Un’ingiustizia può essere compensata da un’altra uguale e contraria?
Per Riot Games, l’azienda proprietaria del noto gioco multiplayer online battle arena League of Legends, la risposta è affermativa. Durante il Pax West, l’azienda americana ha tenuto un workshop dedicato al game design e all’industria del gaming in generale, peccato che l’evento non fosse aperto a tutti. I giovani che si sono avvicinati hanno, infatti, trovato il seguente cartello:
Incuriositi da un workshop di Riot Games, hanno tentato di partecipare, salvo venir allontanati in malo modo. A rendere più interessante la vicenda, come se già di per sé non suscitasse abbastanza riflessioni, sono stati i commenti e i comportamenti di parte dello staff della Riot a seguito dell’evento.
Cosa dice la legge?
Parleremo dell’aspetto etico tra poco, dopo esserci concentrati sul lato legale della questione: Riot Games ha discriminato delle persone basandosi sul genere. Questo tipo di scelta è illegale negli Stati Uniti e, più nello specifico, nello stato in cui si è tenuto il Pax West: Washington. Alcuni utenti hanno preso il coraggio a due mani e hanno denunciato l’azienda, sperando che la legge potesse finalmente porre termine alle discriminazioni. Per un’industria del gaming migliore, ci auguriamo che qualcuno di autorevole ricordi a Riot Games che due torti non facciano una ragione.
Il problema riportato dalla software house è reale e tangibile: in tutta l’industria videoludica, solo una posizione lavorativa su cinque è ricoperta da donne. Questo può forse voler dire che, per bilanciare la cosa, sia giusto o corretto compromettere le possibilità degli uomini?
ASSOLUTAMENTE NO!
Ci sono dozzine di metodi (legali, altamente inclusivi e moralmente corretti) per attrarre un pubblico femminile e non binario. Ovviamente la bacchetta magica non esiste e anche la migliore delle idee necessita del giusto tempo affinché si possano vedere i risultati. Prendere invece la strada facile porta solo e soltanto a discriminazioni.
Il volto dello scandalo
L’impiegato Riot Daniel Z Klein, ideatore della proposta, è diventato velocemente l’uomo sulla bocca di tutti grazie al subreddit di LoL. In una serie di tweet, che internet non dimenticherà, l’uomo si è lanciato in tutta una serie di considerazioni riassumibili come: non si può discriminare un uomo e non può esistere il razzismo contro gli uomini bianchi.
Sebbene nessuno neghi le discriminazioni che quotidianamente subite dalle donne, le persone nere e gli appartenenti alla comunità LGBT, trovo che questo tipo di discorsi tolgano valore alle parole. Il sessismo è un’azione, un pensiero, una frase, un’espressione che sia influenzata dal sesso di una persona. Il razzismo è un’azione, un pensiero, una frase, un’espressione che sia influenzata dal colore della pelle di una persona. Questo significa che, per definizione stessa di tali parole, le donne possano discriminare gli uomini e i neri possano discriminare i bianchi. Non è detto che lo facciano nel nostro presente, tutt’altro, ma negare concettualmente questa possibilità è pericolosissimo.
Dopo le parole di Daniel Z Klein, la comunità di giocatori e la stampa videoludica (incredibilmente unita, una volta tanto) si sono concentrate sulla vicenda per lanciare il loro messaggio di solidarietà a uomini, donne e a tutti coloro che vogliano approcciarsi al mondo del gaming. Sfortunatamente tali messaggi sono stati accolti in due modi: insulti come “manbaby” e “crybaby” e, ancora meglio, l’essere bloccati da account Twitter e Reddit ufficiali. La stessa Riot Games, come azienda, sta attuando in queste ore una vera e propria epurazione di ogni pagina, commento, discussione su reddit ecc… che possano richiamare la vicenda.
L’industria videoludica ha già dato la sua risposta, si vedrà quella della giustizia americana.