Nuova puntata di Narrabilia, nuova storia da sviscerare: quali sono i temi profondi del Frankenstein di Mary Shelley? Tra hybris, mostri creati dalla società e bisogno di riconoscimento.
Ho riflettuto molto su cosa portarvi questo mese qui per Narrabilia. Marzo contiene in sé l’inizio della primavera – anche se quest’anno non sembrerebbe – e la Giornata internazionale della donna. Avrei potuto parlarvi di mimose e lotta sociale, ma non essendo la persona più qualificata per farlo, ho scelto qualcos’altro.
L’11 marzo del 1818 veniva pubblicato un romanzo di cui ancora oggi si sente parlare spesso – non sempre a proposito. È Frankenstein, o Il moderno Prometeo, scritto dall’allora giovanissima Mary Shelley.
Una storia in cui si parla, in un certo senso, di rinascita (proprio come la natura che rifiorisce in primavera), scritta da una donna: il tema perfetto per questo marzo 2022. E se questo vi sembra un aggancio stiracchiato, aspettate di vedere cosa ho pensato per aprile.
Questo articolo è la terza puntata della rubrica Narrabilia, in cui facciamo a pezzi le storie per capirne meglio il senso e le origini!
Ecco le puntate precedenti:
I Fratelli Grimm: l’inizio di tutte le storie;
Orfeo ed Euridice: una storia d’amore e d’oltretomba.
Leggi anche: DE PROFUNDIS – L’ORRORE CHE ARRIVAVA PER POSTA

La genesi di Frankenstein
Frankenstein di Mary Shelley è un titolo che tutti conoscono, fosse anche solo per la versione cinematografica di Kenneth Branagh. Nell’originale ci sono meno addominali, comunque.
La genesi del romanzo è leggendaria. Coinvolge un personaggio di cui abbiamo avuto modo di parlare anche a Dionigi Podcast.
Era il maggio del 1816. La diciottenne Mary Shelley era ospite, assieme alla sorella Clair, al marito Percy Shelley, al loro figlio neonato e John Polidori, di Lord Byron a Ginevra. In realtà, Percy a questo punto non era il marito: i due si sarebbero sposati solo nel dicembre dello stesso anno, quando lei era già alla gravidanza numero tre.
Il 1816 fu noto come “l’anno senza estate”, quindi il gruppo si trovò a passare le piovose giornate al chiuso. E, in uno scenario che rappresenta probabilmente l’essenza del Romanticismo, Byron lanciò una sfida: scrivere ciascuno la propria storia di fantasmi. E come se non bastassero i fiumi d’inchiostro versati sul Vampiro di Polidori, in quell’occasione prese vita anche l’idea che sarebbe poi diventata Frankenstein.
Leggi anche: H. P. LOVECRAFT: TRA IMMAGINE E RAPPRESENTAZIONE

La trama di Frankenstein in breve
So che Frankenstein è uno di quei romanzi gotici che non hanno bisogno di presentazioni, ma per completezza le farò comunque.
Frankenstein o Il moderno Prometeo ci narra la storia di uno scienziato, Victor Frankenstein appunto, il cui sogno è creare un essere umano perfetto, longevo e intelligente. Il tutto a partire dalla materia inanimata, in cui per “materia inanimata” si intende “pezzi di cadaveri”. Bello il gotico.
Comunque, Frankenstein riesce nel suo intento, ma lui per primo è disgustato dalla sua Creatura e la abbandona. La Creatura senza nome sviluppa un forte sentimento di vendetta nei confronti di chi lo ha rigettato (Victor e l’umanità stessa), il che porta a una lunga serie di morti.
Il finale della storia (così come il suo principio) ha luogo tra i ghiacci del Polo Nord, dove sia Victor che la sua Creatura trovano la morte. E insomma, tutto è bene quel che finisce bene.
Leggi anche: HASTUR – COLUI CHE NON DEVE ESSERE NOMINATO

La figura di Prometeo: la sfida agli dei e la hybris
Sebbene il romanzo sia relativamente breve, raccoglie in sé un bel ventaglio di temi sia antichi, sia prettamente romantici, sia attuali. E quali sono?
Innanzitutto, avrete certamente notato che l’altro titolo di Frankenstein è Il moderno Prometeo, che fa tanto salotto intellettuale.
Prometeo, il cui nome significa “colui che riflette prima”, secondo la mitologia greca era un Titano, quindi una divinità antica. I Titani nascono infatti direttamente dal cielo Urano e dalla terra Gea – anche se questo non è in realtà il caso di Prometeo, figlio del Titano Giapeto e di una divinità oceanina (Climene o Asia a seconda delle versioni). Comunque sia, è di quella fetta di teologia greca che stiamo parlando.
Ora, come spesso accade, il mito di Prometeo contiene un sacco di roba e si collega a un sacco di altri miti, ma a noi interessa solo la parte saliente. Prometeo, amico degli uomini e fautore del progresso, ruba il fuoco agli dei per donarlo all’umanità. Ovviamente, nella miglior tradizione greca, la cosa per lui va a finire malissimo. Oggi Prometeo è essenzialmente noto come “il tizio incatenato a una rupe con un’aquila che gli mangia il fegato per l’eternità”. Che tocco di classe, Zeus, scegliere l’unico organo che si rigenera.
Ne abbiamo parlato anche per Orfeo, quindi non vi dico nulla di nuovo facendovi notare che anche questa è una storia di hybris. Perché nel mito greco la si passa liscia per tante cose brutte, ma non per la tracotanza nei confronti degli dei.
Prometeo quindi nell’immaginario collettivo è colui che sfida gli dei. Ma non solo: la metafora si espande e prende una forma più frastagliata. Diventa la ribellione nei confronti dell’autorità, il sapere libero dai vincoli e dalle imposizioni. E, in Frankenstein, l’uomo che sfida la natura stessa.
Leggi anche: MIDSOMMAR – UN HORROR ALLA LUCE DEL SOLE

