Parliamo della raccolta di saggi Fuori dal Dungeon, edita da Asterisco Edizioni, e di come affronta la discriminazione di genere, di classe, di etnia e di orientamento sessuale nella community del gioco di ruolo.
Interrogarsi su come le pratiche e le idee della società si interfacciano con la community del gioco di ruolo è sempre un argomento interessante. Dopo tutto, “we live in a society” e il modo in cui ci approcciamo a molte pratiche, tra cui il gioco, rispecchia anche le caratteristiche delle società in cui viviamo, nel bene come nel male. E Fuori dal Dungeon vuole indagare proprio questo: come il gioco di ruolo si interfaccia con le disparità sociali presenti nelle nostre società.
Fuori dal Dungeon è edito da Asterisco Edizioni ed è curato da Marta Palvarini, già autrice del gioco di ruolo Dura-Lande, di cui abbiamo parlato qui e qui e che è in crowdfounding qui!
Fuori dal Dungeon è una raccolta di saggi di diversi ricercatori e diverse ricercatrici in vari ambiti degli studi sociali. La raccolta è introdotta da una presentazione, appositamente scritta per l’edizione italiana, di Avery Alder, game designer autrice di Cuori di Mostro, Dream Askew e The Quiet Year. Ogni saggio analizza il rapporto tra gioco di ruolo e alcune tematiche sociali. Alla fine del volume, invece, si possono leggere in forma ridotta i risultati dello studio di Donne, Dadi & Dati (DD&D) sulla discriminazione di genere nel gioco di ruolo italiano.
Una premessa importante: perché parlare dei problemi della nostra community è positivo?
Il fatto che il mondo del gioco di ruolo non sia un pianeta isolato dal resto della realtà non dovrebbe suonare nuovo a nessuno. Ciononostante, ogni volta che si parla di qualsiasi tematica sociale nella nostra community, saltano sempre fuori coloro che credono che il gioco di ruolo si trovi su un Piano diverso da quello Materiale.
Tuttavia, come qualsiasi attività fatta da esseri umani all’interno di una società, è solo che naturale che nel gioco di ruolo si ripresentino comportamenti, credenze, idee e pregiudizi già presenti nella suddetta società. E quando questi comportamenti, credenze, idee o pregiudizi sono tossici, bisogna studiarli per capirli meglio, non nasconderli sotto un cuscino.
Solo perché molte delle persone che oggigiorno giocano di ruolo hanno la fortuna di poter giocare in ambienti positivi e inclusivi, non è sempre stato così. E non sempre è ancora così per tutti. Abbiamo portato alcuni esempi qui.
Più studio, meno semplicioneria
Per questo motivo, il miglior modo per capire come affrontare maschilismo, nonnismo, omobitransfobia, razzismo e classismo nella nostra community è, come sempre studiare, studiare e studiare. Le soluzioni come “basta non giocare con gente stronza” o “mandate a fanculo i sessisti” sono certamente d’effetto. Dopo tutto, è buon senso, no? Ma queste soluzioni sono in realtà delle “semplicionerie”. Fosse così semplice sradicare il sessismo e il razzismo, non avremo ancora oggi le centinaia di testimonianze di sessismo al tavolo raccolte da DD&D nel 2018.
Questi inviti al buonsenso sono poco diversi dal “chiudiamo le frontiere” e dal “chiudiamo i porti” di certi politici nostrani populisti. Queste affermazioni semplicione appiattiscono problemi sociali complessi e stratificati sotto soluzioni semplici, ma completamente inefficaci. In alcuni casi, forse sono frutto più di una volontà di non affrontare il problema seriamente, che dell’intenzione di risolvere le discriminazioni. Ecco perché bisogna studiare a fondo l’argomento, prima di proporre soluzioni. Ecco perché bisogna ascoltare chi queste tematiche le tratta da anni. Ed ecco perché è più utile parlare di consenso al tavolo da gioco, piuttosto che di soluzioni sempliciotte da bar.
La lotta alla discriminazione come percorso di miglioramento personale
Ecco perché Fuori dal Dungeon è un libro importante da leggere. Confrontarsi con lo studio e con l’esperienza di esperti del settore è istruttivo e aiuta a farsi un’idea più articolata sulla questione. La lotta alle discriminazioni di ogni tipo è complessa e affronta questioni sociali difficilissime, stratificatesi nel corso di decenni o secoli.
