Analizziamo perché la Disney abbia deciso di distribuire Mulan su Disney+ a 29$: ecco l’anatomia di un esperimento commerciale.
Immagino una realtà in cui prevedo l’arrivo della pandemia globale. Qui non mi comporto come un buon personaggio protagonista che fa di tutto per scongiurare il pericolo. Passo i mesi precedenti il disastro ad elencare mentalmente gli effetti che questo avrà su di me. Ebbene, nemmeno in questo ipotetico scenario avrei mai potuto immaginare che uno dei più rilevanti eventi della nostra epoca mi avrebbe regalato giorni di studio per scrivere della release del nuovo Mulan. Io sono Dodger, e questo è l’effetto farfalla.
Il nuovo coronavirus e la sua diffusione nel mondo hanno una lunga serie di conseguenze. Alcune di queste riguardano la psicologia, altre l’andamento dei mercati globali, altre ancora avranno ripercussioni sulla politica. Abbiamo già parlato delle sue conseguenze sulle fiere (Modena Play, San Diego Comic-Con e Fabcon 2020). Ma purtroppo io mi occupo di comunicazione e produzioni multimediali, perciò oggi parleremo del mondo del cinema. Se vi interessa, qui ho già scritto sulle possibili conseguenze che la quarantena e la pandemia potrebbero avere sulla fantascienza.
Mulan su Disney+: la storia della produzione del live action
Mulan 2020 è il quattordicesimo anello della lunga catena di remake live action che la Disney ha iniziato a mettere insieme dall’inizio degli anni Dieci del Duemila. Catena che ad oggi non sembrano affatto intenzionati a spezzare, visto il riscontro positivo al botteghino (e meno positivo da parte della critica, ma ehi, non crederete mica che questo conti qualcosa!).
Inizialmente destinato ad uscire nelle sale statunitensi il 27 marzo, poi il 24 luglio, poi il 21 agosto, poi grosso punto interrogativo, il film sarà disponibile su Disney+[1] on demand a partire dal 4 settembre 2020 per la modica cifra di 29,99$. Le sentite quelle voci in lontananza che gridano “Ma io pago già $ 6,99 AL MESE!”? Sono uno dei motivi per cui ci troviamo qui oggi.
Quindi, quando due settimane fa la brava Gloria mi ha chiesto se trovassi questo prezzo fuori mercato e cosa ne pensavo della mossa di Disney, ho detto che le avrei risposto. E la risposta semplice è sì, penso che Disney abbia fatto bene i conti. Ma io non credo nelle risposte semplici.
La risposta complicata ha a che vedere con la capacità e bisogno di una compagnia come Disney di evolvere. Di cambiare il proprio prodotto. Di rispondere alle nuove necessità e richieste del mercato. La risposta complicata inizia col 1989: la Disney Renaissance.
Le radici dell’evoluzione della Disney: la Disney Renaissance
Tutti sanno che, tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, Walt Disney ha dato vita a film d’animazione che hanno fatto la storia. I più noti e amati sono basati su fiabe classiche. Biancaneve e i sette nani (1937), Cenerentola (1950), Alice nel paese delle meraviglie (1951), Le avventure di Peter Pan (1953) e La bella addormentata nel bosco (1959) sono tutti punti di riferimento nel nostro immaginario collettivo.
Forse non tutti sanno che, invece, dopo la morte di Walt nel 1966, la compagnia da lui fondata attraversò un lungo periodo di crisi. Una crisi tale che qualcuno nel 1985 ne ipotizzò perfino la morte, mai avvenuta, provocata dal flop di Taron e la pentola magica.
Quello che ha reso Disney ciò che oggi conosciamo ha inizio con la così detta Disney Reinassance. Si tratta di un arco di tempo tra il 1989 e il 1999 in cui gli studios sono tornati a produrre lungometraggi animati di grande successo, basati come in passato su storie classiche. Il focus sul bisogno dei protagonisti di trovare la propria vera identità, la familiarità dei personaggi e una lunga lista di canzoni hanno segnato il successo dell’operazione, che da La sirenetta in poi regge il colpo senza eccessivi scricchiolii fino a Hercules, nel 1997.
La crisi di Hercules e il bisogno di sperimentare
Hercules, che Disney ha designato a capro espiatorio a tal punto da essere l’unico film Renaissance a non avere un remake in programma. (ERRATA CORRIGE: in realtà è stato l’ultima aggiunta recente ai live action in produzione) (Perché no, non conto Pocahontas, visto che hanno scelto di lavarsi la coscienza con Oceania nel 2016). Sebbene la pietra tombale della Disney Renaissance sia Fantasia 2000 (1999), è Hercules a far capire agli studios che non puoi replicare lo stesso modello per una decade e aspettarti che il risultato non cambi.
