi. Partecipereste?
Ecco, questa è la trama di Squid Game riassunta e senza troppi spoiler. Il protagonista della serie, Seong Gi-hun (interpretato da Lee Jung-jae) si trova a partecipare a questi giochi assieme ad altri co-protagonisti, attraverso sfide via via più complesse. Da un gioco all’altro veniamo a conoscenza di dettagli riguardante gli altri partecipanti: come mai sono finiti in quella condizione, cosa e come si comportano di fronte alle sfide e le loro alleanze.
La critica sociale che tutti hanno apprezzato
Come tante serie, lungometraggi o più in generale opere, Squid Game ha un chiaro messaggio di denuncia sociale. Molto simile a quello che possiamo trovare in Black Mirror (tante puntate ne condividono l’intento) o il più recente El Hoyo (Il Buco su Netflix), Squid Game è una critica. Il povero è costretto a seguire ogni forma di speranza, non importa quanto atroce, per uscire dalla sua condizione mentre i ricchi osservano compiaciuti. La serie ce lo sottolinea spesso, perlopiù attraverso il personaggio di Cho Sang-woo (Park Hae-soo). Il suo personaggio, inizialmente membro dell’elité caduto in disgrazia, diviene man mano più cinico, adattandosi alla bestia che il gioco vuole e passando da personaggio neutrale a completo antagonista.
D’altra parte, però, Squid Game non brilla certo di innovazione. Nel panorama asiatico mi era già capitato di affrontare il tema dei più oppressi: Liar Game, un manga di 15 anni fa, affrontava già la storia dei protagonisti costretti alla miseria ricattati al gioco; una realtà che appare lontana da chi guarda ma che, in modi differenti, è invece molto, troppo vicina. Ed è così che gli stereotipati personaggi presentati nella serie di 9 episodi ricalcano, in un modo o nell’altro, qualcuno che magari conosciamo, e tutto diviene più reale.
1, 2, 3, stai là!
Sicuramente si può aggiustare Squid Game, anche se il risultato è veramente molto buono. Guardando la serie in koreano sottotitolato italiano, appare evidente che due ruoli soffrono molto la trama e la presenza, sebbene anti climatica, di un protagonista. Il primo personaggio è Ali (Anupam Tripathi), personaggio sul quale si poteva scavare ma che viene presentato come secondario e lasciato ai margini. Il secondo (gruppo di) personaggi sono i ricchi; troppo stereotipati, troppo piatti, troppo forse cattivi perché devono esserlo. Potevano essere fatti meglio.
Viceversa, il protagonista, l’antagonista e altri due co-protagonisti (Sae-byeok, interpretata da Jung He-yeon e Oh, interpretato da Yeong-su Oh) aiutano a rendere più profonda l’intera serie: hanno storie interessanti, mostrate con un ritmo sostenuto e personaggi ben scritti. Il contorno è tutto sommato piacevole, la trama non troppo complicata da decifrare (e prevedere, almeno per me) ed il tutto è ben miscelato nel creare una serie piacevole e fluida.