The Last of Us ha debuttato il 15 gennaio su HBO Max, come adattamento televisivo del famoso videogioco. Come spesso accade quando un prodotto che ha il suo fandom affezionato, ma anche i suoi critici, viene adattato per un altro media, le aspettative, come i timori, diventano molto alte.
Con 4.7 milioni di spettatori al debutto e 8.2 milioni di persone collegate per vedere in diretta l’ultimo episodio, lo show ha quasi raddoppiato il suo pubblico. I numeri parlano chiaro: è stato un successo, secondo solo a House of the Dragon.
Con un cast scelto alla perfezione e con la scelta coraggiosa di includere Neil Druckmann, il co-presidente di Naughty Dog, nonché creatore e sviluppatore del gioco, amato ed odiato dai fan del franchise in egual misura per alcune delle sue scelte artistiche e soprattutto per la direzione presa in The last of us 2, lo show si è rivelato fin da subito vincente.
Dopo un 2022 caratterizzato dalle giuste polemiche su Resident Evil e dal licenziamento di Henry Cavill da The Witcher a causa del suo essere un purista del materiale da cui lo show prende l’avvio, uno dei tanti pregi rivelati da questo adattamento è che mostra la differenza sostanziale tra il rispettare le fonti, nei limiti del possibile, ed ignorarle completamente. È troppo facile attirare i fan con nomi ben conosciuti e poi mostrare loro un prodotto che non ha niente a che fare con l’originale.
Non funziona e i creatori di The Last of Us lo sanno.
Lo show mostra un profondo rispetto per il gioco, anche se, è chiaro, che alcune cose verranno cambiate. Quello che funziona in un gioco che può essere interrotto e ripreso innumerevoli volte, non funziona con i tempi della televisione. Ci vuole maestria e conoscenza della materia, ma con un duro lavoro di squadra il risultato che si può ottenere è ottimo.
Il casting conta
La scelta degli attori è fondamentale per il successo di un qualunque prodotto, a maggior ragione se non è originale.
Pedro Pascal (The Mandalorian, Narcos, Game of Thrones) è perfetto come Joel. Un uomo indurito dal tempo e dalla vita, che cerca in ogni modo di negare i propri sentimenti, ma che lentamente si trova suo malgrado a provare affetto per una ragazzina che potrebbe salvare l’intera umanità.
Bella Ramsey (Game of Thrones, Requiem) esprime tutta la selvaggia energia di Ellie, la sua fame di vita in un mondo sconvolto dall’infezione che ha reso la terra quasi del tutto inospitale per gli uomini, ormai costretti a vivere sotto la tirannia militare per salvare i pochi rimasti ancora non infetti.
E ancora, Anna Torv (The Newsreader, Fringe, Mindhunter) assolutamente perfetta nei panni di Tess che come Joel ha perso tutto, ma riconosce in Ellie quello che il mondo ha perso venti anni prima: la speranza nel futuro. Indurita dalla vita, che la segna anche fisicamente, Tess non mostra il minimo dubbio su Ellie, crede alla sua storia, non per cieca fede, ma perché si rende conto che i Fireflies non avrebbero rischiato tutto per salvarla se non fossero sicuri di quello che hanno per le mani. È una donna che agisce seguendo la logica, non le emozioni, e per questo la sua decisione finale lascia un segno ancora più profondo.
LEGGI ANCHE: LA SERIE DI RESIDENT EVIL – IL MALE È VEDERLO?
A differenza di quello che succede nel gioco, nel primo episodio dello show lo spettatore impara a conoscere un personaggio che altrimenti sarebbe restato nel background. Nico Parker (Dumbo) è chiamata a portare in vita Sarah Miller, la figlia di Joel.