Anche chi si ritiene una persona aperta, progressista, non sessista o razzista ha sempre qualcosa in più da imparare. Perché la comprensione vera di questi temi non è semplice, non è scontata e non si può ridurre al “ma io non sono razzista/sessista”. Siamo nati e cresciuti in una società in cui certe discriminazioni e certi rapporti asimmetrici sono non solo accettati, ma anche insegnati. Il “non essere razzista/sessista/omofobo” non è uno stato delle cose, ma un percorso in cui poco a poco si comprendono meglio le cause e le dinamiche relative alle discriminazioni, e si cerca di non perpetrarle più.
È infatti difficilissimo che una persona sia “senza macchia”, in tal senso: tutti e tutte abbiamo detto o fatto cose sessiste, razziste, omobifobiche, transfobiche, classiste, abiliste. Io per prima. Ma il punto della situazione non è l’essere “puri”, bensì l’essere disposti a continuare ad imparare. Come dice il mio amato Sanderson, journey before destination.
Due parole sull’introduzione di Avery Alder per Fuori dal Dungeon
L’introduzione di Avery Alder è, in realtà, un breve saggio a sua volta, in cui l’autrice si interroga brevemente su cosa sia e a cosa serva la rappresentazione nel gioco di ruolo.
Innanzitutto, Alder fa notare come la rappresentazione di una certa categoria di persone non è necessariamente qualcosa di positivo, se fatta con intenti malevoli o portando avanti un pregiudizio. Bisogna quindi chiedersi se le persone nella posizione di scrivere gdr abbiano gli strumenti adatti e conoscenze adeguate per fare rappresentazione in modo non stereotipato. In tal senso, Alder riprende il saggio di Sihvonen e Stenros, dove l’argomento viene trattato più a fondo.
Alder, dunque, racconta la propria esperienza di game designer, in cui cerca di essere la prima a non scrivere di altre persone basandosi sui propri pregiudizi. Proprio per questo, si consulta o chiama a scrivere con lei persone con esperienze di vita diverse dalla sua, affidandosi poi anche ai sensitivity reader, ossia editor specializzati nel trattamento di tematiche delicate e di discriminazione. Inoltre, Alder riconosce che la rappresentazione delle persone nel gioco non è fatta solo attraverso le immagini dei manuali, ma anche tramite le stesse meccaniche del gioco. Tuttavia, Avery Alder riconosce che la scrittura del manuale non permette il controllo sul tavolo da gioco, dove le storie che si creano sono selvagge e imprevedibili. Tuttavia, Alder cerca di affrontare anche questo aspetto, chiedendosi se stia creando giochi intuitivi e accessibili sia come terminologia, sia dal punto di vista economico.
Il primo saggio di Fuori dal Dungeon: Out of the Dungeons. Rappresentazione della sessualità queer nei manuali di GdR.
Scritto da Tanja Sihvonen e Jaakko Stenros, questo saggio si concentra, come da titolo, sul modo in cui la sessualità non etero sia stata rappresentata nel gioco di ruolo. Premessa importante: il loro articolo non analizza il modo in cui le persone giocano al tavolo, ma si concentra sui manuali. Sihvonen e Stenros, infatti, si rendono conto benissimo che chi gioca può mettere in scena storie, personaggi e relazioni non necessariamente descritte nei manuali.
Analizzando dei manuali in inglese stampati tra il 1974 e il 2005, Sihvonen e Stenros fanno notare che in essi le tematiche queer sono quasi totalmente assenti. Infatti, nonostante alcune frange della società li accusino di satanismo, i giochi di ruolo in realtà sono molto conservatori nelle situazioni sociali che propongono.
Quando negli anni ’70/’80 si parlava di gente queer nei GdR. Cosa dicevano?
E che dire dei titoli che, invece, di sessualità queer hanno parlato? Ecco, non sempre fanno una bella figura.
La sessualità queer viene esplorata per la prima volta verso la fine degli anni Ottanta, ma i personaggi non etero e/o non cisgender di solito erano relegati al ruolo di antagonisti, di creature mostruose o di omosessuali repressi e omofobi. È questo il caso, per esempio, di Mack the Knife nel titolo GURPS Supers: Wild Cards, ispirato agli omonimi romanzi curati da G. R. R. Martin. Addirittura, nel gioco di ruolo Central Casting: Heroes of Legend, edito da Task Force Games nel 1988, l’omosessualità, la transessualità, l’asessualità e la bisessualità sono elencati tra i tratti oscuri di personalità che si possono avere, tutti sotto la categoria Disordini Sessuali. E non si trattò di una svista o di cattivo gusto! Infatti, gli editori della Task Force Games scrissero nero su bianco che per loro la sola sessualità lecita era nemmeno tra uomo e donna, ma proprio tra marito e moglie.
