Nel Regno Unito, si è recentemente riacceso il panico nei confronti della Momo Challenge, una sfida via WhatsApp rivolta ai ragazzini, che li porterebbe al suicidio. Ma la situazione non è cambiata: rimane una bufala!
Dopo il panico del 2018, la Momo Challenge torna alla ribalta, terrorizzando ragazzini e genitori e tirando in ballo persino le scuole e la polizia.
Infatti, alcuni genitori affermano che i loro figli siano entrati in contatto con la serie di sfide autolesionistiche lanciate da un’inquietante figura, Momo, mentre stavano guardando dei video su YouTube apparentemente innocenti e rivolti ad un pubblico infantile. Ciò ha, prevedibilmente, scatenato il panico, con pronte segnalazioni a YouTube, proclami allarmistici da parte della polizia e un’ampia copertura mediatica.
Tuttavia, pare si tratti anche questa volta di una bufala, ingigantita dalla psicosi collettiva: la Momo Challenge, infatti, e i suicidi ad essa legati, sono sempre stati delle bufale allarmistiche, un meme inquietante che è effettivamente girato, ma che non avrebbe mai provocato nessun morto.
Tuttavia, in questi giorni pare che tutti preferiscano “stare sul sicuro” e mettono i genitori in guardia da questo meme, che pare possa essere utilizzato per carpire i dati personali degli utenti e per veicolare il cyberbullismo, mettendo a rischio i soggetti depressi.
Vediamo brevemente la storia della Momo Challenge e analizziamo il panico di questi giorni.
Momo Challenge: da una mostra d’arte all’isteria generale
La Momo Challenge è una leggenda urbana o un creepypasta, secondo la quale una donna inquietante di nome Momo, dagli occhi sgranati e la bocca stirata in un sorriso innaturale, contatterebbe le persone attraverso messaggi, vocali e immagini su WhatsApp. Momo, in questo modo, proporrebbe alle proprie vittime delle sfide disturbanti, alle quali si è obbligati a partecipare, pena la morte dei propri familiari. Queste sfide porterebbero, alla fine, al suicidio.
Se la storia vi suona familiare, probabilmente è dovuto al fatto che di una simile sfida mortale si era già parlato in merito alla Blue Whale Challenge, per colpa della quale si temeva fossero morti svariati ragazzini nel 2017. Forse vi ricorderete che di questa sfida avevano fatto un servizio Le Iene, i cui inviati avevano fatto allarmismo su un caso inesistente (potete trovare gli sviluppi della questione in questo, questo e questo Breaking Italy).
Inutile dire che, proprio come la Blue Whale, anche la Momo Challenge contiene molto più mito che verità: sebbene qualcuno possa effettivamente aver ricevuto messaggi inquietanti firmati “Momo” (ma non ci sono conferme), al momento non si conta nessun suicidio legato a questa sfida.
Mother Bird, la scultura di Keisuka Aisawa
Le immagini stesse di questa Momo sono rielaborazioni delle fotografie fatte ad una mostra d’arte giapponese, la Vanilla Gallery di Tokyo. Qui, è stata infatti esposta una scultura dell’artista giapponese Keisuka Aisawa, impiegato alla Link Factory, compagnia che si occupa di effetti speciali. Momo non è altro che l’inquietante scultura di Aisawa, Mother Bird o, secondo Butac, Bird Mother, la quale rappresenterebbe un disturbante ibrido fra una donna e un uccello tipico del folklore giapponese, messa in mostra nel 2016.
Pare che, nei due anni successivi, le immagini di Mother Bird avessero dato vita ad una leggenda urbana nel web ispanofono: la creatura in essere rappresentata possedeva un numero di telefono e poteva contattare le persone via WhatsApp! Possiamo dunque dire che la diceria della Momo Challenge si sia sviluppata proprio fra il 2016 e il luglio 2018, quando su Reddit è stata pubblicata un’immagine di Mother Bird, debitamente tagliata per nascondere le zampe da uccello.
A quel punto, l’interesse della Rete si è acceso e solo il giorno successivo è diventato virale un video su YouTube, fatto da ReignBot, in cui si discuteva la leggenda del numero di telefono di questa Momo. Nel frattempo, la leggenda urbana di Momo era approdata anche su 4chan, nella sezione dedicata al paranormale.
