Nel 2019 Capcom è riuscita con successo a riportare il grande pubblico alla Raccoon City del 1998 con l’operazione di remake di Resident Evil 2.
La terribile notte di Leon Scott Kennedy e Claire Redfield all’interno del Dipartimento di Polizia di Raccoon City, riproposta in chiave moderna, ha restituito nuova linfa vitale alla visione autoriale e alle atmosfere che hanno segnato, 22 anni fa, un punto di svolta per l’azienda e per il genere survival horror.
Sviluppato parallelamente da un team di sviluppo secondario, a un anno di distanza, Resident Evil 3 subisce la stessa operazione di revisione, andando a chiudere la visione moderna di quella sequenza narrativa del franchise che comprende la caduta in rovina e conseguente distruzione di Raccoon City, permettendoci di scoprire se le soluzioni di design adottate da Capcom con il RE Engine possano ricatturare l’originale esperienza che nel 1999 era stata proposta dal team diretto da Kazuhiro Aoyama.
L’ultima fuga
La scena d’apertura di questo titolo è una sequenza insolitamente live action di un reportage che ci mostra il contesto in cui la nostra protagonista, ex-membro del corpo speciale S.T.A.R.S. della polizia di Raccoon City, dovrà avventurarsi: la città è da diversi giorni afflitta da una terribile epidemia che ha causato diversi casi di cannibalismo e che si sta diffondendo ad una velocità spaventosa causando disordine e panico senza precedenti nella cittadina un tempo tranquilla e ormai praticamente ingestibile per via dell’origine ignota (ma che noi, insieme a Jill, sappiamo essere il T-Virus creato dalla casa farmaceutica Umbrella Corporation, una pericolosa arma biologica che porta gli infetti a diventare, praticamente, zombie famelici).
Dopo questo servizio giornalistico, chiuso da un ironico spot pubblicitario dell’Umbrella Corporation, ci ritroviamo immediatamente nei panni di una Jill Valentine che ancora risente, psicologicamente, dei terribili eventi vissuti a Villa Spencer nel primo capitolo della serie e che ora più che mai, strappata dal suo lavoro di poliziotta da un’amministrazione pubblica corrotta e gestita dall’Umbrella e costantemente sotto osservazione dagli agenti della compagnia, è schiacciata dallo stress e dal timore verso la propria incolumità mentre cerca una via d’uscita dai confini di una città divenuta la sua prigione.
Questo momento introduttivo sarà solo uno dei numerosi riferimenti agli eventi del primo Resident Evil, fondamentali per immergerci nel punto di vista di Jill e nel suo modo di rapportarsi con i personaggi che incontrerà lungo la sua difficile fuga da Raccoon City.
La giovane donna non sarà però l’unica protagonista di questa storia: ad affiancarla vi è infatti il giovane Carlos Oliveira, soldato al servizio della compagnia militare di soccorso e anti-contaminazione privata dell’Umbrella, l’U.B.C.S. che cercherà di aiutare Jill a fuggire dalla città mentre scoprirà gradualmente il coinvolgimento e le intenzioni dei suoi datori di lavoro in merito a quanto sta accadendo.
Resident Evil 3 tenta dunque di approfondire il personaggio di Carlos, il cui ruolo nell’originale era più secondario, e della sua dinamica inizialmente molto conflittuale con Jill, che giustamente diffida di chiunque abbia a che fare con la casa farmaceutica che ha innescato gli eventi in corso, cercando di distribuire diverse sezioni di gioco tra i due personaggi equilibrandole in modo che Jill resti il personaggio fulcro dell’esperienza ma permettendo a Carlos di ricoprire un ruolo più da coprotagonista che accessorio rispetto al Resident Evil 3 del ‘99.
Se quindi gli eventi chiave della storia originale restano invariati, vengono proposte nuove sequenze narrative e, a volte, modificate delle vecchie in modo da proporre una narrativa più coesa e strutturata rispetto a quanto fatto su PSX.