Primi passi verso rappresentazioni positive: Cyberpunk 2020, Vampire: The Masquerade e Blue Rose
Sono stati i gdr legati al genere cyberpunk, come Cyberpunk 2020, a sdoganare per primi le persone e le relazioni queer, senza demonizzarle. Tuttavia, anche nel loro caso, la rappresentazione delle persone queer non era scevra di pesanti stereotipi.
Le cose sono cambiate con Vampire: The Masquerade, negli anni Novanta, che pose il sesso e la sessualità al centro della storia, laddove giochi precedenti evitavano esplicitamente questi temi. Vampiri aveva evidentemente un target diverso e si impegnava ad includere personaggi queer, sebbene spesso questa rappresentazione scadesse nel tokenism e nelle quote queer.
Il genere fantasy impiegherà più tempo ad inserire personaggi queer non mostruosi, e i primi passi fatti saranno piccoli accenni velati. Con gli anni Duemila, invece, i personaggi queer inizieranno a comparire in maniera più massiccia, con gdr come Blue Rose.
La ricerca termina al 2005, lasciando fuori le pubblicazioni degli ultimi 15 anni. Tuttavia, offre un’interessante panoramica su come il gdr sia stato per molto tempo un ambiente in realtà molto conservatore, almeno nel suo lato editoriale. Per fortuna, le cose stanno migliorando.
Il secondo saggio di Fuori dal Dungeon: Privilege, Power and Dungeons&Dragons. Come i sistemi modellano le identità razziali e di genere nei giochi di ruolo da tavolo
Scritto da Antero Garcia, questo saggio si concentra su come i sistemi di gioco, e il modo in cui rappresentano genere, razza e potere, modellano le esperienze dei giocatori e delle giocatrici. Per farlo, Garcia si basa specificamente su D&D, nelle sue 11 edizioni, in cui è inclusa anche la prima edizione di Pathfinder.
Garcia sottolinea che, per quanto il momento in cui si svolge in gioco di ruolo sia percepito come separato dal resto della realtà e dedicato al divertimento, in realtà il “cerchio magico” del gioco non è impermeabile alle convenzioni e ai pregiudizi sociali. E la struttura dei manuali di D&D, soprattutto nelle prime edizioni, mostra tutte queste convenzioni e tutti questi pregiudizi.
Giocatrici e personaggi femminili in D&D
D&D nasce dalla comunità del wargaming, composta principalmente da uomini bianchi e le sue prime edizioni riflettono quest’ottica molto maschile, con titoli come Men & Magic e Fighting-Men. Le giocatrici erano ritenute qualcosa di raro e di esotico anche nelle edizioni successive, e i manuali del 1978 prevedevano che i personaggi femminili avessero statistiche di Forza inferiori a quelli maschili. A differenziarsi in maniera evidente è stato Pathfinder, con i suoi personaggi iconici femminili, l’alternanza del femminile e del maschile nelle descrizioni e l’inclusione di molti personaggi queer.
Analizzando poi le immagini dei manuali, Garcia nota come i personaggi femminili siano stati rappresentati graficamente in percentuali piuttosto basse nelle prime edizioni (22% circa), per poi occupare il 50% delle immagini nei manuali odierni. Prevedibilmente, Pathfinder supera persino D&D 5e, con un 62% di immagini che includono donne. Inoltre, le prime edizioni di D&D raffigurano le loro poche donne in abiti tendenzialmente succinti, oppure in pose di impotenza (rannicchiate o terrorizzate). Con Pathfinder e D&D 5e, le cose sono evidentemente cambiate.
Razze e gente bianca: tra stereotipi ed esotismo
Garcia dunque sposta l’attenzione sulle razze e sui rapporti complessi e, talvolta, antagonistici che le caratterizzano. Gygax ha infatti inserito il razzismo tra razze all’interno del proprio gioco, rendendolo un motore di conflitto per le storie raccontate. Non mancano però razze caratterizzate non solo per le loro proprietà fisiche, ma anche per abitudini sociali che sono tipiche di un personaggio non a causa della società in cui è stato cresciuto, ma in quanto geneticamente appartenente ad una certa razza. Pertanto, i mezzorchi sono geneticamente aggressivi e selvaggi, cosa che richiama certe credenze occidentali di inizio Novecento. Concentrandosi invece sugli umani, Garcia nota come, prima della quinta edizione del 2014, la maggior parte dei personaggi umani era tipicamente bianca, con etnie diverse generalmente portate in supplementi aggiuntivi e trattate come esotiche.