I supposti suicidi indotti dalla Momo Challenge
Poche settimane dopo, il 25 luglio 2018, la polizia di Buenos Aires annunciò di stare indagando sul suicidio di una ragazzina di 12 anni, impiccatasi nel giardino di casa e col cellulare vicino a sé: secondo gli agenti, infatti, questa tragedia avrebbe potuto essere collegata con la Momo Challenge. Sicuramente, pare che la polizia volesse indagare sulle ultime conversazioni via WhatsApp della ragazza, la quale pareva essersi fatta un video prima di morire.
Poco dopo, in agosto, furono collegale alla Momo Challenge anche le morti di due ragazzi, Manish Sarki e Aditi Goyal, in India, seguite da una serie di denunce alla polizia da parte di persone che avevano ricevuto l’invito alla sfida mortale. Si tirò fuori la Momo Challenge anche riguardo il suicidio di una dodicenne e di un sedicenne colombiani a Barbosa, i quali si sono tolti la vita a poche ore di distanza l’una dall’altro, provocando la preoccupazione delle autorità. La serie di notizie fu colta dai giornali statunitensi, che ovviamente le diedero grande risonanza, scatenando la paranoia generale e facendo spuntare suicidi legati alla Momo Challenge ovunque.
Ad esempio, a novembre 2018, in Francia, René Gattino, il padre di Kendal, un quattordicenne suicidatosi, ha affermato che il figlio non si fosse tolto la vita, ma che fosse invece la vittima della Momo Challenge. Infatti, secondo i genitori, Kendal sarebbe stato troppo pieno di vita e di progetti futuri per togliersi la vita. Ad ottobre 2018, invece, è stato il tentato suicidio di un tredicenne belga ad essere associato alla Momo Challenge, visto che pareva che il ragazzo si volesse filmare mentre si toglieva la vita.
Piuttosto prevedibilmente, nessuna indagine ha effettivamente riportato alcun legame fra queste morti e la Momo Challenge, ed anzi nel caso della dodicenne brasiliana si sta indagando sulla pista dell’abuso sessuale da parte di un diciottenne e di altre persone. Le indagini e i loro risultati sono rimaste molto confidenziali, a causa del fatto che alcuni degli indagati sono minorenni, ma pare che il suicidio della ragazza possa essere stato indotto dai suoi aggressori. Ciò non toglie che il giornale che ne parla, Diario Chaco, continui a battere sulla pista della Momo Challenge (traduzione mia grazie a DeepL):
In questo senso, la possibilità di trovarsi di fronte ad una situazione legata alla Momo Challenge (Juego del Momo), di origine giapponese e che si è già diffusa attraverso i social network in tutto il mondo, ha cominciato ad approfondirsi.
Comunque, nel 2018 gli articoli di giornale in merito alla Momo Challenge si sono sprecati; qui in Italia ne avevano parlato, per esempio, Il Messaggero e Fanpage, dove comunque i giornalisti avevano anche riportato le origini del creepypasta. Nel frattempo, YouTube è stato invaso da video di patacchi tizi e tizie che fingevano di aver ricevuto messaggi da Momo o di aver chiamato la creatura, ovviamente guadagnando così migliaia di visualizzazioni.
Comunque, dopo aver vissuto il suo momento di celebrità, la Momo Challenge pareva essere giustamente finita nel dimenticatoio, fino alle ultime settimane.
Torna il panico: tutti in guardia contro la Momo Challenge!
Inaspettatamente, Momo ha avuto un ritorno di fiamma ed è tornata sulla cresta dell’onda mediatica. Sarà che riesce a far prendere un colpo a tutti anche dopo mesi che la si conosce, ma questo meme proprio non vuole morire. Vediamo cosa è successo.
Inizio febbraio 2019: Momo in Montana!
Nella pacifica cittadina di Lockwood, in Montana, la polizia locale è stata contattata per indagare su un caso di cui, stranamente, non avevano mai sentito parlare: un ragazzino era stato contattato su WhatsApp per la Momo Challenge!
La notizia riporta che il dodicenne si sarebbe rivolto ai nonni, quando Momo ha minacciato di uccidere i suoi amici (chiamandoli per nome), se non avesse compiuto le prove proposte. A questo punto, la famiglia del ragazzino si è rivolta alle autorità, che hanno diramato l’avvertimento di stare in guardia contro questo genere di sfide e di parlare con i propri figli per capire se siano stati contattati per la Momo Challenge.
Tuttavia, se l’articolo che tratta di questa vicenda nel titolo la definisce un trend di cyber-bullismo (perché se questo ragazzino è stato davvero contattato da “Momo” via WhatsApp, probabilmente è stato vittima di bulli che lo conoscevano), nel corpo del testo invece non si fa scrupoli a dare per certi i suicidi legati alla Momo Challenge. Ottimo esempio di giornalismo posato e non allarmistico!
