Joker: Folie à Deux danza sulla sottile linea tra capolavoro e nefandezza.
A cinque anni da The Joker, che alla 76a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia vinse il Leone d’Oro, Todd Phillips [The Hangover Part I and II, (2011/2013)] torna al Lido con Joker: Folie à Deux. Accanto ad un bravo seppur scheletrico Joaquin Phoenix [Gladiator (2000),Walk the Line (2005), Her (2013), etc…] sullo schermo compare anche Lady Gaga [A star is born (2018)] ormai lanciata anche nella sua carriera di attrice.
Le aspettative, viste le premesse, erano alte. Quello che era forse uno dei titoli più attesi della Mostra, ha lasciato gli spettatori in sala perplessi durante la proiezione per la stampa e i professionisti del cinema.
Il titolo della pellicola richiama la sindrome psichiatrica a causa della quale un delirio può essere condiviso tra più persone. Questo è l’assunto di base da cui la pellicola prende l’avvio.
Il primo film aveva dalla sua la critica feroce alla società e al trattamento dei malati mentali negli USA, dove il sistema tende a liberarsene più che ad aiutarli. Questa nuova pellicola, però, manca della potenza, sia nei messaggi che nelle immagini, del suo predecessore.
Joker: Folie à Deux vorrebbe riprendere il discorso da dove il primo film lo aveva lasciato, ma forse a causa degli anni trascorsi e degli eventi accaduti nel mondo da allora semplicemente non ci riesce.
La scelta del genere – musical/thriller – non aiuta. Sembra più un accozzaglia di parole messe lì a caso che un vero genere. Una confusione dovuta anche al fatto che il regista non ha chiara in mente la storia che vuole raccontare.
Il musical segue uno script ben preciso, che richiede una coreografia studiata nei minimi dettagli. Qui i pezzi musicali che non sfruttano le doti canore di Lady Gaga, si intersecano con un procedural drama del quale, onestamente, non si sentiva la mancanza.
Nomi noti per richiamare un pubblico di affezionati
Abbiamo il Joker, ma non quello dei fumetti. Il progetto è infatti il capostipite degli DC Elseworlds (simile ma al contempo diverso dal Multiverse del MCU).
C’è poi Harleen Quinzel, meglio nota come Harley Quinn. In questo film non è la psichiatra di Arkham che commette crimini in nome del suo amore per il Joker e non si getta in una vasca di acido per lui.
Infine anche Harvey Dent, che fa il procuratore. Ma ancora non presenta il volto sfigurato simbolo della perdita della propria individualità e di tutti i valori che lo accompagnano fino alla nascita di Due Facce/Two Face.
Insomma, non manca nessuno, tranne forse il Pipistrello preferito da tutta Gotham… eppure non si riconosce nessuno dei personaggi sopra citati. Sembra che i nomi vengano gettati lì, come per attirare lo spettatore, curioso di vedere personaggi che conosce da sempre. Purtroppo per lui non riuscirà a trovarli sullo schermo.
Se si fossero usati nomi diversi e originali, la storia non sarebbe cambiata, ma forse il giudizio del pubblico in sala sì!
Cosa ci vuole trasmettere Joker: Folie à Deux
In un mondo in cui non si riconosce più la differenza tra reale e virtuale, la pellicola ha la pretesa di mostrare come le relazioni parasociali possano influire in maniera negativa sulla realtà di tutti i giorni.
Se la società non è più in grado di distinguere tra attori e personaggi, come può ancora accedere e beneficiare della catarsi che l’Arte offre da sempre?
Grazie alla facilità di fruizione delle notizie, sia vere che fasulle, la società moderna ha il potere di creare nuovi dei, ma anche di abbatterli.
Il Joker diventa allora ispirazione per tutti coloro che dalla società e dai media si sentono abbandonati. Coloro che fino a quel momento non avevano voce, si rispecchiano in questo clown triste e disperato. Nascosti dietro una maschera, come il Joker è nascosto dal trucco di scena, si sentono liberi di sfogare le proprie pulsioni più violente.
Tutto questo avviene nel primo film, senza mai mancare di rispetto al tema della malattia mentale, ancora troppo spesso stigmatizzata. In Joker: Folie à Deux la carte in tavola cambiano. Il divario tra coloro che vedono la malattia mentale come alibi e quelli che invece vorrebbero cercare di curarla si fa ancora più profondo.
LEGGI ANCHE: Dylan Dog Batman – Sbarco in America
Joker e Arthur – il nome del personaggio interpretato da Phoenix – diventano portabandiera di due realtà diverse.
La massa vuole Joker, perché in lui vede qualcuno che possa giustificare le pulsioni più basse dell’essere umano. Seguirlo vuol dire non essere responsabili della violenza che si vuole compiere, essere assolti mentre lui è l’unico colpevole.
Arthur è l’uomo dietro la maschera, quello che deve essere distrutto perché debole, perché ci vuole un capro espiatorio e se lui esiste, allora Joker non può essere reale. Se Joker non è reale la società non ha un leader che la guidi nel caos.
Se si ama il Joker, non si può e non si deve amare Arthur!
La folla crede di conoscere Joker. Lo ama, lo venera anche. Joker è colui che ha fatto quello che tutti loro avrebbero voluto fare, ma senza il coraggio di farlo veramente, ma la folla non lo conosce veramente. Conosce di lui quello che hanno visto mediato dallo schermo di un televisore o dalle parole scritte sul giornale.
Dunque una critica a questo modo di pensare, che riguarda soprattutto le nuove generazioni, alla disperata ricerca di qualcosa in cui credere e di qualcuno che possa comprendere il loro disagio e il bisogno di appartenere ad un luogo che da soli non riescono a trovare.
LEGGI ANCHE: Joker – Re Per Una Notte
Solo che il massaggio, per buona parte del film, non arriva, non con potenza almeno. Joker diviene un’idea. Ma come può un’idea essere ingabbiata, quando per sua natura dovrebbe essere libera?
La risposta a questa domanda arriva nella maniera più ovvia, e ancora una volta richiama alla mente quello che avviene nella Marvel, da sempre rivale dall DC. Joker è un titolo, non un personaggio. Una maschera dietro la quale chiunque si può nascondere!
Allora, se un mito tradisce i propri fan tutto quello che si può fare è punirlo. Strappargli la maschera affinché solo l’uomo rimanga e donare quella stessa maschera a qualcuno di più degno, in attesa di un nuovo, imperdonabile errore, che farà sì che il ciclo si ripeta all’infinito.
L’uomo deve morire affinché la leggenda viva per sempre!
Conclusioni
Un film pretenzioso e pretestuoso, che ama sentire il suono della propria “voce” e della propria morale. Sufficiente perché Phillips sa come si lavora con una telecamera, ma che lascerà con l’amaro in bocca.
È un’opera che sicuramente porterà la gente in sala a che farà entrare soldi nelle casse della WB. Purtroppo però è una pellicola che non ha niente a che vedere con il primo film. Forse (IMHO) Joker: Folie à Deux sarebbe dovuto restare nella mente del regista, per non rovinare quello che di buono era stato fatto con The Joker!