Il risultato è una storia dal ritmo incalzante, senza un attimo di sospensione, che riesce a dare una struttura ad una storia che, per esigenze di gameplay, all’epoca aveva avuto la necessità di restare molto vaga e in superficie, riuscendo inoltre a riallacciarsi in maniera omogenea alla storia del predecessore.
S.T.A.R.S.
Visto quanto lo scheletro di Resident Evil 3 condivide con Resident Evil 2, è naturale che questi due titoli risultino, a colpo d’occhio, molto simili a livello di gioco: se da una parte è vero che i due remake hanno un fulcro in comune, è anche vero che ci sono numerose differenze che intercorrono sul come i loro elementi condivisi sono stati utilizzati.
Iniziamo con ciò che emerge immediatamente una volta avviata la partita: Resident Evil 3 è una vera gioia per gli occhi, migliorando il lavoro fatto con Resident Evil 2 in ambito visivo sia nei modelli umani che nelle ambientazioni, lavoro che risalta ulteriormente se consideriamo lo svolgimento della storia prevalentemente all’interno di un ambiente urbano e aperto, ben più vario di un elaborato ma limitato edificio.
Anche in fatto di ottimizzazione il team di sviluppo ha svolto un ottimo lavoro, offrendo un’esperienza stabile e fluida dall’inizio alla fine nonostante la resa visiva dell’ormai collaudato RE Engine.
Il titolo riesce a comunicare efficacemente la sensazione di trovarsi braccati all’interno di una città completamente invasa, complice anche il numero di infetti che Jill e Carlos si ritroveranno ad affrontare nel corso della storia: la quantità di zombie sarà, infatti, molto più elevata rispetto agli infetti rianimati di Resident Evil 2.
Fortunatamente Jill dispone di capacità combattive più rodate rispetto al giovane Leon e all’inesperta Claire: la giovane donna potrà infatti disporre del suo addestramento e della sua esperienza come agente S.T.A.R.S. e come sopravvissuta alla minaccia del T-Virus per sfuggire ai pericoli che hanno invaso le strade di Raccoon City.
Questo si traduce, pad alla mano, in un gunplay fluido e maneggevole, che restituisce la sensazione di competenza e di esperienza della protagonista, in combinazione con un’aggiunta di gameplay iconica per Resident Evil 3 sin dal 1999: la capacità di schivare.
Con la pressione di un tasto, infatti, Jill potrà muoversi in un balzo che le permetterà di mettere distanza tra lei ed i famelici non-morti che si ritroverà arrivare da ogni direzione.
Usando la schivata con il giusto tempismo, all’ultimo momento, Jill avrà modo di effettuare un volteggio rapido speciale, che le permetterà inoltre di entrare in un breve slow-motion in cui infliggerà un danno maggiore e sparerà ad un rateo di fuoco più elevato del normale.
Sono inoltre stati rimossi gli utilizzi di granate e coltello come oggetti di supporto per sfuggire agli attacchi degli zombie nel caso questi dovessero riuscire ad afferrarci, sostituiti da un prompt a schermo che permetterà a Jill di subire un danno minore così che questi strumenti possano essere utilizzati direttamente in battaglia.
A far fronte alle capacità di Jill avremo una vera e propria città a cui sopravvivere: i nemici saranno numerosi e pronti ad azzannarla da qualsiasi angolo, richiedendo prontezza ed adattabilità di fronte alle schiere di infetti che brulicano nelle strade di Raccoon City.
Sarà dunque fondamentale utilizzare appropriatamente la schivata di Jill e fare uso sapiente degli elementi ambientali come barili esplosivi e generatori elettrici in modo da rallentare o eliminare rapidamente una grande quantità di zombie risparmiando le munizioni che, a seconda del livello di difficoltà scelto, saranno disponibili in quantità più o meno limitata.
L’espediente di utilizzare situazioni in cui Jill è braccata e in netta inferiorità numerica sarà la principale fonte di tensione all’interno di Resident Evil 3: le strade della città non sono infatti in grado di riproporre le atmosfere fatiscenti e angoscianti della centrale di polizia, orientando il titolo, così come l’originale, ad un horror più d’azione che di sopravvivenza vera e propria.
