Disincanto è una serie animata approdata su Netflix nel 2018; da allora ha accumulato 30 episodi, passando attraverso tre stagioni, l’ultima delle quali è uscita solo recentemente sulla piattaforma. A gravare sulla reputazione della serie il suo creatore, Matt Groening, creatore di niente popò di meno che I Simpsons e Futurama, due serie nell’olimpo del piccolo schermo.
Non stupisce, quindi, che parlare di Disincanto in maniera oggettiva sia difficile. È la stessa disincanto, come a volersi staccare a forza dal nonno, a costruirsi una storia orizzontale oltre alle molte verticali, cercando un nuovo limbo da chiamare casa. Arrivati alla fine della terza stagione è tempo di tirare le somme e capire se Disincanto ha o non ha raggiunto l’obiettivo.
La Principessa Tiabeanie tra pregi e difetti
La protagonista di Disincanto è la principessa Tiabeanie, chiamata affettuosamente Bean da conoscenti e sconosciuti. Una principessa volutamente fuori dal canonico, assente ad ogni appello di responsabilità e lontanissima dalla corte per modi e indole. Nulla di troppo originale, volendosi soffermare su questa banale quanto giusta descrizione. Aggiungendo un solido alcolismo e una propensione ai piaceri della carne la situazione varia un po’, mentre il fondo non fa che sottolineare quanto il personaggio dovrà positivizzarsi per guadagnarsi il pubblico.
“Se c’è una pistola nell’inquadratura, presto o tardi questa dovrà sparare“; è una frase che ricordo, sebbene non ricordo dove l’abbia sentita. Il miglioramento di Bean, necessario quanto scontato, fatica però a palesarsi. La pistola spara numerose volte a salve, parafrasando quanto detto, e il continuo fare cilecca dell’arma, nel tempo, non rende lo show godibile quanto vorrebbe. La prima e la seconda stagione, in netto contrasto con la terza (e per ora ultima) subiscono questo effetto, mostrandoci una strada che però non viene mai percorsa. Questo, a mio parere, è il difetto più grande (e successivamente il grandissimo pregio) della nostra protagonista: il non voler essere la protagonista, il fuggire dal suo ruolo.
La serie nella Prima e Seconda stagione
La Principessa Tiabeanie si muove nel mondo favoloso di Dreamland, un posto troppo magico dai tratti irriverenti e utopici ai quali Matt Groening ci ha abituato. Una visione di medioevo quasi troppo fantasy, al punto da fare il giro e diventare reale, con personaggi secondari piacevoli e comparse memorabili. Zog, il padre di Bean, è un Re incompetente, burbero e scontroso; Elfo, il suo amico fidato, è uno sfortunato e ingenuo tenerone. Perfino Luci, il perfido demone di Bean, si tratteggia la sua parte tra il cinismo e l’acidità.
La prima e la seconda stagione, proprio a causa della facilità con la quale ho descritto questi personaggi, fatica spesso ad ingranare. Un po’ come è successo con i Simpson, le prime battute sono strane; anche se in tempi diversi, si è dovuto aspettare per avere quello che abbiamo ora, e non nego di aver guardato Disincanto spesso per noia più che per piacere. Nonostante tutto, lentamente Disincanto ha acquisito rispetto, con alcune piccole scene, alcune puntate memorabili e piccoli frammenti di critica attuale. Le prime due stagioni hanno introdotto il mondo, inserendo personaggi secondari ottimi e spesso più forti della stessa Bean (e mettendola quasi in secondo piano) alimentando una trama orizzontale alle volte lacunosa e disimpegnata.
La Terza Stagione vale? Certamente.
Con questi pareri approcciarmi alla terza stagione non è stato semplice: ero convinto di trovarmi di fronte l’ennesima stagione di setup mentre Disincanto, dal 21esimo episodio in avanti, mi ha stupito. Disincanto è riuscito a toccare moltissimi argomenti interessanti, con risvolti davvero piacevoli nelle ultime puntate. E se le prime due stagioni non fossero state altro che la costruzione di un gigantesco aeroporto, ed ora gli aerei stiano decollando? Questo il pensiero che mi è balenato nella mente al chiudersi del trentesimo episodio.
Con la terza stagione lo sviluppo di molti personaggi comincia a palesarsi. La pistola spara, finalmente, aiutandosi con ottime basi e piacevoli intermezzi che ci calano più in profondità dentro la protagonista, ancora in balia di altri attori ma forse finalmente decisa a prendere il suo posto al centro della sua storia. A subirne le conseguenze sono purtroppo i personaggi secondari, sacrificati per dare spazio a Bean, ma sono sicuro che riusciranno anche questi a risplendere.
Osservare con l’occhio del passato il futuro
Come dicevo, parlare di Disincanto è difficile perché troppo spesso appare evidente lo strappo di Groening dai suoi due precedenti progetti. Una volta, però, che si prova a vedere Disincanto affiancato a quello che erano Futurama e Simpsons durante i loro primi colpi, il distacco non sembra così difficile da recuperare. Certamente si tratta di un altro spettacolo, con altri obiettivi e struttura, ma penso che Disincanto abbia, se approcciato con la giusta pazienza e audacia, ottime possibilità.