Ma ora, forte di una legacy accresciuta e di una maggiore disponibilità economica, Disney sa come fare esperimenti che non si risolvano in catastrofe fino a trovare la sua sirenetta successiva.
L’evoluzione della Disney e il suo rapporto col passato
Tra una serie di titoli e tentativi, alcuni più riusciti di altri, negli anni Dieci del Duemila inizia ad emergere quello che è ancora oggi uno dei principali fili conduttori dei nuovi prodotti Disney: la self awareness.
Da Kristoff che nel 2013 critica Anna per essersi fidanzata col suo principe dopo un solo giorno a Maui che nel 2016 chiama Vaiana “principessa” perché indossa un abito e ha un animaletto come compagno, i nuovi personaggi Disney sembrano quasi avere il dovere morale di schernire i luoghi comuni che hanno contraddistinto i loro predecessori. E se nel 2013 ho trovato rinfrescante che Elsa non avesse bisogno di un pene di un uomo per trovare la propria pace interiore, nel 2020 mi farebbe piacere vedere anche solo occasionalmente un film la cui trama non è in buona parte incentrata sul bisogno di Disney di dirci “Abbiamo capito che non è il 1950”. E no, non penso che il nuovo Mulan mi accontenterà in questo.
Il progetto live action: aggiornamento, nostalgia, e il non dover per forza piacere
Ma è proprio questa la materia di cui sono fatti i remake live action Disney. Escludendo i tre titoli usciti tra il 1994 e il 2000, tutti i prodotti di questa serie si basano almeno parzialmente sull’aggiornare un classico precedente. Fatemelo dire meglio: i remake live action Disney puntano in buona parte a correggere gli aspetti di cui noi ex bambini degli anni ’90 ci siamo lamentati su internet per circa una quindicina d’anni. Correggere, se non cancellare, come è capitato ai corvi di Dumbo, lo scivolone razzista del 1941 di cui ancora oggi Disney non si sente troppo a suo agio a parlare.
Gli esperimenti di Maleficient e Cenerentola
La strada che il progetto live action avrebbe preso è stata segnata tra il 2014 e il 2015 con l’uscita di Maleficent prima e Cenerentola poi. Un banco di prova per capire cosa al pubblico interessasse di più: un film dal forte fattore nostalgia o una versione leggermente diversa (e con Robb Stark) di una fiaba già nota? Entrambi i film furono un successo. Maleficent con un incasso di oltre 750 milioni di dollari sul mercato mondiale (240 solo negli USA) per un budget di 180. Cenerentola raccogliendo oltre 540 milioni in biglietti venduti in tutto il mondo (201 negli USA), ma con un budget di “soli” 95 milioni. E se entrambe le formule funzionano, perché non privilegiare quella che consente di non dover reinventare la storia?
Il successo de Il re leone
Ad oggi, i remake di maggior successo al botteghino sono quelli che hanno rovinato mantenuto uno stretto legame con la storia originale. Primo tra tutti, nominiamo ovviamente Il re leone (2019). Una schifezza un film che da solo porta a casa 1,6 miliardi con un budget di appena 230 milioni. Una porcheria un film al settimo posto tra le pellicole che hanno incassato maggiormente nella storia del cinema. Primo in Italia tra i prodotti Disney per biglietti venduti. Un assurdamente alto punteggio del 53% su Rotten Tomatoes nonostante faccia vomitare i suoi difetti.
Ma è proprio questo che ci mostra che il gioco di Disney funziona: il film non ti deve per forza piacere, l’importante è che tu lo vada a vedere. E noi a vederlo ci andiamo. Sempre.
Mulan su Disney+: quali sono le ragioni della Disney?
Mulan e il suo rilascio su Disney + a una cifra da alcuni definita fuori mercato fanno parte proprio di questo gioco, e lo fanno su molteplici livelli.
Cominciamo col dire che saranno in tanti, anche in Occidente, a voler vedere il film nonostante sia pensato più per strizzare l’occhio al mercato cinese, come si legge qui. Nonostante l’assenza del mio futuro marito di Li Shang. Nonostante non ci siano Mushu e la voce di Eddie Murphy. E nonostante il vuoto lasciato dalle canzoni. Questo lo sappiamo noi e lo sa Disney.
E sì, cari amici che da settimane avete annunciato sui social la vostra intenzione di “diventare pirati” e “affidarvi al torrente”, Disney sa bene anche questo. E no, non gliene importa più di tanto. Perché, ricordatelo sempre, Disney non è un mostro con una testa sola: Disney è un’idra.