La sua morte è uno dei momenti di svolta per Joel. Con lei muore la sua umanità. Grazie alla sua morte sia il giocatore che lo spettatore imparano a conoscere la parte oscura di Joel, quella violenta, che non si ferma finché il suo opponente non giace al suolo privo di vita. Per venti anni Joel resta come imprigionato nell’apatia. Non ha emozioni, non ha spinte per cambiare la sua situazione, anche la relazione con Tess appare stagnante, sospesa nel nulla. Solo l’arrivo di Ellie cambierà le cose, lentamente.
Non si possono non citare Nick Offerman (Good Omens, Hotel Transylvania 2, Lego Movies) e Murray Bartlett, (The white Lotus, Iron Fist, Guiding Light) rispettivamente Bill e Frank, forse i due personaggi che più di tutti sono stati cambiati e in meglio. Il terzo episodio Long, Long Time, a loro interamente dedicato è forse l’esempio più eclatante di come è possibile cambiare la storia di due personaggi secondari, fino a farli diventare iconici.
Consegnano allo spettatore alcune delle citazioni più famose di internet da:
Prenderci cura delle cose è come mostriamo il nostro amore, questa è anche la mia strada, permettimi di amarla come voglio. (Frank)
A
Portami al negozio, dove io sceglierò i nostri abiti e tu indosserai quello che dico io. Ci sposeremo e tu cucinerai una cena deliziosa, alla fine della quale sbriciolerai queste (pillole), le metterai nel vino ed io lo berrò. Poi mi prenderai per mano e mi porterai nel nostro letto dove io mi addormenterò tra le tue braccia. (Frank)
Fino allo straziante
Questo non è il tragico suicidio alla fine della rappresentazione. Sono vecchio. Sono soddisfatto e tu eri il mio scopo. (Bill)
Non approvo. Dovrei essere furioso. Ma da un punto di vista oggettivo tutto questo è dannatamente romantico. (Frank)
È un episodio che andrebbe mostrato nelle classi di sceneggiatura come esempio di come si scrive un episodio impeccabile, retto solo da due personaggi e comunque in grado di far proseguire la storia. Non è un semplice filler, ma un avvertimento per Joel, di ricordare che anche nella disperazione la speranza può essere trovata, non importa sotto quale forma.
Piccoli dettagli che rendono tutto più omogeneo
Lo show ha il pregio di chiarire alcuni dubbi che derivano direttamente dal gioco.
Nel primo episodio, con una scena che non dura neppure cinque minuti, lo spettatore è messo a conoscenza di come già negli anni Sessanta la possibilità di un’epidemia da funghi fosse stata presa in considerazione da una seppur piccola parte del mondo scientifico. Da quella scena, si passa ai titoli di testa, magistralmente eseguiti in uno show don’t tell che non lascia alcun dubbio sulla rapidità di propagazione dell’infezione e soprattutto sulla capillarità che questa può raggiungere, fino all’apertura vera e propria dell’episodio.
Come si è propagata così rapidamente questa infezione? Tutti quelli che hanno giocato a The Last of Us si sono fatti la stessa domanda. La risposta arriva dallo spaccato di vita quotidiana di Sarah e Joel che rende la loro storia ancora più tragica.
Sarah prepara la colazione a Joel, ma non c’è il preparato per i pancakes. Joel promette alla figlia di portare a casa una torta quella sera. È il suo compleanno e lui se lo è dimenticato. La torta non verrà mai portata a casa. I vicini di casa invitano Sarah a casa loro, dopo la scuola, promettendole dei biscotti, ma Sarah rifiuta, anche se andrà a trovarli. Piccoli dettagli che portano ad una stessa conclusione.
Così come è importante una scena che molti hanno ignorato. Mentre Sarah è in classe viene distratta dal riverbero del sole su qualcosa di metallico. È il braccialetto indossato da un compagno, la cui mano scatta in maniera incontrollabile.
Quindi abbiamo un colpevole
Non solo l’infezione è già cominciata, ma viene “detto” tramite cosa: la farina.
Questo viene confermato, nell’apertura del secondo episodio, dove una professoressa di micologia di Giacarta viene interrotta durante un pranzo in solitaria dall’arrivo dell’esercito che la porta dove la prima vittima dell’epidemia è conservata.
