Il postapocalittico è inflazionato? Iniziamo da questa domanda per capire di cosa stiamo parlando.
Fin dagli albori della storia l’essere umano ha sentito dentro di sé la necessità di chiedersi “cosa sarebbe accaduto dopo la fine”. Non importa se questa fine fosse quella del singolo individuo o del mondo. Gran parte delle religioni, infatti, contengono al loro interno quello che viene generalmente definita “l’Apocalisse”. Questo evento in alcuni casi rappresenta il passaggio da un’età del mondo ad un’altra, in altri semplicemente la conclusione della storia del mondo, a cui seguirà altro.
Insomma: l’ultimo chiuda la porta e spenga la luce.
Questo senso di imminente arrivo della fine spesso esce dal mondo delle religioni e contamina il mondo della fiction. Il merito va a quel meraviglioso Linguaggio della Notte tanto caro a Ursula K. LeGuin, che spesso ha il dono di essere più onesto della realtà.
LEGGI ANCHE: DISTOPIA – LA CATTIVA STORIA PER ECCELLENZA
Le tre fasi del postapocalittico
Non è quindi un caso se nella filmografia post Seconda Guerra Mondiale troviamo un gran numero di lavori riguardanti quello che accadrà “dopo la Bomba”. Hiroshima e Nagasaki sono impresse nella mente di tutti. Le tensioni tra America e URSS, entrambe dotate di tecnologie belliche devastanti, fan temere che ormai l’Orologio dell’Apocalisse stia per scoccare la Mezzanotte.
Gli anni ‘70, però, con la loro “innocenza”, modificheranno questa “fine”. “Il mondo dopo la fine del mondo” sarà sicuramente crudele, bizzarro e spietato. La razza umana, o chi per essa, è però in qualche modo sopravvissuta. L’atomo è ancora fonte di meraviglia e viene visto come pieno di potenzialità misteriose. Non è infatti un caso se gran parte della mitologia supereroistica in qualche modo si leghi ad esso. Basti pensare a i famosi X-Men della Marvel, detti anche “Figli dell’Atomo”.
Con gli anni, però, le radiazioni iniziano a mostrare il loro lato più realistico e oscuro e il mondo deve farne i conti. La Bomba e le conseguenze da essa generate non saranno l’inizio di un qualcosa di nuovo, ma solo la fine di tutto. Inoltre i temi legati all’ecologia e alla crisi delle risorse cominciano a farsi sempre più presenti nel quotidiano. Quella sensazione di fine della storia si fa così sempre più pressante.
LEGGI ANCHE: UCRONIA NEI MEDIA – COSA CI AFFASCINA TANTO?
La slow apocalypse
Gli anni successivi non aiuteranno di certo. Ci regalano la sensazione di un mondo fatto di continue cadute da cui diviene sempre più difficile rialzarsi. Basti pensare, ad esempio, alle conseguenze dell’Undici Settembre o alla Crisi che ha distrutto i sogni opulenza dell’Occidente.
La nostra società si trova quindi davanti alla sua slow apocalypse, e la domanda che si pone è: esisterà un “dopo”?
La risposta più probabile è no.
Siamo troppo iperspecializzati ormai. Incapaci di sopravvivere a una natura che ormai non conosciamo più. Troppo dipendenti da una tecnologia sempre più presente nel quotidiano. Anche la fiction di conseguenza inizia a reagire a questo e il postapolittico, almeno secondo il sottoscritto, si divide in due grossi filoni.
LEGGI ANCHE: THE QUIET YEAR – RECENSIONE
I due filoni cinematografici del postapocalittico
Da una parte abbiamo storie di sopravvivenza in cui l’eroismo o il sacrificio sono solo orpelli inutili. Ne è un lampante esempio The Road il film di John Hillcoat (2009), tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy (2006). Qui la specie umana si trova in un lento e doloroso declino sotto il gelido sguardo dell’inverno (forse nucleare, o quantomeno il testo originale lascia intendere questo). La sopravvivenza ormai non segue la legge del più forte ma solo quella della disperazione.
