Dopo le polemiche dovute al design dell’iconico riccio blu, il film Sonic the Hedgehog è finalmente sbarcato nelle sale. Avrà deluso le già scarse aspettative o sarà riuscito a riscattarsi? Scopriamolo insieme.
SPOILER ALERT: nell’articolo non incapperete in spoiler di trama, a meno di andare ad aprire le apposite tendine. In ogni caso, la storia è talmente lineare da farvi capire il finale già dopo i primi 10 minuti di pellicola.
TRAMA
Sonic, per usare le sue stesse parole, è “una piccola palla blu di super energia”. Ancora bambino, si vede costretto ad abbandonare il proprio pianeta per sfuggire a chi vuole sfruttare i suoi poteri, finendo per trovare rifugio sulla Terra. Dieci anni dopo lo troviamo a Green Hills (da notare il riferimento a Green Hill Zone, primo livello del primo videogioco), una piccola cittadina di provincia nel Montana, dove vive nell’ombra per non farsi scoprire. La solitudine e la frustrazione sono tali da fargli perdere il controllo, causando un’onda elettromagnetica che lascia al buio buona parte della costa pacifica.
Il governo degli Stati Uniti non riesce a venire a capo del mistero e, seppur a malincuore, incarica il Dottor Ivo Robotnik (Jim Carrey) di scoprire le cause del blackout e risolvere la situazione. Il bizzarro scienziato, che dimostra una smodata passione per l’intelligenza artificiale e l’automazione, ci mette ben poco a trovare le tracce della fonte di energia ed è deciso a carpirne i segreti.
Per sottrarsi al pericolo, Sonic si intrufola nella casa dello sceriffo Tom Wachowski (James Marsden) con l’intenzione di traslocare in un nuovo mondo ma, per una serie di circostanze, perde gli anelli dimensionali e deve recuperarli per non restare bloccato sulla Terra. Non senza qualche perplessità, Tom accetta di accompagnarlo e partono insieme alla volta di San Francisco, con il Dottor Robotnik alle calcagna. Riuscirà a ritrovare gli anelli e a raggiungere il Pianeta dei Funghi?
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE
Questa pellicola ha una storia travagliata: dall’acquisto dei diritti da parte della Sony Pictures (2013) all’uscita nelle sale, infatti, sono passati oltre sei anni. Ce ne sono voluti tre per trovare un regista e altri due per iniziare le riprese, con il passaggio del progetto nelle mani della Paramount Pictures, da cui è stato poi distribuito. Per l’Italia se ne sono occupati i 20th Century Studios.
La produzione è frutto della collaborazione tra case giapponesi (Sega Sammy Holdings e Marza Animation Planet Inc.) e statunitensi (Original Film e Blur Studio).
Ma la vera pietra dello scandalo è senza dubbio il design del protagonista. Gli effetti visivi sono stati curati da ben quattro società (Industrial Light & Magic, Blur Studio, Digital Domain e Moving Picture Company) e i fan hanno scatenato una sorta di rivolta quando è stato rilasciato il trailer, al punto da convincere la produzione a commissionare un restyling completo del personaggio. L’aspetto finale, infatti, è molto più fedele alle proporzioni del Sonic a cui i videogiocatori sono affezionati.
Le malelingue sono arrivate a supporre che questo incidente sia stato un’abile mossa di marketing ma il redesign è arrivato a costare 5 milioni di dollari e ha comportato un ritardo di tre mesi nella distribuzione, dunque risulta irrealistico pensare ad un volontario auto-sabotaggio di tali proporzioni.
Detto questo, la produzione sembra essersi ampiamente rifatta delle spese sostenute, battendo il record d’incassi nella prima settimana di proiezione per un film ispirato ad un videogioco, finora detenuto da Detective Pikachu.
PREGI
Iniziando dalle qualità della pellicola, il personaggio di Sonic risulta sufficientemente curato: buona l’idea di non renderlo solo veloce nei movimenti, ma di sottolineare anche l’aspetto logorroico e petulante della sua personalità. Interessante anche il taglio introspettivo dato al riccio blu, che deve fare i conti con la propria solitudine e con la consapevolezza di essere un mero spettatore delle esistenze altrui, non potendosi mostrare ad anima viva. Ad interpretarlo in facial motion capture e a doppiarlo in lingua originale troviamo Ben Schwartz (voce di Quo nella nuova serie di DuckTales).