Un’apertura potente in cui una donna fragile e spaventata viene portata via solo per rivelare al mondo che non ha più speranza. Nel giro di pochi minuti, senza dilungarsi in spiegazioni inutili o mostrare scene truculente, si vede come la dinamica cambia, come il potere passa dal militare alla donna. È lei infatti quella con le risposte e le conoscenze per iniziare almeno a spiegare che cosa stia succedendo.
- Quando è successo?
- Approssimativamente 30 ore fa, in uno stabilimento per la lavorazione della farina.
- Un perfetto sottostrato
- … Chi l’ha morsa?
- Non lo sappiamo
- È ancora là fuori. Ci sono altri lavoratori che mancano all’appello?
- Quattordici
- Dottoressa Ratna, l’abbiamo portata qui perché ci aiuti ad impedire che questa cosa dilaghi. Abbiamo bisogno di un vaccino o di una medicina.
- Ho passato la mia vita studiando queste cose. Dunque la prego, mi ascolti attentamente. Non ci sono medicine. Non ci sono vaccini.
- Allora che cosa facciamo?
- Bombardi. Cominci a bombardare. Bombardi questa città e tutti quelli che ci sono.
Neanche tre minuti di dialogo che hanno la stessa potenza di un cazzotto nei denti, ma soprattutto che ci spiegano come è stato possibile per il cordyceps infettare così tante persone in tutto il mondo. Giacarta è uno dei più grandi granai del mondo. Non serve solo l’Asia, ma anche parte del mercato americano ed europeo. Ed ecco servita la perfetta apocalisse.
LEGGI ANCHE: POSTAPOCALITTICO – QUANDO LA SOCIETÀ CROLLA
Gli ultimi episodi di The Last of Us mostrano qualche problema con la gestione del tempo
Come spesso succede, oggigiorno, anche questa altrimenti buonissima serie, fa i conti con una gestione temporale un po’ azzardata. Dopo un inizio con il botto le serie subisce una battuta d’arresto che trova il suo apice nell’episodio 7, Left Behind. Mentre si può capire la necessità di dare ad Ellie un background più dettagliato, l’episodio risulta lento e decisamente troppo lungo. Lo spettatore è sì interessato a sapere come Ellie sia stata morsa, e anche al fatto che Ellie, come Joel e Tess ha perso qualcuno di importante. Solo che l’intera questione si sarebbe potuta risolvere in metà del tempo, lasciando così più spazio alle azioni che avvengono nel presente.
È a causa di questo che l’episodio 8, When we are in need, diventa forse il peggiore di tutti dal punto di vista della scrittura e delle tempistiche. È un peccato perché proprio in questo episodio viene introdotto il personaggio più perverso e crudele dell’intera stagione. Scott Shepherd (Dark Phoenix, Bluff City Law) interpreta David, un predicatore al quale sono state affidate le anime della sua comunità. Non ci sarebbe niente di male, è infatti nella natura umana cercare riparo nella fede, di qualunque natura essa sia, durante i periodi più bui, se non fosse per il piccolo particolare che David è anche un cannibale, così come i membri della sua congrega.
Già questo sposta il focus dell’intero episodio in una zona d’ombra dove la moralità è messa a dura prova. Se da una parte il cannibalismo è un tabù, lo spettatore viene messo davanti ad una domanda a cui è difficile rispondere: che cosa avrebbe dovuto fare David?
È inverno, gli animali da cacciare scarseggiano e il terreno è ricoperto di neve, inoltre sono vent’anni che l’infezione decima gli uomini. A David erano state affidate le anime e adesso deve salvare anche i corpi ma come?
Questo non giustifica la scelta fatta, ma la rende almeno comprensibile da un mero punto di vista logico. Quello che nasce come necessità si trasforma però in sadico piacere ed è allora che David diventa il villain della storia.