Momo fa il level up e va su YouTube!
Visto che ormai WhatsApp è diventato noioso, la nuova isteria collettiva si è concentrata su YouTube, che si rivela un ottimo sostituto di Netflix per far guardare ai propri figli i cartoni animati.
Secondo articoli datati al 26 febbraio 2019, “numerose testimonianze” riporterebbero che alcuni bambini siano stati esposti alla Momo Challenge attraverso alcuni video di Peppa Pig e Fortnite su YouTube. Anche qui, Momo avrebbe invitato le giovani vittime a compiere azioni pericolose, come lasciare il gas aperto, o a farsi del male da soli.
La testimonianza di Pearl Woods
A Sacramento, pochi giorni fa Pearl Woods, madre della dodicenne Zoey, affetta da autismo, ha affermato che la figlia abbia quasi causato un tragico incidente, per colpa di un video su YouTube contenente la Momo Challenge.
Secondo Woods, infatti, Zoey avrebbe manifestato dei comportamenti strani durante le ultime settimane. Ma le cose si sarebbero fatte serie durante lo scorso weekend, quando la ragazzina avrebbe volontariamente lasciato aperto il gas della cucina, potenzialmente mettendo in pericolo tutta la famiglia.
Zoey avrebbe agito così su suggerimento di un video su YouTube contenente la Momo Challenge, sfuggito ai parametri impostati dai genitori per assicurarsi che la figlia potesse vedere solo contenuti adatti alla sua età. Va però sottolineato come YouTube Kids sia basato su un controllo automatico dei suoi video, che più di una volta non si è rivelato infallibile.
La testimonianza di Elli Spicer
Sempre sulla scia di queste “numerose testimonianze”, dal Kent è giunta quella di Elli Spicer, secondo la quale suo figlio di cinque anni avrebbe minacciato di pugnalare due compagni di classe a scuola a causa, probabilmente, della Momo Challenge.
Infatti, il bambino avrebbe visto Momo su molti video su YouTube e Spicer avrebbe notato che, dopo aver bandito YouTube dalla propria casa, suo figlio avesse iniziato a comportarsi meglio e che avesse “more good days at school than bad“. Prima, invece, il bambino sarebbe stato prono a dormire con i genitori a causa di brutti incubi, che addirittura, secondo la madre, gli avrebbero anche fatto fare la pipì a letto.
Anche la figlia maggiore di Spicer avrebbe visto spesso Momo su video per bambini su YouTube, secondo un post su Facebook pubblicato dalla donna, sebbene però non avesse esibito alcun comportamento anomalo. Ad ogni modo, Spicer si sarebbe premurata di modificare la faccia di Momo, affinché i suoi figli non ne fossero più spaventati.
La testimonianza di Lyn Dixon
Da molte testate viene riportata la testimonianza di Lyn Dixon, una madre inglese il cui figlio, mentre stava guardando un innocente video su YouTube, si sarebbe inaspettatamente imbattuto in Momo. La nostra simpatica amica, infatti, gli avrebbe detto di andare in cucina, di prendere un coltello e di puntarselo alla gola.
Lyn Dixon si sarebbe accorta che qualcosa non andava con suo figlio quando questi si era rifiutato di andare al piano di sopra da solo, perché aveva paura del buio, o dormire da solo nel proprio letto. Investigando meglio, Dixon si è resa conto che suo figlio aveva paura di questa Momo, che aveva visto in un video su YouTube, venendo incoraggiato a compiere atti pericolosi.
Tuttavia, l’esperienza di Dixon pare essere datata ad alcuni mesi fa, secondo il Daily Mail, e sembra che la paura generale sia tornata dopo che il bambino ha recentemente rivisto un video con Momo. Inoltre, pare che numerose altre testimonianze siano spuntate dopo che una madre ha pubblicato un post riguardante Momo in un gruppo Facebook scozzese, dopo il quale molti genitori hanno detto che i loro figli erano stati esposti alla Challenge.
Le scuole e la polizia si mobilitano contro la Momo Challenge!
Vista la recente ondata di paura, negli scorsi giorni anche alcune entità statali inglesi si sono affrettate a mettere in guardia i genitori sui pericoli della Momo Challenge.
Innanzitutto, è intervenuta una scuola, la Haslingden Primary School, che questo martedì ha avvertito i genitori dell’esistenza di video su YouTube apparentemente innocenti, ma che poi diventavano molto più cupi e violenti. Inoltre, la scuola avvertiva anche di un video intitolato MoMo, in cui una maschera inquietante incitava i bambini a compiere azioni pericolose senza avvertire i genitori.