Infine, Garcia analizza la figura del master e il potere di cui questi è investito dai manuali. Infatti, se D&D 5e definisce il master come una forza creativa, le edizioni precedenti implementavano invece il potere semi-assoluto del master.
In conclusione, Garcia mostra con D&D come le costruzioni culturali, i sistemi e le persone cambino col tempo. “D&D è un sistema di possibilità”, dice Garcia, capace di aprirsi a nuovi orizzonti.
Il terzo saggio di Fuori dal Dungeon: Role-playing Games as Resistance. Il nuovo laboratorio dei sogni
Questo saggio di Katherine Cross esplora come il gioco di ruolo possa essere utilizzato per esplorare possibilità di vita che normalmente non sarebbero concesse nella vita reale. Per il suo studio, Cross si concentra sull’esperienza delle donne che hanno utilizzato il gioco di ruolo per esplorare se stesse al di fuori dei vincoli del sessismo sociale.
In particolare, Cross racconta la propria esperienza come giocatrice di World of Warcraft, durante la quale ha capito di essere una donna trans, grazie proprio alla possibilità di giocare un personaggio femminile. Certamente, la Blizzard con WoW non aveva previsto che il suo titolo potesse essere utilizzato dalle persone trans per esplorare la propria identità di genere in maniera sicura. Ma ciò non ha fermato nessuno.
Questa esplorazione di sé è stata studiata da Cross anche nei giochi da tavolo pen and paper, dedicando particolare attenzione al gdr Eclipse Phase. In questo titolo, è detto esplicitamente che il genere è diventato un concetto obsoleto e il manuale utilizza come pronome neutro il singolare they. Eclipse Phase non solo dedica particolare cura all’esplorazione delle dinamiche sociali ed economiche del suo setting, ma presenta anche una grande varietà di personaggi differenti. Molti png, infatti, sono attivisti, donne e persone di colore.
Cross conclude il proprio saggio sottolineando come i gdr pen and paper siano un “cantiere di creazione che espande necessariamente la mente del giocatore”. La narrazione femminista dovrebbe guardare al gioco di ruolo, poiché questo permette di affrontare problemi complessi nei mondi creati, diventando un vero e proprio laboratorio dei sogni.
Il quarto saggio di Fuori dal Dungeon: The first female gamers
Scritto da Jon Peterson, questo saggio parla dell’esperienza delle prime giocatrici di D&D.
Il saggio inizia con alcuni estratti di una recensione di D&D scritta da Jim Dapkus nel 1974, in cui l’autore si preoccupava del fatto che il gioco offrisse poca versatilità per i pg femminili. Quando Dapkus presentò le proprie preoccupazioni a Gygax, questi disse che si sarebbe piegato alle richieste delle donne solo quando una donna avesse comprato una copia di D&D. Ma davvero non esistevano donne interessate a D&D?
Le donne nella community del wargame: pochissime e, generalmente, mogli di wargamer
Per comprendere meglio il pubblico a cui si rivolgeva D&D, Peterson ripercorre la storia dei wargame a partire dalla fine del 1800. Si nota infatti come, in alcuni ambienti, anche le donne fossero giocatrici frequenti, sebbene in altri ambienti la presenza femminile fosse praticamente nulla. Si hanno poi casi in cui i giocatori di wargame raccontavano che i loro avversari nelle partire erano spesso le loro stesse mogli, visto che non si riuscivano a trovare altri giocatori, negli anni Sessanta. Pertanto, le donne nel mondo del wargame erano generalmente inserite nel ruolo di “moglie del giocatore”.
Le case produttrici di wargame sostenevano di non avere una fanbase femminile, ma col passare del tempo alcuni nomi di donne, come Donna Powell, iniziarono a farsi strada nella community. Tuttavia, la presenza femminile rimase per lo più confinata in alcuni ambienti specifici, come il club Spartan Wargamers. Da indagini dei primi anni Settanta, sappiamo che le donne costituivano l’1% della community del wargaming.
Perché le donne non giocavano ai wargame?
