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Videogame e avversione alle perdite

Dopo aver parlato di Lovecraft, quest’oggi voglio parlare dell’avversione alle perdite nei videogame.

In anni recenti, la visione classica dell’economia è stata fortemente messa in discussione. I problemi interni alla teoria erano già presenti in tempi precedenti ma mai come adesso, grazie agli studi di carattere cognitivo, alcuni elementi fondamentali vengono contestati e rivisti. Si assiste quindi a un passaggio da quello che è un’economia che pretende di essere, ad un tempo, descrittiva e normativa (teoria della scelta razionale) a un’economia che cerca di ricoprire un ruolo più propriamente descrittivo, cercando di raccogliere dati attraverso esperimenti e di studiarli per poter descrivere al meglio il comportamento dell’essere umano.

Molteplici sono le violazioni sistematiche che gli uomini compiono quotidianamente rispetto alla teoria economia classica (che prevede un comportamento pienamente razionale dell’attore in questione). Ciò che, però, vorrò prendere in esame è, probabilmente, l’errore sistematico più importante e sfruttato nella cultura moderna, cioè l’avversione alle perdite. Questo tipo di errore consiste nel percepire le perdite in maniera molto più negativa (circa il doppio), rispetto ai guadagni. Provando a spiegalo con un esempio:

Supponiamo di avere un oggetto x, che non è proprietà di nessuno. Supponiamo adesso di avere due gruppi, A e B, composti da persone. Questo oggetto viene dato a uno dei due gruppi, supponiamo il gruppo A. In seguito viene chiesto a entrambi i gruppi di dare un prezzo al bene x: A per venderlo, B per comprarlo. Il risultato, documentato da molti esperimenti, come per esempio quello condotto da Kahneman, Knetsch e Thaler (1991), è che il prezzo del gruppo A sarà circa il doppio di quello del gruppo B. Il gruppo B, non possedendo l’oggetto, non è sotto l’effetto dell’avversione alle perdite e quindi darà un prezzo circa la metà inferiore. Il gruppo A, poiché l’oggetto è di suo possesso, e quindi soggetto l’avversione alle perdite, percepirà come più doloroso il distaccamento da quello stesso oggetto. Ciò viene chiamato effetto dotazione.

Sulla base di questo fenomeno molti elementi e molti settori hanno dovuto modificare le loro strategie di marketing e progettazione dei loro prodotti. A ciò non si tira indietro neanche il settore videoludico, dove molti giochi usano il principio di avversione alle perdite per poter influenzare il giocatore, intaccando sia l’atmosfera del gioco che le meccaniche tecniche.
Alla luce di ciò, l’interesse del presente lavoro è di mostrare come l’avversione alle perdite influisce fortemente la progettazione di un videogioco, cioè quello che viene chiamato in gergo game design.

Prendiamo un gioco iconico come il Monopoli. Chi ha intrapreso una sessione di questo passatempo, ha probabilmente provato un forte senso di frustrazione nel vedersi costretto a pagare un altro giocatore o dover vendere i propri alberghi.
Il senso di stress provato è riconducibile a quello che è l’avversione alle perdite, infatti ci si ritrova costretti a perdere qualcosa di guadagnato e ciò, unito anche all’impossibilità di controllare i movimenti della propria pedina, causa un forte senso di insoddisfazione. 

Un altro gioco dello stesso genere è Catan, un gioco strategico dove bisogna conquistare territori e espandere la propria fazione. All’interno del gioco, come nel Monopoli, è possibile erigere delle costruzioni, con la differenza che le costruzioni non possono mai essere distrutte e, una volta costruite, rimarranno per sempre. Ciò solleva il giocatore dallo stress provocato dall’avversione alle perdite, rendendo il gioco più piacevole e appetibile. Per questi motivi il gioco, nella sua nicchia, ha avuto un notevole successo e ha avvicinato giocatori non avvezzi al genere (casual gamers), a differenza del Monopoli, dove i casual gamers non sono invogliati a ritentare.