L’alta quantità di nemici presente (che sarà drasticamente aumentato ai livelli di difficoltà più elevati), inoltre, da un lato comporta un approccio molto diverso alle situazioni di pericolo rispetto a quello di Resident Evil 2 mentre dall’altro, purtroppo, ha costretto il team di sviluppo a ricorrere ad alcune limitazioni per evitare un eccessivo carico dell’engine e, di conseguenza, delle performance meno pulite: questo significa che gore, mutilazioni e animazioni dei cadaveri sono stati ridotti in favore di una presentazione un po’ più arcade di quelle meccaniche di gioco, cosa che in parte risulta essere in linea con la struttura di gioco proposta ma che a tratti sembra essere un passo indietro rispetto al lavoro compiuto con il precedente remake.
Un viaggio di sola andata
Dal punto di vista strutturale Resident Evil 2 aveva proposto una ristretta serie di macro-aree contenute (nello specifico la centrale di polizia, le fogne ed il laboratorio NEST) strutturate come labirinti interconnessi e disseminati di oggetti chiave da usare per risolvere diversi enigmi.
Resident Evil 3, anche in virtù di una dinamica più d’azione, propone invece una sequenza di hub più ridotti con obiettivi specifici e ben identificabili.
Questa struttura contribuisce ad un ritmo molto serrato in cui Jill non avrà nemmeno un attimo per riprendere fiato, costantemente sotto pressione dalla necessità di fuggire dalla città e dal Nemesis che le darà la caccia.
Al contempo non ci saranno misteri da risolvere e segreti da scoprire: Jill ha solo un obiettivo ed una priorità, vale a dire la fuga dalla città, mettendo in secondo piano la sua guerra personale contro l’Umbrella e qualsiasi scopo eticamente superiore in favore della propria sopravvivenza, rimandando la giustizia e la scoperta della verità a quando la sua vita sarà al sicuro piuttosto che perdere tempo in questioni superfluamente pericolose durante l’imminente distruzione di Raccoon City.
Questo comporta, inevitabilmente, una frequente linearità nella sequenza di sessioni di gioco che, da un lato, ha permesso il team di proporre una varietà più alta di nemici rispetto al precedente titolo (ogni area avrà, infatti, delle minacce proprie e specifiche oltre agli zombie generici) mentre dall’altro negherà spesso la possibilità di guardarsi indietro ed esplorare le aree passate, con numerosi punti di non ritorno e sequenze esplorative molto ridotte.
La struttura inquadrata del titolo, il ritmo relativamente frenetico e la riduzione di enigmi sia nella quantità che nella loro complessità, elementi di difficile contestualizzazione all’interno della narrativa proposta e dell’ambientazione effettiva, sono tutti aspetti che contribuiscono a rendere la campagna di Resident Evil 3 un’esperienza contenuta e limitata, che compensa una caratterizzazione più sostanziosa ed una narrativa più sostanziale con una longevità densa ma ridotta nella sua offerta.
Tutto ciò finisce per coinvolgere anche l’antagonista principale del titolo, Nemesis: realizzato con un’eccellente fotogrammetria, il pericoloso Tyrant potenziato non è mai stato così intimidatorio, prendendo d’assalto Jill fin dalle sequenze di introduzione della storia e dimostrando la sua tenacia, accolta spesso con frustrazione dalla protagonista, a più riprese durante le sequenze di gioco.
Come nell’originale, questa colossale mostruosità comparirà in momenti predeterminati della progressione di Jill costringendo il giocatore ad aggirare il persecutore fino alla sequenza di gioco successiva.
Diversamente dal T-103 di Resident Evil 2, che costringeva il giocatore ad una sorta di nascondino facendo funzionalmente da ostacolo che rallentasse la corsa di Leon e Claire, dunque, gli incontri con Nemesis sono più vicini ad una Boss fight in cui fuggire non sempre è la migliore delle opzioni.
L’arma biologica umanoide è infatti in grado di correre, saltare e tagliare rapidamente ogni via di fuga disponibile al giocatore, rendendo qualche volta la scelta di affrontarlo testa a testa la più comoda (benché dispendiosa di preziose risorse).