L’altro filone è ben rappresentato da Mad Max Fury Road (George Miller, 2015).
Lungi da me criticare un film che di sicuro ha una struttura narrativa interessante. I personaggi, inoltre, sono costruiti in maniera talmente approfondita, da diventare un esempio di female empowerment.
Reputo però Mad Max Fury Road un postapocalittico classico? Sinceramente no.
In Fury Road il postapocalittico è solo una scenografia davanti alla quale si svolge la storia. Se questa l’avessimo ambientata su un pianeta desertico e privo di risorse, non avrebbe avuto nessun tipo di cambiamento.
Ormai il dado è tratto da molti anni e Fury Road lo accetta. Non ci pone neanche il dubbio di cosa sia accaduto in passato. Né ci sbatte in faccia la stupidità della specie umana che ha portato a questa situazione. Il mondo è finito e le persone hanno fatto i conti con questo. La razza umana è già oltre, vive già nel “mondo dopo la fine del mondo”, più simili a dei coloni su di un pianeta alieno.
La sopravvivenza diviene quindi solo quella del nomade del deserto e non più quella dell’erede della Caduta. Ci possiamo così permettere di spingere l’acceleratore e di andare oltre le convenzioni etiche e morali tanto care all’umanità. Non sono spinti dalla disperazione o dalla necessità di tenere in piedi un barlume di qualcosa che non si sa più definire.
LEGGI ANCHE: HIERONYMUS – UN GIOCO DI RUOLO APOCALITTICO
I due filoni del postapocalittico in altri media
E così, anche nel mondo della fiction, ci troviamo davanti a due filoni.
Da una parte abbiamo la disperazione del realismo. In The Walking Dead (Robert Kirkman 2003), dove i veri morti che camminano sono gli esseri umani. Anche nel gdr Sine Requie (Matteo Curtini, Leonardo Moretti edito da Serpentarium), i Morti la fanno da padrone. Pur di sopravvivere a questa piaga, risvegliatisi durante la II^ GM, l’umanità cede ai più feroci compromessi. Non a caso il motto del gioco è “Solo cieca ferocia”.
Dall’altra un “mondo dopo la fine del mondo”. Qui possiamo osare e mischiare insieme qualsiasi genere senza porci troppi problemi. La vera fine, infatti, non è quella dell’umanità ma quella dei limiti.
Interessanti esempi non filmici di quest’ultimo stile ne troviamo diversi.
In Far Cry 5 New Dawn, dopo una guerra nucleare, il mondo, invece di diventare un arido deserto, vive una seconda vita per merito del Bloom. Un esplodere della natura in tutte le sue forme e colori, specialmente il rosa shocking.
In Nameless Land di Simone Morini, un gioco di ruolo edito da Eleven Aces, passiamo senza colpo ferire da biomacchine senzienti alle Terre di Tiamat, una landa da incubo che pare immaginata da David Croneberg. Fino ad arrivare a zone di mare dove le persone si vestono come i pirati dell’immaginario comune, per poi toccare veri e propri squarci nello spazio e nel tempo.
LEGGI ANCHE: ARC: DOOM TTRPG – UN’OCCHIATA AL KICKSTARTER
Conclusioni
Questo articolo è il terzo della triade che cerca di spiegare alcuni dei tre tipi fondamentali dei filoni fantascientifici e non.
Questa piccola carrellata, con cui spero di avere interessato voi lettori, si conclude quindi con la spiegazione titolo: il postapocalittico esiste ancora, forse non è più quella che ci immaginiamo, ma solo perché si è semplicemente troppo integrata a noi e all’unica verità che sappiamo: quando l’ultima bomba cadrà qualsiasi cosa verrà dopo non sarà un “dopo”, ma un qualcosa di totalmente nuovo.