Per quanto i soldi provenienti dalle sale abbiano valore, anche solo come feedback, non dimentichiamoci dei parchi a tema sparsi per il mondo. Delle ricchezze derivate dal possesso di Marvel, Lucasfilm e 20th Century Studios, per citarne alcune. E soprattutto, non dimentichiamoci del merchandising: se vi guardate intorno in questo momento e trovate meno di 10 oggetti legati a Disney in modo palese state probabilmente mentendo. E comunque, se spendete le vostre due ore libere a guardare Mulan pirata, non le avete utilizzate per guardare un prodotto della concorrenza.
L’attrattiva per le famiglie di avere Mulan su Disney+
Oltre a noi millennial trentenni senza figli, va ricordato l’altro importante segmento di pubblico a cui i film Disney sono destinati: le famiglie con bambini (sì, tendiamo a dimenticarcelo). Una famiglia con almeno un bambino spende già 30$ per portarlo al cinema tra biglietti, bibite e popcorn. Spendere la stessa cifra per vedere lo stesso film a casa, senza la puzza di burro e i gabinetti sporchi in cui tuo figlio dovrà sicuramente entrare almeno una volta, il tutto con la possibilità di ripetere lo spettacolo più volte può essere considerata da molti una scelta vantaggiosa.
Avete dei cuginetti che si aggregano alla proiezione? Dimezzate a 15$ per famiglia, parcheggiate i piccoli davanti allo schermo e magari per voi grandi ci scappano pure due ore di chiacchiere con dei vostri simili. Questi conti Disney se li è fatti, e potrebbero essere corretti nonostante il film abbia ricevuto un rating PG-13 (stabilendo inoltre un primato).
Mulan su Disney+: un test sulle piattaforme di streaming legale
Rimane il fatto che la strada scelta è rischiosa, specie se si considera che il budget è di 300 milioni di dollari. Ma oltre a conoscere bene la propria legacy, oltre ad aver avuto ancora una volta la capacità di far parlare tanto e tanto a lungo del proprio prodotto, Disney sa un’altra cosa.
Le piattaforme di streaming legale hanno ormai un ruolo di rilievo nel modo in cui gli utenti fruiscono dell’intrattenimento. La loro importanza è poi aumentata a velocità ancor più sostenuta per via della pandemia globale, che ha cacciato dai cinema anche i più affezionati. E infatti il prezzo da pagare, comunque vadano le cose, non sarà per Disney, ma per gli esercenti di sala.
Conclusioni sulle scelte della Disney
Come ha già fatto in passato, Disney sfrutterà una necessità oggettiva e un problema difficilmente aggirabile per testare una strada ancora poco esplorata. Anziché continuare a posticipare la data di uscita nei cinema, la compagnia ha scelto di scommettere sul nostro desiderio di vedere finalmente che cavolo c’è in questo nuovo Mulan, rendendolo immediatamente disponibile su Disney+. Una sorte che fino ad ora era riservata a prodotti minori come il remake di Lilli e il vagabondo (2019), non gravato però dal costo premium.
Ma se nel 1998 il primo e attesissimo Mulan fosse stato tra i film direct-to-video, lo avreste comprato? Non ve lo sareste portato a casa subito e più volentieri rispetto ai vari La bella e la bestia e un magico Natale che ci toccavano di solito. Sì, il prezzo è un po’ più alto rispetto a quello dei VHS nei tardi anni Novanta, ma ci avreste fatto caso?
Per Disney, far uscire Mulan su Disney+ è una scommessa che vale la pena di fare. Il peggior esito possibile? Un sacco di informazioni in più su chi di noi è disposto a spendere per l’on demand.
Ricordiamo le ragioni della Disney: Our obligation is to make money
Chiudo ricordando una memo che risulta molto importante per capire le scelte della Disney.
The pursuit of making money is the only reason to make movies. We have no obligation to make history. We have no obligation to make art. We have no obligation to make a statement.
Our obligation is to make money, and to make money, it may be important to make history. To make money, it may be important to make art, or some significant statement. To make money, it may be important to win the Academy Award, for it might mean another ten million dollars at the box office.
Our only objective may be to make money, but in order to make money, we must always make entertaining movies. And if we make entertaining movies, at times we will make history, art, a statement, or all three. We may even win awards.
Michael Eisner, amministratore delegato Disney dal 1984 al 2005. Memo scritto all’amministrazione Paramount nel 1981.
[1] La release in anteprima di Mulan su Disney+ sarà disponibile solo nei paesi in cui il servizio Disney + è attivo; nel resto del mondo il film sarà regolarmente distribuito nelle sale al momento della loro riapertura.