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Hellboy (2019): La Recensione

A quindici anni di distanza dall’omonima pellicola di Guillermo del Toro, torna nelle sale Hellboy in un reboot che non potrebbe essere più diverso dall’originale, nel bene e nel male.
Sebbene sia stato accolto in maniera negativa da pubblico e critica, questo nuovo adattamento non è completamente da buttare.

Regia

Dietro alla macchina da presa troviamo Neil Marshall, regista di numerosi horror (tra cui spicca The Descent – Discesa nelle tenebre) ma noto al grande pubblico per due episodi de Il Trono di Spade: l’assedio di Approdo del Re nella seconda stagione e l’attacco alla Barriera nella quarta. [Avete letto la nostra recensione del primo episodio della nuova stagione? La trovate qui.]

Sceneggiatura

Ad occuparsi della sceneggiatura, invece, troviamo il disegnatore originale e creatore del personaggio di Hellboy: Mike Mignola. La sua presenza faceva ben sperare sull’aderenza al fumetto e questo è uno dei pochi aspetti su cui il film, effettivamente, non delude.
Proprio come sulla carta stampata, infatti, la violenza è molto presente sia a livello verbale che visivo, al punto da essere classificato come VM17 negli Stati Uniti. In Italia, al contrario, non sono state applicate restrizioni ma mi sento di sconsigliarlo a chiunque fosse sensibile alla vista del sangue e non fosse amante del genere splatter/gore.

TRAMA

Durante la Seconda Guerra Mondiale, con l’aiuto del mistico Rasputin, i nazisti evocano un demone dalle profondità infernali per usarlo come arma nel Progetto Ragnarok. Interviene il BPRD (Bureau for Paranormal Research and Defense) con l’intento di eliminare la minaccia ma uno dei componenti, il professor Bruttenholm, decide di adottare il demone e di addestrarlo come agente dell’organizzazione.

In seguito ad una serie di avvenimenti e di incontri, Hellboy scoprirà le proprie origini e il proprio destino come portatore dell’Apocalisse. Starà a lui decidere se adempiere al proprio compito o provare ad opporsi all’ineluttabilità degli eventi.

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DIFETTI

Una groviera di banalità

La trama riesce ad essere troppo banale e contemporaneamente confusa: costellata di buchi e sovraccarica di personaggi, viene ulteriormente penalizzata da continui balzi nel tempo e nello spazio. Ciò che si ottiene è un minestrone di folklore russo e leggende su Re Artù, con un pizzico di nazismo a condire il tutto.
A peggiorare la situazione ci sono la scarsa caratterizzazione dei personaggi (fatta eccezione per il protagonista) e la superficialità delle relazioni tra di essi. Nonostante il cast vanti attori del calibro di Ian McShane, quasi tutti risultano monodimensionali a causa della povertà di scrittura della sceneggiatura.

Una CGI non all’altezza in tutte le occasioni

Come se non bastasse, la CGI è più che ballerina: a parte scene in cui si vede un po’ troppo chiaramente l’uso del green screen, la resa digitale delle creature va dal mediocre di alcune all’inclassificabile di altre, arrivando a rovinare del tutto scene altrimenti godibili.

Il risultato finale è a dir poco trash ma questo potrebbe anche essere passabile, volendolo considerare un B-movie. L’impressione è che l’effetto sia voluto ma, a tratti, viene un po’ il dubbio che sia scappata la mano alla produzione.

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MUSICHE

Le musiche originali sono state composte da Benjamin Wallfisch, nome già noto al grande pubblico per It, Blade Runner 2049 e Shazam! [di cui trovate la recensione qui!].

La colonna musicale rappresenta una sorta di anello di congiunzione tra passato e presente, includendo classiconi targati Mötley Crüe ed Alice Cooper, per poi passare a brani più recenti di artisti come Muse, X Ambassadors e Royal Blood.

Personalmente, devo ancora riprendermi dal trauma della versione spagnola di Rock You Like a Hurricane degli Scorpions inserita ad inizio film. Va ammesso che si armonizzi bene con il livello di trash generale della pellicola ma resta comunque un colpo al cuore.

PREGI

L’aspetto registico

Buona la regia di Marshall che, in alcune scene, sceglie la tecnica del piano sequenza (per capirci, quella usata da Iñarritu per Birdman e da Cuarón per il segmento iniziale di Gravity). Sicuramente è una scelta apprezzabile sebbene sia insolita per questa tipologia di film, che finisce per ricalcare un po’ il genere di Dog Soldiers, commedia horror nonché primo lungometraggio del regista.

David Harbour e il personaggio di Hellboy

Una nota positiva è data da David Harbour, davvero sul pezzo nel ruolo di Hellboy e calato nel personaggio. Reduce da cinecomic non particolarmente apprezzati dalla critica quali The Green Hornet e Suicide Squad, qui ha avuto modo di riscattarsi e di distinguersi con un’interpretazione almeno un paio di spanne superiore a quella di tutti gli altri attori, complice anche la scrittura più attenta del protagonista. Essendo rappresentato un Hellboy adolescente (almeno in anni “da demone”) è apprezzabile l’assenza di risvolti amorosi nella trama ed è più comprensibile l’uso, da parte sua, di un linguaggio gratuitamente sboccato.
Peccato solo che la sua interpretazione perda un po’ nel doppiaggio italiano, nonostante a dargli la voce sia il più che navigato Adriano Giannini (Heath Ledger ne Il cavaliere Oscuro).

Trucco

Gli effetti speciali prostetici sono un balsamo per gli occhi: i truccatori hanno fatto un lavoro eccellente e compensano alcuni disastri della CGI ma questo non stupisce, essendo stati guidati dalla sapiente mano di Joel Harlow (premio Oscar per Star Trek nel 2010).

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CONSIDERAZIONI FINALI

Hellboy nel complesso è un film divertente, intrattiene lo spettatore senza risultare pesante, macchinoso o lento. Anzi, semmai è vero il contrario: risulta trash, a tratti banale e superficiale.

A mio parere, la violenza esplicita e i contenuti grafici sono la punta di diamante del film perché è raro trovare un cinecomic così poco family friendly e così vicino allo spirito del fumetto da cui è stato tratto, di cui rispecchia appieno il mood cupo e a cui rende omaggio con numerose citazioni.

Dulcis in fundo, hanno tenuto un personaggio molto amato dal pubblico per il finale, il che fa ben sperare per un sequel. Ma se ne sente davvero il bisogno o, come per Hellboy: The Golden Army di Del Toro, sarebbe il caso di lasciare il cliffhanger sospeso nel nulla?

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