La creazione del male e le responsabilità della società
Di personaggi à la Prometeo la storia è piena – e ne sbucano di nuovi anche ai giorni nostri. Ma per citarne giusto uno particolarmente interessante, farò un solo nome: Satana. Sia nella versione della religione cristiana, sia in quella descritta nell’opera del 1667 di John Milton, Paradiso perduto.
Il bello è che, a ben vedere, anche in Frankenstein si parla in qualche modo della creazione del male. E questo ci porta al nostro secondo punto.
Se il tema prometeico di Frankenstein di Mary Shelley fa riferimento alla responsabilità dello scienziato, c’è anche un’altra responsabilità che viene tirata in ballo: quella della società. E a questo tema, ne assocerei un altro ancora: quello del riconoscimento. Ma andiamo con ordine.
La Creatura di Victor Frankenstein nasce, fondamentalmente, buona. L’abbandono da parte del suo creatore, il rifiuto, il terrore dell’umanità nei suoi confronti non fanno altro che renderla il Mostro che tutti la credono. E infatti sarà la Creatura stessa a incolpare la società per quello che l’ha fatta diventare.
In sostanza: non esisterebbe nessun Mostro di Frankenstein se la gente non avesse visto per prima un mostro. E la carneficina che ne consegue non è altro se non la concretizzazione di un pregiudizio.
Ovviamente quando Mary Shelley scriveva tutto ciò tra il 1816 e il 1818, quella che aveva in mente era la società del suo tempo: fortemente patriarcale, fortemente chiusa, fortemente condizionata da rigide norme sociali. Eppure, storie simili a quelle della Creatura di Frankenstein non mancano anche in tempi recenti – e non parlo per forza di opere strettamente derivative.
Leggi anche: EDGAR ALLAN POE THE HORROR GAMEBOOK – RECENSIONE

Il Pinguino: cattivo perché non può togliersi la maschera e il mondo lo vede solo come mostro
Un esempio che mi è sempre piaciuto particolarmente è quello del personaggio di Oswald Cobblepot/Pinguino, nella versione raccontataci da Tim Burton nel 1992 col suo Batman Returns.
Anche se noi non vediamo mai un Pinguino buono nel film, è chiaro come Oswald in realtà non abbia mai avuto scelta se non diventare cattivo. Viene immediatamente abbandonato dai genitori per via del suo aspetto e Batman sospetta di lui prima ancora che ce ne sia motivo. Perché Bruce Wayne, pur avendo un lato oscuro, è inserito nella società, è l’eroe. Oswald non può togliersi “la maschera” e può solo essere ciò che il mondo vede in lui: il Pinguino.
Il Joker: il bisogno di riconoscimento dalla società
E rimanendo a Gotham, non si discosta troppo da questi temi nemmeno il film Joker del 2019. Ed è qui soprattutto che emerge l’aspetto del riconoscimento.
In Frankenstein la Creatura non ha nemmeno un nome, elemento importantissimo nei romanzi del suo tempo, per sottolineare la sua mancanza di identità all’interno di una società che non la riconosce. In Joker abbiamo qualcosa di simile.
Ciò che mi colpì sin dalla prima visione infatti fu un dettaglio: quando Arthur cerca di entrare nell’ospedale in cui è ricoverata la madre, le porte scorrevoli non si aprono. Arthur è talmente indifferente al mondo che nemmeno le fotocellule lo vedono. E ciò che lui vuole è essere visto. Essere riconosciuto. E questo desiderio frustrato lo trasformerà in Joker, così come il desiderio frustrato della Creatura di essere amata la trasformerà nel Mostro.
Leggi anche: THE LIGHTHOUSE – UNA SENTINELLA SULL’ES?

Alcune parole conclusive su Frankestein
Frankenstein di Mary Shelley è un romanzo che, dopo oltre 200 anni, continua a essere letto. E non solo perché, per colpa o per merito dei Mostri Universal, è entrato a far parte della cultura pop.
Continuiamo a tornare da Frankenstein perché i suoi temi erano e rimangono rilevanti. Dall’umanità che desidera continuare a progredire a coloro che, rimasti ai margini, vogliono una società capace di riconoscerle: siamo tutti un po’ Prometeo, siamo tutti un po’ Creatura.