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L’empatia di Brandon Sanderson

Quando la diversità nel fantasy diventa una ricchezza: da un’intervista a Brandon Sanderson

The purpose of a storyteller is not to tell you how to think, but to give you questions to think upon – The Way of Kings

WARNING: in questo articolo ci sono alcuni spoiler minori su Oathbringer

Brandon Sanderson ha bisogno di poche presentazioni, in quanto uno dei più prolifici e famosi autori fantasy degli ultimi dieci anni, scalando le classifiche del New York Times. Sanderson ha poi ricevuto il compito di continuare la saga de La Ruota del Tempo di Robert Jordan. Di quest’ultimo, poi, sta per uscire un nuovo libro postumo!

Un uomo, mille personaggi

Generalmente, quando si parla di questo autore, ci si concentra sulla cura del suo worldbuilding, sui suoi complessi sistemi di magia e sulla qualità dei suoi personaggi. Oltre che su quanto velocemente riesca a scrivere i suoi libri, ovviamente. Ma difficilmente ci si sofferma su quanto Sanderson esplori l’animo umano. Perché lo fa, eccome se lo fa! E si tratta anche di una delle migliori qualità dei suoi libri, a parer mio, visto che vi sfoggia un impegno pari a quello dedicato alla creazione dei suoi mondi.

Ora, anche solo leggendo le sue opere, è evidente come Brandon Sanderson adori sperimentare non solo con sistemi di magia sempre nuovi, ma anche con una grande varietà di personaggi. Questi si diversificano grandemente fra loro tanto per background, quanto per personalità. Ma non dimentichiamoci nemmeno della notevole diversità di generi, aspetti fisici e provenienze sociali che esibiscono.

Non starò ad elencarli uno ad uno, perché tanto so che i lettori li conosceranno anche meglio di me. Ma vorrei far notare come questo sia un modo di fare non abbastanza comune, nel fantasy occidentale alla Terry Brooks o alla Licia Troisi che siamo (forse) abituati a leggere. Infatti, in queste opere i protagonisti delle varie saghe spesso non sono altro che il copia-incolla gli uni degli altri – con piccole modifiche, altrimenti la prof se ne accorge!

Brandon Sanderson che tiene un discorso alla Provo City Library - Immagine di Gene Nelson
Brandon Sanderson che tiene un discorso alla Provo City Library – Immagine di Gene Nelson

Un cast eterogeneo per mettersi nei panni degli altri: la strategia di Brandon Sanderson

La cosa veramente interessante, però, è che la folla umana che abita il Cosmoverso non è fatta di macchiette raffazzonate, fatte solo per timbrare il cartellino del cast diversificato o per introdurre le quote rosa, ma sfoggia un cast la cui diversità è frutto di studio e di ricerca. Sarebbe stato facile, per un mormone come Sanderson, arroccarsi su una visione molto parziale delle persone, infarcendo i propri libri con atei senza morale e religiosi sempre eroi della situazione, o con un Dio Onnipotente sulla cui esistenza nessuno ha dubbi. Ma il pericolo è stato scampato. Verrebbe da chiedersi come, e perché.

In un’intervista a Deseret News, Sanderson racconta di come il mestiere di scrittore lo abbia spinto a capire come persone diverse vedano il mondo, tentando di mettersi nei panni altrui per indagare i motivi della loro fede (o della loro assenza di fede). Una delle motivazioni? Il fatto che Sanderson stesso si ritrovasse spesso a leggere storie in cui il solo personaggio fortemente credente – ed evidentemente tratteggiato come mormone – era una macchietta idiota. Visto quanto questi stereotipi lo irritavano, meglio evitare di ripeterli su qualcun altro.

E l’unico modo per evitare lo stereotipo è conoscere le idee altrui. È comprenderle anche laddove non si sia d’accordo, proprio per poterle riproporre in quel personaggio specifico. Così, alcuni sapranno rivedercisi con onestà e senza sentirsi ridicolizzati, mentre altri potranno confrontarcisi criticamente e con serietà, mettendosi nei suoi panni in un modo che le normali discussioni non rendono possibile.

Tuttavia, non bisogna pensare di scrivere per imporre la propria morale ai lettori. Secondo Brandon Sanderson, infatti, la vera domanda non è mai “qual è la morale di questa storia?”. Molto più interessante è riflettere sul significato di “essere umani”.

Oathbringer è un esempio lampante di questo approccio - Copertina di Michael Whelan
Oathbringer è un esempio lampante di questo approccio – Copertina di Michael Whelan

Documentarsi e chiedere ai diretti interessati è sempre cosa buona e giusta!

In tal senso, Brandon Sanderson spiega l’importanza di confrontarsi con persone appartenenti a realtà diverse dalla propria, specialmente quando si cerca di portare quelle realtà nei propri libri. È ben difficile parlare di come vivano persone omosessuali o transgender quando non si è né l’uno, né l’altro! Ma chiedere ai propri amici gay e/o transgender può aiutare molto e permette alle minoranze di essere raccontate in maniera veritiera. Ne abbiamo parlato, in merito alle persone trans, in questo articolo!

Similmente, Sanderson si è rivolto a terze persone per descrivere con accuratezza tutti i personaggi con esperienze di vita diverse dalle sue. La dipendenza da droghe di Teft, ad esempio, rispecchia quella di un fan, a suo tempo eroinomane, che l’autore ha intervistato e a cui era stato chiesto di revisionare alcuni capitoli di Giuramento, il terzo volume di Stormlight Archive. Non parliamo nemmeno dell’aiuto che Sanderson deve aver chiesto per descrivere l’ubriacatura di Shallan nel suddetto libro! Infatti, su ammissione dello stesso autore, la prima stesura della scena era pessima.

Anche perché ai problemi familiari Vin dà un taglio netto - Fanart di endoftheline
Anche perché ai problemi familiari Vin dà un taglio netto – Fanart di endoftheline

Brandon Sanderson e un fantasy universale

È un modo di scrivere, quello di Sanderson, che mira ad essere universale. Vuole parlare al pubblico più ampio possibile, non abbassando il fantasy alla portata di tutti, ma avvicinandolo alla sensibilità di tutti, portandovi la diversità del mondo reale. Perché il reale arricchisce il fantastico molto più di quanto spesso si sia portati a credere, ma come molti dei migliori autori fantasy ben sanno.

Come ben si sottolinea nell’intervista, focalizzarsi sul rappresentare bene queste realtà non significa, poi, scrivere un libro che le vede come protagoniste. Infatti, Stormlight Archive non è una serie fantasy sulla depressione tanto quanto Mistborn non ruota attorno ai rapporti genitoriali difficili. E tuttavia, se vogliamo vedere il fantasy come parte di quell’arte che riflette la realtà per dire qualcosa di interessante su di essa, per farci riflettere proponendoci un nuovo punto di vista, non possiamo prescindere dal rappresentare la realtà in tutta la sua varietà. Anche perché ci perderemmo tantissimi spunti di ispirazione. Abbiamo visto come una visione stereotipata di molte culture faccia danni, con Sullivan e J. K. Rowling.

Dopo tutto, era Terry Pratchett che diceva “Io mi servo molto del fantastico, ma utilizzo tanto anche la realtà e, infatti, ogni volta che Bilbo Baggins tracanna della birra anche Tolkien si serve molto della realtà”.

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Immagine di copertina: The Thrill di Pines

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