Un altro esempio è il gioco Dark Souls, gioco dall’ambientazione tesa e tetra, dove il giocatore sarà messo a dura difficoltà da un sistema di gioco punitivo e da un grado generale di difficoltà molto alta, che lo porterà a morire ripetutamente anche per superare un singolo dungeon (questo gioco ha dato  vita a un nuovo genere videoludico, chiamati soulslike, dall’ovvia ispirazione, e che hanno conosciuto una grandissima diffusione recentemente).
Proprio la meccanica di morte sfrutta il principio dell’avversione alle perdite. Ogni volta che un mostro viene ucciso genera delle “anime”, la moneta del gioco, che vengono utilizzate per poter potenziare il proprio personaggio aumentandone caratteristiche o comprando oggetti. Le “anime” , inoltre, non sono in grande quantità e devono essere ben dosate per ottenere un personaggio equilibrato per poter proseguire il gioco. Ogni volta che un personaggio muore, le “anime” cadono nel punto in cui il giocatore è morto. Il giocatore resuscita in un ceckpoint e può riprendere le “anime” ritornando nel punto dove è morto precedentemente. Se però muore nel tentativo di raccoglierle, le anime scompariranno per sempre, causando un terribile senso di stess, frustrazione e ansia.
In questo caso, questa meccanica, viene utilizzata per rendere ancora più opprimente l’atmosfera del gioco, generando tensione nel giocatore e spingendo quest’ultimo a migliorare le proprie strategie e abilità, rendendo i giocatori più propensi a compiere scelte calcolate invece di agire impulsivamente.

You Died | Know Your Meme

Una caratteristica dei giochi di questo genere è, inoltre, la possibilità di avere degli inventari  “infiniti”. Nell’avanzare del gioco gli oggetti che vengono ottenuti diventano sempre più forti, facendo diventare obsoleti o completamente inutili gli oggetti precedenti. Essi possono essere venduti in cambio di denaro, che può essere speso per avanzare nel gioco. La scelta più logica sembra quindi quella di vendere gli oggetti inutili per poter ottenere denaro ma ciò, nella stragrande maggioranza dei giocatori, non avviene. Si tende, infatti, a conservare tutti gli oggetti ottenuti durante il percorso, adducendo a motivazioni come “potrebbe servire in futuro”, cosa che ogni giocatore sa essere non vera. Questa scelta è spiegata dell’esperimento condotto da Jiwoong Shin e Dan Ariely dell’Università di Duke. Venivano poste 3 porte, la cui apertura comportava una certa scelta, una delle quali decisamente più conveniente delle altre. L’aprire una di queste porte non comportava la scomparsa delle altre, tranne se una porta non fosse stata ignorata per x round di fila. Una volta individuata la porta più conveniente, secondo i dettami dell’economia classica, l’attore avrebbe dovuto percorrere sempre questa via, poiché la più razionale. Si è notato, invece, che gli attori tendevano, nel momento in cui sapevano di star perdendo una di queste porte, ad aprirle, per non distaccarsi da qualcosa di posseduto, nonostante questa scelta non abbia alcun tipo di base razionale. È questo lo stesso ragionamento che governa la tendenza dei giocatori a conservare gli oggetti ottenuti ma inutili.

Diversa è invece la situazione che si viene a creare con i giochi che vengono chiamati survival horror, come per esempio The Last Of Us. In questi giochi lo scopo è sopravvivere in un mondo post apocalittico, dove zombi o infetti sono una minaccia costante, in un ambiente pieno dei toni tetri di un mondo post-apocalittico. Le armi, le munizioni, i medikit, gli oggetti necessari per il  miglioramento del proprio equipaggiamento, sono sparsi per tutta la mappa. Essi risultano difficili da trovare e in quantità ridotte. Come se non bastasse l’inventario è composto da pochi spazi, rendendo dolorosa ogni scelta che comporti il dover lasciare indietro qualche oggetto o il dover decidere di rinunciare a un oggetto posseduto in per altri trovati per strada (soprattutto ai livelli più alti di difficoltà)[1]. In questo caso il meccanismo di avversione alle perdite agisce in queste scelte, creando un costante senso di oppressione e di tensione.