Anche i due creatori di D&D, Gary Gygax e Dave Arneson, frequentavano ambienti di gioco tutti al maschile e dunque il loro gioco fu scritto con soli giocatori uomini come riferimento. Non è un caso che la classe del Fighter fosse inizialmente detta Fightingman, o i titoli fossero tutti al maschile (Lord, Warlock, Patriarch). Queste scelte furono probabilmente un “riflesso delle realtà demografiche dei giocatori di allora”. Quindi, Gygax aveva validi motivi per ritenere che le donne non avrebbero comprato D&D. Tuttavia, “se il gioco esclude la partecipazione femminile, allora le donne potrebbero essere poco incentivate ad acquistarlo”.
Preoccupate di perdere potenziali acquirenti, le case editrici tentarono di capire perché la community del wargaming e del gdr fosse composta al 99% da uomini.
Peterson riporta i risultati delle interviste di Jack Greene del 1975. In queste interviste, leggiamo le parole di Marc Miller, futuro autore di Traveller, secondo cui nella community erano presenti poche donne a causa dell’educazione di genere che le donne ricevevano, ossia l'”opporre le bambole alle pistole giocattolo”. In generale, si pensava che l’estraneità delle donne alla vita militare le rendesse meno propense a fare di calcolo o a concettualizzare mosse e contromosse.
Altri esponenti della comunità del wargame asserivano che le donne non fossero educate a sviluppare una natura competitiva, e che l’aggressività del gioco le mandasse in cortocircuito. Secondo altri, le donne partecipavano ai wargame solo per non perdere di vista i loro interessi amorosi. Per alcuni wargamer, competere contro una donna era considerato inappropriato e aggressivo.
Intervistando poi la prima game designer donna, Linda Mosca, Greene riporta che, secondo l’intervistata, le donne non giocavano ai wargame a causa dell’“indottrinamento culturale” ricevuto, che le spingeva verso attività meno aggressive, ma anche meno stimolanti.
D&D e il maggiore interesse femminile al gioco di ruolo
Tuttavia, nel 1975 si notò come le donne fossero più attratte da D&D che dai wargame classici. Alcune donne intervistate all’epoca, infatti, dissero di non apprezzare la competitività maschile dei wargame, laddove D&D era più nelle loro corde. Infatti, D&D era un gioco collaborativo e tale da rendere “personale” la storia dei personaggi. Inoltre, le tematiche fantasy permettevano la fusione del fandom dei wargame con il fandom del fantasy/della fantascienza, con una demografia molto diversa. Infatti, la community fantasy e fantascientifica attirava molte più donne, spesso autrici di articoli e storie pubblicate in fanzine, come quello di Hilda Hannifer.
Pertanto, nelle edizioni successive e nei supplementi scritti dai fan, la presenza femminile venne inclusa sia nel modo in cui questi manuali erano redatti (con l’uso del pronome s/he, per esempio). Tuttavia, spesso l’attenzione sui personaggi femminili si concentrava sulla loro minore prestanza fisica e sul fatto che i personaggi femminili dovessero essere belli. Infatti, incantesimi come “Seduzione” erano appannaggio solo dei personaggi femminili e utilizzabili sono su pg maschili. Delle differenze fisiche (e della debolezza femminile) tra uomini e donne si parlò lungamente nelle fanzine negli anni Settanta.
Nel 1978, quando Gygax pubblicò Advanced Dungeons & Dragons, affermò che uomini e donne avessero le medesime possibilità come personaggi. Tuttavia, anche in questa edizione i personaggi femminili avevano un punteggio di Forza inferiore rispetto a quelli maschili.
In definitiva, arrivati al 1979, Gygax affermò che le donne che giocavano a D&D fossero il 10% del totale. Ma se le giocatrici di ruolo aumentavano, altrettanto non si poteva dire delle wargamer, che restavano sempre attorno all’1%. Quindi, in definitiva, si può dire che Dungeons & Dragons, nonostante la chiusura dei suoi creatori, abbia aperto le porte del mondo del gioco alle donne.
Discriminazione di genere nella community italiana del gioco di ruolo: la ricerca di DD&D in Fuori dal Dungeon
Fuori dal Dungeon si chiude con una sintesi della ricerca di Donne, dadi & dati sulla discriminazione di genere nella community italiana del gioco di ruolo.
Di questa ricerca abbiamo già parlato a lungo, sia per la sua presentazione al Modena Play 2018, sia per la sua presentazione al convegno Genere e R-esistenze in Movimento all’Università di Trento. In Fuori dal Dungeon si può leggere una versione ridotta del documento già liberamente consultabile sul sito di DD&D.
