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“To the Moon”: recensione

Immaginate di stare per morire.
Siete anziani, siete malati. Avete accettato l’idea che, presto, la vostra vita finirà. Gettando uno sguardo alla lunga strada percorsa, cambiereste qualcosa?

Una tentazione affascinante quella proposta dal videogioco “To the Moon”, primo capitolo della fortunata saga che ne prende il nome. Un piccolo gioiellino indie a 16bit, sviluppato con motore grafico RPG Maker, che fa della semplicità il suo maggior pregio: una grafica essenziale e retrò, modalità di gioco single player, nessun combattimento da vincere e nessun enigma da risolvere. Solo la bella e commovente storia di un rimpianto.
Sviluppato e pubblicato da Freebird Games, “To the Moon” è stato rilasciato su Steam il 1 novembre 2011.

Trama

La “Sigmund Agency of Life Generation”, meglio nota come “Sigmund Corp.”, è un’azienda che offre un servizio rivoluzionario in materia di fine vita. Chi firma un contratto con la Sigmund richiede che, nelle ore prima che il suo cuore cessi di battere, i suoi ricordi vengano manipolati per donargli un’illusione. Può essere qualsiasi cosa: vorrei aver sposato la donna che amavo, vorrei aver visto il mondo, vorrei aver detto a mio figlio che gli volevo bene. La Sigmund mette a disposizione una coppia di tecnici che si presenterà a casa del paziente quando lui, o lei, avrà già perso conoscenza. Il team, grazie ad una prodigiosa tecnologia immersiva, prenderà visione dei ricordi chiave del paziente e ne innesterà di artificiali fino al raggiungimento dell’obiettivo.

Se già l’occasione narrativa si presta splendidamente per spezzare il cuore del giocatore, la storia non è da meno.
Johnny Wyles, il paziente, vuole andare sulla Luna ma non ricorda il perché. Qualcosa di questo folle sogno lo tormenta, a dispetto di una lunga vita felice con la donna che amava, River (sì, le citazioni in questo gioco si sprecano). Chiede alla Sigmund di donargli la pace, prima che muoia.
Eva e Neil, il team di dottori inviato a studiare le sue memorie, fanno spallucce e si mettono a cercare. È il loro mestiere, e di richieste strane ne hanno ricevute a bizzeffe.
La sfida di srotolare i ricordi di un uomo dalla sua vecchiaia alla sua infanzia invece che in senso inverso (come è protocollo nei lavori dell’azienda) presenta qualche difficoltà, soprattutto se non sai da dove ha origine un desiderio: la confusione del giocatore cresce con quella dei pg, Eva e Neil, che si imbattono in diverse memorie imprecise e discordanti. Si fa strada la sensazione di star mancando qualcosa di fondamentale, di aver perso un tassello del puzzle.
E quando finalmente tutto torna e il mistero si risolve (al termine delle quattro/cinque ore di gioco), davvero non si riesce a provare la sensazione di aver vinto.

I personaggi

I due personaggi giocanti sono la dottoressa Eva Rosalene e il dottor Neil Watts, la coppia di tecnici mandata dalla Sigmund per completare il lavoro sull’anziano Johnny Wyles.
La trama risulta arricchita già dalla loro semplice presenza, che mostra una dinamica interpersonale profonda e realistica. Eva è seria, responsabile e gentile; Neil è sarcastico, comico, imprevedibile. Lavorano in coppia da anni, e anche se un interesse romantico non è mai mostrato sullo schermo, sembra essere il motore che porta avanti la loro trama personale. Nei successivi capitoli della saga sarà questa loro dimensione sentimentale, un po’ ambigua, a decidere le sorti del gioco.

Johnathan Wyles, spesso chiamato nel corso della storia “il paziente”, è il fulcro della narrazione. È la sua vita che va dipanandosi nel corso delle ore di gioco, deviata nel suo percorso da tanti piccoli fattori concatenati, dove il tema della memoria e della perdita giocano un ruolo fondamentale.
Il Johnny che conosciamo all’inizio del gioco è un uomo dolce, quieto, logorato dal lutto per la perdita della moglie, avvenuta qualche anno prima. Si affida ai tecnici con pazienza e con una sorta di tenue speranza, senza mostrare paura o frustrazione al pensiero della morte ormai imminente.

River Wyles, la moglie, è invece un personaggio che porta un’ombra di mistero sul gioco. È una donna affettuosa, confusa e triste, ricordata attraverso una serie di comportamenti innocui ma inspiegabili: il profondo legame verso un peluche di un ornitorinco, l’ossessione nel realizzare decine e decine di origami a forma di coniglio, l’abitudine di attribuire un nome al faro vicino alla casa in cui lei e Johnny vivevano.

Questa profonda incompatibilità di pensiero tra lei e il marito macchia di dolore e tristezza i ricordi di Johnny, che avrebbe voluto meglio comprenderla quando lei era ancora in vita.

Meccaniche di gioco

La difficoltà di definire “To the Moon” secondo normali canoni è l’elemento che più di tutti caratterizza il gioco.
“To the Moon” è un’esperienza narrativa interattiva con visuale isometrica, basata esclusivamente sui dialoghi e sulla storia, che è senza dubbio un gigantesco punto di forza. Gli effettivi elementi ludici sono ridotti all’osso, e consistono esclusivamente in brevissimi puzzle tra un ricordo ed il successivo. Online questo gioco è definito come un adventure, benchè privo di veri momenti di esplorazione o avventura; oppure come gioco di ruolo, a dispetto del fatto che le scelte del giocatore non influiscono sull’andamento di trama. Ci rassegniamo a definirlo come una sorta di visual novel in mancanza di un termine più esatto: un peccato, perché questo gioiellino meriterebbe una definizione ancora più evocativa.
Il gioco è attualmente acquistabile su Steam, insieme ai successivi capitoli della saga, ed è disponibile per Windows, macOS, Linux e dispositivi mobili iOS e Android.

Musiche

La colonna sonora di “To the Moon” è, insieme alla scrittura della storia, l’elemento che è stato maggiormente apprezzato sia dalla critica che dal pubblico giocante. Include un brano di Laura Shigihara, “Everything’s Alright”, e numerose altre tracce composte dallo stesso Kan Gao, che si occupa con evidente piacere del compito di farci soffrire inutilmente con appena qualche nota.
Le musiche sono strumentali e malinconiche, principalmente suonate al pianoforte, e sono spesso elementi espliciti di narrazione: una menzione d’onore va alla “canzone di River” (sì, River’s Song, avete capito bene), il cui spartito è disponibile in casa di Johnny sin dai primi minuti di gioco.
Altri elementi sonori sono soltanto quelli legati a rari oggetti (porte et similia), poiché il doppiaggio è completamente assente.

Molte altre cose sarebbero da dire su questo gioco.
Giunti ai titoli di coda la sensazione di aver appena vissuto la vita di qualcuno ti lascia un po’ stranito, intristito, come a chiederti come abbia fatto un’esperienza così profonda a durare così poco.
Volendo verbalizzare, si potrebbe dire che “To the Moon” offre un modo meraviglioso di parlare della vita e della morte, di rimpianti e rimorsi, oltre naturalmente a proporre con infinita delicatezza il tema controverso dei “ricordi illusori”. Ma questo voler razionalizzare non porterà mai giustizia ad una storia profondamente umana e verosimile, ad una storia d’amore come se ne vedono poche, a dei personaggi che, volente o nolente, amerai molto.

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