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Hunters (2020): La Recensione

Il 21 Febbraio Amazon Prime Video, dopo il successo di numerose serie originali come “The man in the high castle” e “Good Omens”, decide di puntare su “Hunters”: una serie tv dallo stampo prettamente Pulp e fumettistico, con protagonista Al Pacino nei panni di un anziano ebreo ed esperto cacciatore di nazisti.

Avendo dalla sua la scrittura di David Weil e come produttore esecutivo nientemeno che Jordan Peele (Oscar alla sceneggiatura per “Get Out”), Amazon ci promette una serie in grado di trattare temi delicati spaziando attraverso il giusto rispetto, il dramma, l’azione e l’ironia. Ma ci riesce davvero?

Sinossi

Ci troviamo negli anni ‘70, negli Stati Uniti del presidente Carter conditi di albi a fumetti, Converse, e pantaloni a zampa d’elefante. La comunità afroamericana è sommersa da un razzismo quotidiano e si trova in piena lotta per il riconoscimento dei loro diritti civili. La Seconda Guerra mondiale ha lasciato segni evidenti nella sopravvissuta comunità ebraica, alla quale appartiene il nostro protagonista Jonah Heidelbaum (Logan Leman): un diciannovenne che vive con la nonna Ruth (Jennie Berlin), sopravvissuta dei campi di sterminio e sua unica tutrice.

La vita attorno a Jonah sembra scorrere senza grandi cambiamenti in vista, tra le uscite con gli amici di sempre, il negozio di fumetti e la zuppa di pollo della nonna Ruth… ma l’improvviso omicidio della sua Safta (termine ebraico con cui viene identificata la donna, ripetuto spesso durante la serie) cambia le carte in tavola, spingendo Jonah a cercare di farsi giustizia da solo. e a fare una scoperta terribile: l’assassino era in verità un nazista nascosto in America dalla fine della guerra, proprio uno degli aguzzini che tormentavano gli incubi della sua cara nonna.

Saranno proprio queste scoperte e i tentativi impacciati di vendetta ad avvicinarlo ad un gruppo di cacciatori di nazisti capitanati da Mayer Offerman (Al Pacino), amico di lunga data della nonna, anche lui sopravvissuto alla Shoah e impegnato ora nella lotta allo sterminio di tutti i nazisti che si nascondono su suolo americano.
Viste le premesse, Hunters sembra una serie imperdibile, ma lo sarà davvero?

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“Tutto quello che fai è una scelta tra Luce e Oscurità”

Questo dice la Safta a Jonah prima di morire, e in questa frase è stato racchiuso quello che, insieme alla vendetta, è il tema portante di “Hunters”: i cacciatori ci appaiono come giustizieri animati dalla più importante delle cause (vendicare la Shoah, nientemeno) eppure… possono le loro azioni identificarsi come totalmente buone ed inondate di luce? Assolutamente no.

I nazisti a cui danno la caccia sono la personificazione della crudeltà e dell’assenza di umanità, caratterizzazione resa ancora più cruda dai flashback che durante la serie ci riportano ai campi di concentramento e alle torture che infliggevano ai  prigionieri.
Questi continui parallelismi tra passato e presente servono a giustificare i metodi attuati dai Cacciatori (il nome con cui si identifica il gruppo). Sarà proprio Mayer ad un certo punto a correggere la Torah citando uno dei suoi insegnamenti: “Vivere bene è la miglior vendetta? No. La vendetta è la miglior vendetta.”
Sulla base di questo principio i Cacciatori si vendicheranno episodio dopo episodio seguendo la regola del contrappasso, riversando sui nazisti quelle stesse atrocità che loro avevano messo in atto contro prigionieri inermi e privati interamente della loro dignità.
Il pretesto funziona bene: dopotutto cosa c’è di più cattivo di un nazista, di un chirurgo che ad Auschwitz faceva esperimenti sui bambini, di uno scienziato che per avere fondi dal governo torturava quotidianamente centinaia di innocenti?

E appunto qui casca l’asino. Secondo me in questo consiste la prima nota a sfavore della serie: sebbene sia chiaro il motivo, i cattivi non vengono mai davvero resi personaggi tridimensionali. I nazisti restano inumani anche quando sono mostrati nel loro privato, nei rapporti interpersonali che hanno stretto dopo la guerra (a parte un singolo caso, comunque introdotto troppo brevemente per avere peso). In questo vedo non una scelta stilistica, ma una scrittura pigra, che ha visto nella demonizzazione totale l’unico modo per creare un villain che potesse risultare credibile. 