Fortunatamente Jim Carrey tiene in piedi il tutto, calandosi perfettamente nella parte di quello che ritengo il miglior personaggio del film: il Dottor Robotnik, infatti, è sfaccettato e inquietante, vanaglorioso e stravagante, senza mai mancare di sottolineare il proprio amore per i robot e l’infallibilità delle macchine. Questo potrebbe aprire la strada a quelli che saranno i nemici di Sonic nei possibili sequel.
Va sottolineato, però, che ci si trovi di fronte ad uno stadio quasi “embrionale” del Dottore, che qui conserva ancora una parvenza di lucidità, se non di sanità mentale.
Il messaggio del film è abbastanza classico ma efficace: il viaggio non è il tema centrale ma un espediente, un mezzo per scoprire l’importanza dell’amicizia e riflettere sulle priorità della propria vita. Di certo non si può dire che sia un’idea originale o innovativa ma funziona bene soprattutto con la fascia di pubblico più giovane.
Per quanto ci potesse essere il timore di un eccessivo fanservice, i riferimenti e le citazioni al videogioco sono state ben dosate, non risultando mai preponderanti o troppo telefonate.
Infine, per quanto non sia nulla di memorabile, la colonna sonora non è affatto malvagia.
DIFETTI
Il problema più evidente del film è la trama: definirla inconsistente garantisce il podio al campionato mondiale di eufemismi. La storia si sviluppa in modo a dir poco lineare, banale e prevedibile, per di più basando il tutto su una premessa senza capo né coda.
A questo si aggiunge il taglio eccessivamente infantile dato non solo a Sonic (giustificabile in quanto adolescente), ma anche all’umorismo del film: trovarsi di fronte a battute sui peti, infatti, lascia davvero interdetti ed è un espediente del tutto evitabile. Si nota una discreta difficoltà anche nell’adattamento di alcuni giochi di parole (come “fungi” – “fun guy”).
Come se non bastasse, la pellicola ha anche evidenti problemi di ritmo e alterna momenti rapidi ad un’eccessiva ripetitività delle gag comiche, finendo per annoiare lo spettatore.
Il personaggio di Tom, inoltre, risulta appena abbozzato nella scrittura e la mancanza di elementi impedisce di scalfire la superficie. Allo stesso modo, per quanto le scene con la cognata facciano effettivamente sorridere, la sua presenza finisce per essere ingombrante e non viene neppure fornito un valido motivo per giustificare il suo astio nei confronti di Tom.
Un ulteriore scivolone è stato lasciare troppe porte spalancate per il sequel, privando la pellicola di alcuni elementi che avrebbero potuto darle maggiore spessore e tridimensionalità. Si ha l’impressione che tutta la parte “succosa” sia stata tenuta da parte per i capitoli successivi e concentrata nelle scene finali, oltre che nel cameo dopo i titoli, ma il risultato è una trama scarna che ruota intorno a pochi (abbozzati) personaggi.
Dal punto di vista tecnico, la CGI è ballerina: mentre regge bene il colpo con la resa dei droni e delle ambientazioni, risulta scarsina nelle scene d’azione e i personaggi sembrano quasi “gommosi” durante gli scontri diretti.
CONCLUSIONI
Sonic the Hedgehog non brilla certo di luce propria ma neppure si può dire che sia un film tremendo, anzi, si posiziona nell’assoluta mediocrità.
Volendo riassumere i suoi difetti in un unico macro problema, si potrebbe imputare il tutto ad una scarsa consapevolezza del target a cui è stato rivolto. Non è chiaro, insomma, se l’intento fosse portare al cinema chi è cresciuto con i videogiochi di Sonic o i bambini che non lo conoscono affatto. In entrambi i casi, il risultato è un minestrone senza nulla di memorabile e non fa venire molta voglia di rivederlo.
Chi mi conosce sa che io abbia ideato una specifica categoria in cui far rientrare questo tipo di prodotto, ovvero “Film da vedere in TV il sabato sera, quando si è a casa con la febbre”.
Ecco, per Sonic the Hedgehog non è nemmeno necessario che la temperatura sia troppo alta: basta anche solo un piccolo malanno stagionale a fornirvi una buona scusa per guardarlo. Se non altro, consente di addormentarsi sul divano senza il timore di non riuscire più a seguirlo, al proprio risveglio.