A questo annuncio si è aggiunto anche quello della Northcott School Hull, che lancia l’allarme sulla Momo Challenge, che starebbe hackerando i programmi per bambini.
Prevedibilmente, sulla scena del crimine è arrivata anche la polizia.
Il Police Service of Northen Ireland, ad esempio, sulla sua pagina Facebook avverte gli utenti del nuovo “Momo Game”, che si andrebbe a nascondere in altri innocenti giochi per bambini. Secondo il PSNI, Momo vorrebbe farsi scaricare dai più piccoli, così da contattarli via WhatsApp o con altre app popolari e istigarli a farsi del male.
Ben meno allarmistico e più informato è stato invece il post del PSNI di Cralgavon, il cui addetto ai social media si rende conto che il mito della Momo Challenge sia “great for a short term shock effect, but not great long term as it somewhat misses the bigger issue“.
Secondo loro, infatti, qualsiasi contatto via chat con questa Momo Challenge potrebbe essere semplicemente una strategia per rubare le informazioni personali degli utenti. In alternativa, la Momo Challenge potrebbe essere accostata a tutte le situazioni in cui le chat online tra ragazzini esercitano una forte peer pressure sui membri del gruppo, facendoli sentire obbligati a comportarsi in un certo modo, pena l’esclusione sociale.
Si noti che questo genere di fenomeno può avvenire anche nei giochi di ruolo, dove i giocatori possono sentirsi obbligati a ruolare situazioni che in realtà li fanno sentire a disagio, come è emerso dal Genderplay.
La risposta di YouTube
Ora, dopo il panico che ha fatto credere che tutti gli adolescenti che si suicidano siano vittime della Momo Challenge (perché indagare sui loro problemi reali è, apparentemente, troppo difficile), vediamo un po’ se questi fantomatici video “hackerati dalla Momo Challenge” esistano.
Il Daily Dot riporta la risposta di YouTube, che non è assolutamente sorprendente:
Contrary to press reports, we’ve not received any recent evidence of videos showing or promoting the Momo challenge on YouTube.
Come poi riporta lo youtuber nostrano Shy, YouTube ha ulteriormente negato l’esistenza di video per bambini “hackerati” con Momo:
We want to clear something up regarding the Momo Challenge: We’ve seen no recent evidence of videos promoting the Momo Challenge on YouTube. Videos encouraging harmful and dangerous challenges are against our policies.
Insomma: no, la Momo Challenge non si sta diffondendo su YouTube e non esiste un complotto volto a far suicidare i bambini. In generale, la Momo Challenge non è altro che una storia inquietante, costruita ad hoc per spaventare la gente sul web e che non ha mai provocato nessuna vittima.
La paura dell’ignoto: perché la caccia alle streghe non serve?
Internet è un luogo caotico e potenzialmente pericoloso, come tutti noi sappiamo. In tal senso, non è in alcun modo diverso dalla vita reale, dove i bambini vengono spaventati dai loro compagni di classe che raccontano storie inquietanti.
Dalle testimonianze raccolte e dai controlli eseguiti da YouTube e da altri esperti del settore, pare che la Momo Challenge non sia in alcun modo un pericolo. Non solo non avrebbe causato il suicidio di nessuno, ma non sarebbe nemmeno il creepypasta o il contenuto disturbante più diffuso, o in grado di aggirare gli algoritmi di YouTube.
In tal senso, ne parla il fondatore del sito di fact checking Snopes.com, David Mikkelson in un articolo della CNN.
Is there a prevalent, global phenomenon of Momo popping up in kids’ WhatsApp accounts and YouTube videos and urging them to harm themselves or others? That claim appears to be fear-driven exaggeration lacking in supportive evidence
Nuovo materiale per troll e bulli?
Certo, c’è in effetti la possibilità che alcune persone, che siano anonimi troll online o bulli di una scuola, possano utilizzare questa leggenda urbana per tormentare le proprie vittime. Ne parla sempre Mikkelson in un suo articolo:
Possibly some children have come to harm because of Momo (although documentation of any such occurrences remains sketchy), and even if so, that phenomenon may primarily be a product of bullies and pranksters latching onto a handy mechanism to goad and torment vulnerable youngsters rather than an intrinsic part of a particular social media challenge.
Tuttavia, da sola la Momo Challenge non sarebbe pericolosa, né si tratterebbe della prima sfida horror sperimentata dall’umanità: basta anche solo pensare alla moda di recitare tre volte davanti ad uno specchio “Bloody Mary”.