Il problema del cattivo in The Last of Us
C’è solo un problema. David aveva la potenzialità di diventare un grande villain, ma fin dall’inizio dell’episodio lo spettatore è messo in guardia, la sua attenzione viene così forzatamente focalizzata su tutte le red flags che il personaggio mostra che alla fine diventa una caricatura di se stesso, perdendo così di ogni qualsivoglia interesse.
Io sono un uomo buono
Basta questo per far capire che no, non lo è affatto.
Come se non bastasse, l’azione è troppo concitata, non c’è abbastanza tempo per giustificare il modo in cui Ellie e Joel scivolano nella violenza più pura, mostrando l’oscurità che non hanno mai cercato di negare ma che non è mai stata così evidente.
Joel ha passato tutto l’episodio precedente e metà di questo praticamente morto, solo per rimettersi in piedi e fare una strage stile Rambo. Giustificata quanto si vuole ma anche irreale.
Ma è verso la fine dell’episodio che sullo spettatore cade un’altra rivelazione che lascia l’amaro in bocca. David non è solo un cannibale, ma anche un pedofilo. Lo spettatore non ha ancora avuto il tempo per digerire ed accettare la natura di David, solo per scoprire che non è neppure la parte peggiore di lui. L’aver voluto mettere così tante cose in un solo episodio ne indebolisce l’impatto.
L’episodio avrebbe dovuto essere diviso in due parti così da conferire ad entrambe queste rivelazioni la potenza che hanno solo in teoria.
Non si rimane sorpresi nel vedere come Ellie si accanisce contro David, continuando a colpirlo finchè non si muove più. Niente è mostrato sullo schermo se non gli schizzi di sangue sul volto della ragazza, eppure l’impatto emotivo non è quello che si sarebbe potuto ottenere con una diversa gestione.
Il finale di The Last of US.
Il nono ed ultimo episodio Look for the Light è la perfetta esemplificazione delle unità aristoteliche. Che si parli di struttura in tre o cinque atti, la concezione resta perfetta. È la quadratura del cerchio. Joel finisce la sua missione. Ellie è consegnata alle “Luci” e tutto sembra finalmente perfetto.
Ovviamente non è così. Quando Joel si rende conto che le luci non hanno la minima intenzione di studiare Ellie, ma di ucciderla per avere accesso al suo cervello, le carte in tavola cambiano drasticamente.
Mentre a prima vista sembrerebbe un atto di estremo egoismo da parte di Joel, che non può perdere un’altra figlia, a guardare bene quello che accade sullo schermo lo spettatore comincia a capire che non è esattamente così.
Ellie potrebbe essere l’unica persona immune sulla faccia della terra. Tralasciando la biologia più o meno comprensibile o fallace, dietro la scena della sua nascita, quando arrivano all’ospedale dove le luci dovrebbero finalmente cominciare a lavorare su una cura, ci si rende conto che non esiste un piano B.
Ellie viene distesa su un lettino e anestetizzata senza ossigeno. Questo dice chiaramente quali sono le intenzioni dei dottori. Non viene fatta nessuna analisi del sangue, non vengono raccolti campioni di tessuti o di liquido spinale. No, Ellie deve morire, ma per cosa?
Joel ha ragione oppure no?
Se è la prima persona immune ad essere studiata, come fanno i dottori ad essere sicuri che solo asportandole il cervello una cura possa essere trovata? E se non fosse così, che cosa accadrebbe?
Sicuramente esiste una forte componente di egoismo nella scelta di Joel di salvarle la vita, ma a conti fatti questo non è davvero uno scenario in cui il bene di molti dovrebbe rendere il sacrificio dell’eroe almeno accettabile. Non c’è la certezza che i medici sappiano davvero cosa stanno facendo e questo rende la scelta di Joel se non condivisibile almeno comprensibile.
Voi cosa ne pensate?
8/10 per una serie fatta davvero bene anche se non perfetta. Staremo a vedere come la seconda stagione verrà accettata dal pubblico e dalla critica e che direzione prenderà anche alla luce del già annunciato recasting di Ellie.