Le parole della Safta sulle scelte morali, che chiaramente dovevano essere il perno della serie, non trovano riscontro nei personaggi e nelle scelte che si trovano a dover compiere: se fossimo costretti a schierarci, staremmo chiaramente dalla parte di questi strambi giustizieri di nazisti, ma lo faremmo comunque malvolentieri e sicuramente con qualche ripensamento.

Hunters, la recensione - Movieplayer.it

Personaggi

Malgrado il sistema narrativo di Hunters voglia essere quanto più corale possibile, possiamo dire che non siano strettamente i Cacciatori i veri protagonisti della vicenda: il ruolo infatti è detenuto principalmente da Mayer Hofferman, Jonah Heidelbaum e Millie Morris.

  • Jonah Heidelbaum:    

Il personaggio di Jonah vuole rappresentare il punto di vista dello spettatore, ed in questo lo stile narrativo di Weil dà veramente il suo meglio: per quanto sia paradossalmente il più “normale” tra tutti i personaggi presenti in Hunters, riesce comunque a diventare uno degli elementi più affascinanti della serie. Grazie ad un arco narrativo davvero ben strutturato riusciamo ad immedesimarci in lui, nella sua rabbia, la sua paura e sì, anche nella sua compassione per i mostri che gli hanno portato via ogni cosa. Unica pecca la troviamo nel ruolo che la serie affida a Jonah nel momento in cui si unisce ai cacciatori: il ragazzo si ritrova letteralmente a risolvere enigmi impossibili grazie a un’intelligenza sovrumana che non viene mai motivata durante la serie se non come un dono di Dio, relegando quella che poteva essere una ragione di nuove sottotrame o introspezione a un mero super potere quasi fumettistico.

  • Mayer Offerman: 

Al Pacino si dimostra fin da subito una delle colonne portanti della serie sia come presenza scenica innegabile sia per il ruolo che ricopre: Mayer è un ebreo sopravvissuto alla Shoah, un uomo che porta sul viso e sul corpo i segni di un’esistenza tormentata, nel cuore il dolore per le perdite dovute alla guerra e alla vita dopo il grande sterminio. Innamorato di Ruth fin dagli orrori nel campo di sterminio organizza con lei la caccia al nazista, per liberare il mondo dai mostri che li hanno vessati e costretti a separarsi nel dolore. Tutto questo è reso alla perfezione dall’interpretazione di Al Pacino, un po’ guida e un po’ insinuatore di dubbi nella giovane mente di Jonah: forse il bene assoluto esiste solo nei fumetti, e se è vero che la Torah recita “Vivi bene. E’ la miglior vendetta”, a volte è altrettanto vero che “La vendetta è la miglior vendetta”. 

  • Millie Morris:
    Agente dell’FBI sottovalutata in quanto donna e ulteriormente discriminata in quanto donna di colore, è uno dei personaggi più umani della serie. La sua ricerca della verità e della giustizia la porteranno a scontrarsi sia con i nazisti che con i cacciatori, ma nonostante venga costantemente accerchiata dall’oscurità pare non esserne mai davvero macchiata. Un personaggio per nulla scontato, anche se i più potrebbero infastidirsi per la sua caratterizzazione forse troppo politically correct.

I Cacciatori dovrebbero essere il punto focale della trama, ma spesso e volentieri vengono ridotti a figurine: nella loro appartenenza al gruppo troviamo l’unico perno della loro personalità (salvo rarissime eccezioni).