Questa scelta, diverse volte, ricompensa il giocatore con casse speciali che, come nell’originale, possono contenere oggetti e potenziamenti particolari impossibili da ottenere in altro modo.
Gli incontri di questo tipo, per quanto potenzialmente più intensi rispetto al Nemesis del 1999, sono però quantitativamente limitati e ristretti alla porzione di gioco meno lineare, dopo la quale Nemesis avrà solo alcune sporadiche comparse in sezioni più guidate (al di là delle vere e proprie Boss fight con le fasi finali della sua mutazione), rendendo questa creatura sì meglio contestualizzata all’interno della struttura di gioco e della sua narrativa (Nemesis contribuirà molto, infatti, a far presentare la personalità pittoresca della nuova Jill Valentine), ma fisicamente una presenza meno costante rispetto ai motivi originali di Shinji Mikami a proposito della sua inclusione in Resident Evil 3.
La storia si ripete
Al netto di un’esperienza più lineare e dalla longevità contenuta, Resident Evil 3 cerca di proporre anche nel suo remake una campagna densa e rigiocabile, cosa che fa attraverso una serie di espedienti che non comprendono le live selection dell’originale (che avrebbero intaccato la struttura della narrativa), bensì attraverso una serie di sfide e di livelli di difficoltà extra che presentano al giocatore una distribuzione differente di oggetti e nemici la cui quantità viene inoltre alzata considerevolmente.
Una volta completata la campagna per la prima volta sarà disponibile il negozio (riservato alla modalità Mercenari nell’originale) dove, attraverso i punti ottenuti durante il superamento di sfide e nel completamento del gioco alle varie difficoltà, sarà possibile acquistare armi e oggetti dalle proprietà particolari che verranno mantenuti ad ogni partita offrendo varietà e diverse opzioni nell’esperienza della campagna.
Con il suo ritmo dinamico, un Nemesis capace di fare da strumento narrativo in congiunzione con il mondo e le creature inserite nella storia e un’atmosfera di pericolo e tensione diversi da quelli più strettamente horror e inquietanti di Resident Evil 2, Resident Evil 3 finisce per essere un titolo solido ma che, nel complesso, fatica a sorprendere realmente il giocatore.
Condividendo molte delle scelte di design originali del gioco, questo remake riporta in epoca moderna la stessa ricezione divisiva che i giocatori si ritrovarono ad avere davanti alla release originale, spaccata in due verso Resident Evil 2 e 3 dimostrando, ancora una volta, come questi due titoli siano legati a doppio filo tra di loro.
Portando in campo un titolo sicuramente solido, ma privo del taglio netto, dell’ambizione e del salto di progresso messo in gioco dal remake di Resident Evil 2, questo nuovo rifacimento sembra infatti essere limitato più dagli elementi meno riusciti dell’originale (la storia più marginale, la struttura action, l’esperienza contenuta) che dal lavoro svolto con le nuove tecnologie.
Lo scheletro di gioco programmato con il RE Engine porta Resident Evil 3 ad assomigliare più ad un Resident Evil post-Raccoon City che ai primi due capitoli, facendo riemergere alcune perplessità che finiscono per essere messe al di sopra dell’effettiva qualità produttiva del titolo.
Accompagnato da Resistance, una modalità multigiocatore asimmetrica in cui una squadra di sopravvissuti dovrà far fronte ad una sorta di Dungeon Master con il solo scopo di ostacolare la loro fuga e sopravvivenza Resident Evil 3 riesce ad avere, nel suo pacchetto completo il livello di appeal universale che il suo predecessore era riuscito a comunicare e, per quanto ben riuscito nell’esperienza che propone, difficilmente riesce ad essere in grado di soddisfare nella sua totalità il pubblico.
Per il momento è ancora ignota l’intenzione di Capcom riguardo ai suoi progetti di remake: se questi servano a gettare le basi per la direzione futura di Resident Evil o facciano semplicemente parte di un progetto di restauro di quella parte più invecchiata del franchise, con Code Veronica in cantiere per il futuro prossimo, sarà una realtà che scopriremo solo con pazienza.