My Name è una serie drama sudcoreana arrivata recentemente su Netflix. Otto episodi da 60 minuti raccontano le vicende di Yoon Ji-woo, ragazza orfana di padre assassinato perché facente parte di una gang, infiltrata nella polizia per scoprirne l’assassino.
Pur non essendo un grande fan di polizieschi, mi sono avvicinato a My Name per testarne il valore; più di una volta ho provato a lanciarmi su altre serie poliziesche (vedi C.S.I, Montalbano o Il Commissario Rex) senza grandi risultati. My Name, ovviamente, stacca di netto a livello qualitativo le serie più trash, ma rimane comunque nel raggio di azione del “bello ma sembra una soap”. Da qui, appunto, il confronto con la nostra serie poliziesca preferita: Carabinieri.
Attenzione: la recensione conterrà spoiler!
Guardie, Ladri e Infiltrati
Yoon Ji-woo è una ragazzina con grossi problemi a scuola; è la figura del padre, Song Joon Su, che si dice essere un gangster, a fornirgli più problemi. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, però, il padre viene assassinato. Determinata a cercare il colpevole Yoon comincia a setacciare la città, finendo nelle mani di perfidi criminali. A salvarla dalla feccia di basso borgo è Choi Moo-jin, leader criminale nonché amico fraterno di Song. Yoon si unisce quindi alla gang con l’obiettivo di infiltrarsi nella polizia e trovare chi, tra i poliziotti indagati, ha ucciso suo padre.
Entrata in caserma, però, le cose si complicano; il suo capo, Cha Gi Ho (Kim Sang-ho) è una volpe astuta quanto determinata. Il suo secondo, Jeon Pildo (Ahn Bo-Hyun) non è da meno, e si interessa subito alla nuova recluta, mettendo Yoon in difficoltà. I due, difatti, si trovano spesso fianco a fianco, cosa che rende il mestiere della talpa difficile e comincia a creare anche un certo tipo di rapporto, difficile da accettare per entrambi.
Bello l’inizio, peccato per il dramma
Prima di saltare a conclusioni affrettate, ci tengo a specificare come My Name sia, qualitativamente, su altri livelli rispetto a Carabinieri (ovviamente). Le scene d’azione, tutte molto ben coreografate, sono interessanti a volte e si lasciano guardare altre volte. La recitazione c’è, gli inseguimenti pure. Ottima la fotografia, in più di un’occasione davvero straordinaria.
Il problema sta nel come la trama si snocciola e di come la relazione tra Yoon e Jeon matura; fin dal primo istante si capisce dove i due andranno a parare, c’è quel sottotesto romantico palpabile. Il problema sta proprio in questo: la relazione uccide ogni serietà della serie, soprattutto quando i due combattono da ammanettati stile “Pirati dei Caraibi”.
In sostanza, quindi, My Name è un buon prodotto, con alcuni alti, altri bassi, ma tutto sommato buon risultato.