  • L’esperto di travestimenti (Lonny Flash)
    Un attore fallito il cui background viene spiegato in poche parole: il coinvolgimento limitato solo fatto che sia di fede ebraica e la personalità relegata a quella di un arrapato ex frequentatore di orge, appassionato di stupefacenti ed alcolici.
    Meritava sicuramente qualcosa di meglio, e metà delle sue battute sul sesso avrebbero potuto dare spazio ad una visione più umana della sua storia. Sarà per la prossima volta.
  • L’esperta di piani e logistica (Sorella Harriett)
    Una suora diventata tale per sfuggire all’Olocausto: non è mai davvero chiaro se la sua conversione sia vera o solo una scena. Indossa sempre veli o altre coperture, ma come atteggiamento ricorda più Beatrix Kiddo senza tutina gialla (e sicuramente senza tutto il suo carisma). Anche da lei mi aspettavo di meglio, ha un aspetto iconico sprecato per una così grande mancanza di tridimensionalità.
  • Gli armaioli (Mindy e Murray Marcowitz)
    Finalmente, i personaggi meglio caratterizzati di tutta la serie. I due coniugi dopo i primi episodi cominciano a farsi strada nella storia principale: ci viene raccontata la perdita di fede di Murray, la morte del loro primogenito ad Auschwitz e tutte le sofferenze che da allora hanno patito. Tutto viene spiegato ed approfondito talmente bene da farmi pensare più volte a quanto potenziale inespresso avessero gli altri personaggi, viste le capacità di caratterizzazione riservate a loro due soltanto. La storia di Mindy e Murray mi ha commossa, lo ammetto candidamente.
  • Il soldato (Joe Torrance)
    Anche per lui, una buona caratterizzazione. Il trauma della guerra del Vietnam è impresso nella memoria di questo personaggio e ci viene spiegato con cura, anche se a volte un po’ troppo frettolosamente. Ma almeno viene risparmiato dal ruolo di marginale macchietta a cui sono relegati la maggior parte degli altri personaggi.
  • La falsaria (Roxy Jones)
    Il personaggio che mi ha fatto più rabbia di tutti. Una giovane e bellissima donna afroamericana, divorziata e con una figlia, appassionatamente impegnata nella lotta alle discriminazioni ma in segreto cacciatrice ed esperta di scasso e falsificazione. Avevano le premesse per un personaggio bomba e le hanno accantonate per mostrarci solo l’indispensabile, pur togliendoci qualche soddisfazione qua e là. Roxy meritava di meglio.
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Aspetto Tecnico

Per quanto riguarda la parte tecnica, “Hunters” resta comunque un gioiellino: la fotografia è caratterizzata da una grande ricercatezza nelle palette utilizzate, spaziando dai toni pastello e vivaci tipici degli anni ’70 fino ai toni più accesi e glaciali riservati agli ambienti dei villains. 
Le atmosfere anni ’70 vengono rievocate alla perfezione grazie alle scenografie, a dettagli davvero ben curati nei costumi e ad una colonna sonora immersiva. Anche la regia si fa notare, sottolineando magistralmente i momenti di maggior tensione con uno stile che potremmo azzardarci a definire quasi di “tarantiniana memoria”.
Certo, magari con qualche litro di sangue finto in meno.
Le puntate di “Hunters” hanno una durata media di 60 minuti (l’episodio pilota conta addirittura un’ora e mezza) e questo forse penalizza eccessivamente, essendo questa una serie principalmente d’azione e piena di voluti cliffhanger. L’eccessiva durata fa in modo che il ritmo della serie risulti quasi lento in alcuni momenti, il che non gioca a favore dell’aspettativa che la regia voleva sicuramente tenere su soglie ben più alte.

Conclusioni

Sebbene le intenzioni fossero buone, il pressapochismo con cui “Hunters” tratta i suoi personaggi principali ci porta a considerare poco le loro vicende personali (come la caccia, che doveva essere il clou della serie!) e ci fa appassionare a tutt’altro: uno splendido esempio è l’operazione Paperclip , una vicenda realmente accaduta mediante la quale il governo americano ha di fatto “ripulito” il curriculum di alcuni eminenti nazisti, mostri in carne ed ossa, per reintegrarli in America e sfruttarne le competenze scientifiche per combattere la Guerra Fredda. Non solo la vicenda è di per sé appassionante (anche grazie a Millie, il personaggio attraverso il quale ne veniamo a conoscenza), ma gli spot e i sipari comici che vengono inseriti per spiegare il tutto, e senza mezzi termini, sono tra i momenti migliori di tutta la serie.

“Hunters” vorrebbe essere la prima di cinque stagioni. Non ci resta che sperare che David Weil decida di spendere qualche minuto in più ad identificare meglio i personaggi sopravvissuti a questi primi episodi, e di regalarci una serie godibile a tutto tondo che non si regga solo su premesse stimolanti e personaggi fumettistici.
Consiglio la visione di “Hunters”, comunque, fosse anche solo per gli spot inseriti qua e là tra gli episodi: sono davvero delle opere d’arte.

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