Un ultimo esempio è Portal, un puzzlegame, dove, attraverso la creazione di portali, sarà possibile raggiungere la fine del livello. Non è difficile trovare dei cubi sparsi per il gioco che, usati nelle più fantasiose delle maniere, saranno fondamentali per progredire con la storia.
In un livello, però, è presente un cubo speciale, dove si trova un cuoricino, chiamato Companion Cube, poiché sarà necessario trasportarlo per l’intera durata del livello e “prendersene cura”.
Nella parte conclusiva dello scenario, per poter proseguire con il gioco, sarà necessario dover rinunciare al cubo, buttandolo in un inceneritore, provocando una sensazione di perdita e di tristezza nel giocatore.
Ciò che stavolta entra anche in gioco in questo livello è quello che viene chiamato effetto incorniciamento, secondo il quale in base a come ci viene presentato un quesito, la nostra scelta verrebbe influenzata dal modo di presentazione stesso (malattia asiatica, Tversky, Kahneman, 1981). Durante il percorso, delle informazioni e dei consigli vengono dati al giocatore (nella figura accanto si può vedere come si consigli di dare “amore” al cubo). Ciò induce il giocatore a creare una sorta di legale emotivo con il cubo, dato sia dai messaggi, sia dall’unicità del cubo. La tristezza generata al momento della separazione è dovuta, appunto, dall’effetto combinato dell’avversione alle perdite e l’effetto incorniciamento, che ci spinge ad affezionarci a questo insolito oggetto. Ma ammettiamo che, in un altro livello, il cubo presenti un teschio e i messaggi che ci vengono veicolati siano di carattere negativo, un cubo che bullizza gli altri cubi o che compie qualsiasi altro atto malvagio. Proveremmo la stessa sensazione di tristezza e abbandono? Oppure non ci peserebbe?  In base a come ci viene presentato l’oggetto le emozioni che uno stesso gioco può suscitare mutano in maniera sostanziale. Nonostante la scelta, in questo tipi di giochi, sia praticamente obbligata, il saper sfruttare questi sottili meccanismi psicologici, permette agli sviluppatori di dare un tono particolare all’ambiente e di guidare il giocatore verso le emozioni che si vorrebbero suscitare.

Attraverso questi esempi, ho cercato di mostrare come la riuscita di un buon prodotto, almeno in campo videoludico, dipenda dall’utilizzo o meno di questi tipi di espedienti psicologici, in modo da poter sfruttare gli errori sistematici delle persone. D’altra parte, però, il non tenere conto o incentivare in maniera troppo pressante questi tipi di aspetti può portare a frustrazione e alla non riuscita di un gioco. Un esempio è il famoso videogioco League of legends, dove, in un’arena 5 v 5 è necessario arrivare alla base nemica e far esplodere il Nexus per vincere la partita. È presente un sistema di ranking, dove risulta necessario accumulare dei punti per poter scalare la classifica. I punti  vengono calcolati attraverso un algoritmo (MMR-Matchmaking Rating). A causa di un cattivo algoritmo, il gioco risulta per molti giocatori troppo punitivo, costretti a perdere più punti di quelli guadagnati per singola partita[2]. In questo caso, l’avversione alle perdite gioca un ruolo fondamentale poiché, la perdita di una partita sarà percepita in maniera molto superiore rispetto alla rispettiva vittoria. Ciò porta molti giocatori a un livello marcato di stress che può sfociare, nei casi più estremi, in comportamenti aggressivi (lanciare oggetti, rompere periferiche di gioco) o all’abbandono del gioco[3].  In quest’ottica, quindi, il sapere applicare i principi dell’economia cognitiva può fare la differenza dal produrre un gioco mediocre o un buon gioco, un ottimo gioco da un capolavoro, e deve essere parte integrande del game design di ogni videogioco.


[1] In molti videogiochi è possibile scegliere il livello di difficoltà. In The Last Of Us, ai livelli più alti, oltre a morire molto più facilmente, diventa più difficile trovare oggetti, e ciò rende ancora più marcata la sensazione di “lasciarsi qualcosa dietro”.

[2] Se con una vittoria ottengo 15 punti e con una sconfitta ne perdo 18, significa che, per continuare a salire, il rapporto vittorie sconfitte sarà di circa 2:1, dove i punti ottenuti da una vittoria vengono ampiamenti coperti da una sconfitta.

[3] Il gioco in questione ha un notevolissimo successo ma, questo aspetto, è uno dei più criticati della community.

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