Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

A Classic Horror Story è troppo italiano?

Oggi parliamo di A Classic Horror Story, un film horror uscito su Netflix il 14 Luglio, diretto da Roberto de Feo e Paolo Strippoli. Un film horror italiano, forse troppo italiano – citando Boris – che fatica a stupire come The Nest e si lancia, nel finale, in retorica spicciola ma condivisibile.

Ovviamente l’articolo è pieno di spoiler riguardanti il film, pertanto se siete interessati a guardarlo non andate oltre, e tornate a film visionato.

La Trama di A Classic Horror Story

Elisa (Matilde Anna Ingrid Lutz) si trova a condividere il viaggio verso la clinica IVG con Fabrizio (Francesco Russo), Riccardo (Peppino Mazzotta), Mark (Will Merrick) e Sofia (Yuliia Sobol). Il viaggio in camper si interrompe con un brusco incidente, che lasci tutti incoscienti: al loro risveglio si trovano in una radura nel pieno della Calabria, davanti ad una gigantesca casa dalla porta rossa.

Qui apprendono della leggenda di Osso, Carcagnosso e Mastrosso, tre cavalieri che giunsero in italia e fondarono le note organizzazioni criminali di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. I tre cavalieri appaiono, quindi, circondati da fedeli in maschere animali, reclamando ogni sera qualcuno dei personaggi, sacrificandolo.

Rimasti soli, Elisa comincia a sospettare, giustamente, di Fabrizio, il quale si rivela essere membro dell’organizzazione. Inizialmente Elisa viene catturata, riuscendo poi a fuggire, uccidere il ragazzo e trovare la salvezza in una spiaggia gremita di bagnanti.

A Classic Horror Story 1

A Classic Horror Story è un ottimo film italiano

Non seguo molto la cinematografia italiana, nonostante riconosca che ci sono grossi capolavori senza la necessità di scavare in Dario Argento agli albori. A ricordarmelo è Il Cielo In Una Stanza di Mina in ingresso, già sentito per Dogman di Garrone, capolavoro del Canaro (al contrario di Rabbia Furiosa di Stivaletti).

Ho cominciato a guardare A Classic Horror Story, un film che si preannunciava abbastanza Pulp già dal titolo, con interesse. Ogni inquadratura aveva un po’ di qualcosa, un po’ di già visto come ormai è per tutto l’horror attuale. Ed è così che ho notato sprazzi di The Chainsaw Massacre, La Casa, Quella Casa nel Bosco, Midsommar, Le Colline hanno gli Occhi. Ma non si trattava di semplice plagio, bensì di idee differenti rappresentati in modi simili.

Messo di fianco a questi film, ovviamente, A Classic Horror Story non ne esce bene. Di fronte alla pletora di film italiani, invece, vince a mani basse, per varietà e qualità delle scene. Nonostante ciò, si perde nel finale, con una retorica spicciola che assomiglia quasi alla frigna di un cane che si morde la coda.

A Classic Horror Story 2

Ed è allo stesso tempo troppo italiano

I difetti del film rimangono però i soliti noti: l’audio e la recitazione. Il primo, in molti casi, è confusionario, spesso incapace di trasportare l’osservatore nel film vero e proprio, con ambienti preponderanti sulle voci o viceversa. La seconda, invece, rimane prerogativa di alcuni elementi, perlopiù concentrati intorno ai personaggi sopra le righe, primo tra tutti Fabrizio. Ragazzo dalla parlata difficile, spesso si ritrova ad essere al centro di lunghi monologhi poco ispirati e mal scritti. Unico pregio una scena che assomiglia dannatamente a C’era una volta ad Hollywood, nel quale Francesco Russo viene aiutato da una brava Alida Baldari Calabria. Peccato, perché Matilde Lutz è sul pezzo, assieme a Mazzotta, e hanno personaggi tutto sommato piacevoli e definiti.

L’ultimo difetto rimane quindi la critica, retorica contro gli spettatori annoiati e critici che dispensano giudizi verso il cinema (mio dio, sta parlando di me) horror. Il problema è che per muovere una critica tale, cercando di rompere la quarta parete, bisogna limare anche i difetti che il cinema italiano si porta dietro da anni a questa parte e A Classic Horror Story non lo fa. Così come non ce la fa The End di Misischia, che condivide le stesse problematiche: audio orribile e recitazione un po’ scadente.

A Classic Horror Story 3

Quindi l’horror italiano è morto?

Diciamo che è più un sonno a tratti: ciclicamente subentrano nel panorama italiano film che fanno ben sperare, ma non tutti riescono nel miracolo (esattamente come nel cinema americano, vedi qua). A Classic Horror Story poteva cominciare con l’inquadratura della lunga tavolata a pranzo, con Matilde Lutz incastrata e inorridita, la polizia complice come colpo di scena, alla Hostel. Perfino l’inizio rimane senza alcuna risposta, nel vuoto, a ricordare il parto del secondo Le Colline hanno gli Occhi. Invece mette insieme molte idee, molti spunti, molte citazioni, che però si perdono.

Perché non basta, purtroppo, criticare come la cronaca nera sia l’attuale horror (vedevo già questa retorica nei primi dieci numeri di Dylan Dog) né di come il popolo bove sia incapace di criticare saggiamente; soprattutto, poi, dopo aver fatto uscire il film su Netflix (anche se potrebbe essere stata esigenza in tempi di pandemia). Insomma, finché continueremo a frignare che l’horror italiano non ingrana, e a produrre roba poco fluida, non si andrà da nessuna parte.

E dire che De Feo con The Nest era riuscito a creare una narrazione fortissima, interessante, inquietante e italianissima. Esattamente come ci è riuscito Guadagnino con Suspiria, un remake del Darione nazionale ricco di personalità e preziosissimo negli horror contemporanei. Quindi si possono ottenere ottimi risultati; basterebbe forse non pretendere che tutti arrivino a sbancare al botteghino.

Iscriviti alla newsletter dei cercatori

Per non perderti mai i nostri articoli, gli episodi dei podcast, e le live su twitch