Questa ricerca si basa sui dati raccolti da oltre 4.000 persone che hanno partecipato a un sondaggio online, in cui si sono indagati sia i numeri della discriminazione di genere nella nostra community, sia le modalità di attuazione. Inoltre, si sono proposte soluzioni e strategie per affrontare questo tipo di comportamenti.
I quattro capitoli dell’indagine di DD&D in Fuori dal Dungeon
In Fuori dal Dungeon, l’indagine è suddivisa in quattro sotto-capitoli, ognuno dei quali si concentra su un aspetto diverso dell’indagine ed è stato scritto dal ricercatore che se ne è occupato.
Il primo capitolo è un’introduzione alla ricerca e ai suoi numeri, scritto a quattro mani da Claudia Pandolfi e da Francesco Giovinazzi. Qui vengono spiegati le motivazioni, gli obiettivi e la metodologia dell’indagine. I dati sui quali è stata poi basata l’analisi sono riportati e commentati, mettendo in evidenza le statistiche più significative e contestualizzando i dati relativi alla discriminazione di genere.
Il secondo capitolo è l’analisi in chiave psicologica delle testimonianze da parte di Aurelio Castro. Aurelio analizza le diverse modalità con cui si discriminano donne e persone non binarie al tavolo da gioco, approfondendo questioni come il gatekeeping, la delegittimazione delle esperienze e il tokenism. Infine, Aurelio propone alcune strategie per far fronte a questo genere di discriminazioni.
Il terzo capitolo, Tavolo da gioco: uno spazio politico di definizione del potere, è frutto del lavoro di Roberto Lazzaroni. Roberto indaga il tavolo da gioco in termini antropologici, riconoscendolo come arena sociale in cui si sviluppano rapporti di potere. Nella conclusione del capitolo, Roberto offre alcuni spunti per creare uno spazio di gioco equilibrato, in cui ognuno si assume le proprie responsabilità.
Infine, il quarto capitolo, Considerazioni linguistiche, è stato scritto da me, Gloria Comandini, aka Cercatrice G. Mi prenderò un po’ più di righe per parlare di questa mia piccola ricerca, visto che è il sotto-capitolo che posso spiegare con più cognizione di causa.
Considerazioni linguistiche: un piccolo approfondimento
Dato il loro scarso numero in termini di numero di parole e di token, non è stato possibile fare un’analisi quantitativa dei fenomeni linguistici rilevati. Tuttavia, la natura molto specifica di questi scritti permette di osservare alcuni fenomeni che, normalmente e su altri corpora più grandi, ma anche molto più generici, sarebbero impossibili da studiare. In particolare, in questo estratto ho preferito concentrarmi su due fenomeni: l’uso lessicale di discriminazione (e discriminare e discriminato/a) e l’uso del discorso riportato come strategia testuale.
In particolare, ho analizzato come gli uomini tendessero a descrivere più spesso le esperienze negative subite col termine discriminazione, mentre le donne preferivano fare ricorso ad altre soluzioni lessicali, descrivendo più nel dettaglio l’esperienza. È anche molto interessante l’uso che le persone rispondenti fanno del discorso riportato, che qui difficilmente può essere visto come una citazione precisa di dialoghi avvenuti in passato, ma è più una strategia testuale per mettere in evidenza determinate sezioni del testo.
Qualora foste interessati, potete leggere il mio breve contributo linguistico su Academia o su ResearchGate.
Due parole conclusive su Fuori dal Dungeon
Fuori dal Dungeon è una lettura con una forte impronta specialistica, ma riesce comunque ad essere molto approcciabile anche per i non addetti ai lavori, grazie soprattutto alla cura e all’attenzione per la divulgazione di Marta Palvarini.
Anche per chi non fosse interessati agli studi di genere applicati al campo del gdr, Fuori dal Dungeon offre anche un notevole approfondimento storico sui gdr. Grazie alla sua bibliografia e alle tante testimonianze riportate, questa raccolta di saggi è utilissima anche per chi volesse approfondire la storia della nostra community.
Personalmente, ringrazio tanto Marta per la pazienza, per la disponibilità e, soprattutto, per l’opportunità che ci ha dato, oltre che per aver riunito e portato in Italia questi bellissimi saggi.
Potete acquistare Fuori dal Dungeon qui.