Ciò che veramente mette a rischio di suicidio i ragazzini sono altri problemi, generalmente sperimentati nella vita reale, come si è visto nel caso della dodicenne morta in Brasile e vittima di violenza sessuale. Sono questi problemi a rendere gli adolescenti vulnerabili a contenuti come la Momo Challenge, magari spinti dalla peer pressure, come si diceva prima. In tal senso, ne parla la dottoressa Dawn Branley Bell, esperta di cyber-psicologia e di minacce online:
Those that are vulnerable to this type of content are likely to have other reasons behind this vulnerability.
I feel that our time and effort would be better spent concentrating on addressing the reasons behind the initial psychological vulnerability – whether that is low self-esteem, mental health issues, or environmental issues – rather than the online content.
Un vecchio modus operandi che dà tranquillità ai genitori
Il problema della Momo Challenge non è la sua pericolosità (bassissima nelle ipotesi più cupe, nulla in quelle più ottimiste), perché alla fine questa sfida spaventa i bambini grazie alla faccia disturbante di Momo. Anch’io se avessi avuto dieci anni non ci avrei dormito la notte!
Tuttavia, questa supposta sfida rischia di far perdere di vista ai genitori il fatto che siano tenuti a supervisionare sempre cosa i loro figli guardano su Internet.
Momo, infatti, è solo uno dei tanti contenuti disturbanti presenti sul web, e non è nemmeno il più pericoloso: sono decisamente più preoccupanti i canali YouTube che promuovono idee di estrema destra. Ne è, ad esempio, un esponente l’influencer Stefan Molyneux, il quale sostiene che i neri abbiano un QI inferiore ai bianchi, poiché possiedono un cervello più piccolo.
Entrare in contatto con i video di queste persone, che manipolano la realtà senza alcun dibattito e senza essere messe in discussione, può essere molto più pericoloso per i bambini, rispetto a Momo. Dopo tutto, Momo pare abbia ucciso gente in tutto il mondo, quindi almeno non è razzista!
Tuttavia, per i genitori la Momo Challenge è un nemico riconoscibile, che ha un nome e un volto e che si lega alle vecchie leggende urbane dei tempi prima di Internet. La dottoressa Lisa Sugiura, docente di crimini informatici alla University of Portsmouth, sostiene che la Momo Challenge non sia altro che uno specchietto per allodole, che distrae i genitori dai veri problemi dei figli:
Instead of being distracted by these hyped-up challenges, attention should be focused more on the risks children face on social media relating to cyberbullying, grooming and access to pornography.
Usiamo la Momo Challenge per imparare
In fin dei conti, forse la Momo Challenge potrebbe essere educativa per i genitori e potrebbe metterli in guardia sui pericoli che possono correre i loro figli.
Innanzitutto, infatti, la Momo Challenge pone l’accento sul suicidio adolescenziale, che secondo il Centers of Disease Control and Prevention è la terza causa di morte per le persone tra i 10 e i 24 anni, con circa 4.600 casi all’anno. Decisamente, un problema che i genitori dovrebbero tenere in considerazione e che non ha assolutamente nulla a che vedere con la Momo Challenge. È infatti indicativo che così tanti suicidi giovanili siano stati attribuiti ad un creepypasta, invece che ai reali problemi dei ragazzini, dei quali magari i genitori erano all’oscuro.
In secondo luogo, la Momo Challenge è utile per ricordare a tutti che lasciare i figli liberi di fronte a piattaforme enormi e con contenuti caricati dagli utenti, quale YouTube, senza supervisione non è una buona idea. Infatti, anche applicando i filtri per l’età, difficilmente gli algoritmi di YouTube riescono a scremare tutti i contenuti per adulti, specialmente se sono stati nascosti in maniera malevola.
YouTube Kids, infatti, non è un luogo così sicuro, poiché nel corso degli anni sono stati scoperti molti contenuti disturbanti mascherati da innocui cartoni animati. Si possono trovare, infatti, sia video in cui si incita al suicidio, sia video in cui Peppa Pig viene torturata dal dentista, e più recentemente una serie di video sotto i quali dei pedofili facevano commenti inappropriati su dei bambini (se ne parla anche in un Breaking Italy).
Conseguentemente, piuttosto che impanicarsi a causa di un creepypasta, probabilmente i genitori preoccupati farebbero meglio ad essere consapevoli su come vada utilizzato il web e sulle vere cause dei suicidi giovanili. Momo, alla fine, non ha davvero ammazzato nessuno; l’indifferenza e l’ignoranza, al contrario, sì.