Cosa è stato detto al convegno su Tolkien a Trento, Fallire sempre meglio? E cosa è stato detto nell’intervento di Ottavio Fatica? Ecco un breve riepilogo e alcune riflessioni.
Era da qualche mese che non si parlava della nuova traduzione de Il signore degli anelli. Oggi parliamo di Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore, ossia del convegno tolkieniano che si è tenuto recentemente a Trento. Ne approfittiamo anche per far notare che all’Università di Trento si sono già tenuti due workshop su Tolkien, di cui abbiamo parlato qui e qui. Ricordiamo anche che, sempre sotto Unitn, si è tenuto il convegno Genere e R-esistenze, in cui si è presentata la ricerca di Donne, dadi & dati sulla discriminazione nella community italiana del gioco di ruolo, riportata anche in Fuori dal Dungeon.
Ci sarebbe tantissimo di cui discutere, soprattutto in merito ai vari interventi che sono stati fatti da studiosi/e e professionisti/e del settore. Purtroppo, come vedrete, non sarà possibile parlare di tutti i talk. Questo articolo, invece, si concentrerà più che altro sull’intervento di Ottavio Fatica, il nuovo traduttore de Il signore degli anelli, e sulle riflessioni personali che mi ha suscitato.
L’articolo sarà quindi diviso in due parti. Nella prima parte, riporterò il programma di Fallire sempre meglio, con un focus particolare sull’intervento di Ottavio Fatica e sulle domande successive a lui rivolte. Nella seconda parte, invece, inserirò alcune mie riflessioni, senza troppi peli sulla lingua.
Fallire sempre meglio: il programma del convegno tolkieniano a Trento
Il lunedì e il martedì della scorsa settimana, ossia il 30 novembre e il 1 dicembre, all’Università degli Studi di Trento (Unitn) si è tenuto il convegno tolkieniano Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore. Il convegno è stato organizzato dall’AIST (Associazione Italiana Studi Tolkieniani) e dal seminario di traduzione letteraria di Unitn, LETRA.
Fallire sempre meglio si è tenuto totalmente online, presentando una buona partecipazione: circa 100 persone collegate in media, con un minimo di 70/80 utenti e un massimo di 150 utenti.
Ho avuto il piacere di assistere agli interventi di lunedì e del martedì mattina, ma, per questioni di tempo, mi è stato possibile prendere appunti precisi solo in merito all’intervento di Ottavio Fatica. In tal senso, chiedo scusa agli altri relatori e alle altre relatrici di Fallire sempre meglio. Per fortuna, potremo leggere nel dettaglio i loro interventi negli atti di Fallire sempre meglio che, se tutto va bene, dovrebbero uscire nei primi mesi del 2021. A quel punto, potremo dedicare un intero articolo a tutti i loro saggi.
Nel mentre, vi riportiamo il programma di Fallire sempre meglio, che potrete leggere anche sul sito di Unitn e in questi due articoli (qui e qui) sul sito dell’AIST.
Gli interventi di lunedì 30 novembre
Fallire sempre meglio si è aperto alle 15 di lunedì 30 novembre. Dopo i saluti iniziali degli organizzatori e del comitato scientifico, moderati dal Prof. Andrea Binelli, hanno parlato quattro relatori/trici: Ottavio Fatica, Luca Manini, Maria Elena Ruggerini e Marco Picone.
Fatica e Manini hanno illustrato la propria esperienza come traduttori italiani di Tolkien, rispettivamente de Il signore degli anelli e degli scritti inediti del Professore (come Beren e Lúthien e La Caduta di Gondolin). Ruggerini, invece, si è concentrata sulla figura di Tolkien come traduttore dall’antico inglese e in antico inglese. Infine, Picone ha fatto un intervento sulla toponomastica in Tolkien, confrontando e commentando le traduzioni di Alliata e Fatica.
Gli interventi di martedì 1 dicembre (mattina)
Nella mattina di martedì 1 dicembre, poi, a Fallire sempre meglio si sono avuti gli/le ospiti dall’estero e alcuni interventi su aspetti più internazionali dell’opera di Tolkien. Moderati da Roberto Arduini, hanno parlato Renée Vink, Alessandro Fambrini, Kersti Juva e Roberta Tosi.
Renée Vink, traduttrice olandese de Lo Hobbit, ll Cacciatore di Draghi e Le avventure di Tom Bombadil ha parlato della traduzione delle ultime opere del Professore (come Beren e Lúthien e La Caduta di Gondolin) e della difficoltà di tradurre le sue poesie. Alessandro Fambrini, invece, ha parlato del rapporto fra Tolkien e i suoi editori tedeschi. Kersti Juva, poi, ha raccontato la propria esperienza personale come traduttrice in finlandese de Il signore degli anelli, prima di dedicarsi poi alla traduzione (o alla ri-traduzione) di altre opere di Tolkien, come Il Silmarillion o Lo Hobbit. Infine, Roberta Tosi ha approfondito la figura di Tolkien come artista e illustratore delle proprie opere.
Gli interventi di martedì 1 dicembre (pomeriggio)
Infine, nel pomeriggio di martedì 1 dicembre si sono avuti altri quattro interventi, questa volta moderati da Claudio Antonio Testi. Non essendo stata presente in questa parte di Fallire sempre meglio, posso solo riportarvi i titoli degli interventi, in attesa degli atti. I relatori e le relatrici dell’ultima sessione del convegno sono stati Fulvio Ferrari (Tolkien in Svezia), Roberta Capelli (Decir quasi the same chose: letture parallele del Signore degli Anelli) e Antonio Crespi (Tolkien al cinema: trasposizioni e riletture sullo schermo).
Infine, Roberto Arduini, Stefano Giorgianni e Federico Guglielmi hanno chiuso Fallire sempre meglio presentando gli atti dello scorso convegno tolkieniano e la nuova rivista accademica tolkieniana italiana: I Quaderni di Arda.
L’intervento di Ottavio Fatica a Fallire sempre meglio: Ritradurre Il Signore degli Anelli
Parliamo ora più approfonditamente dell’intervento di Ottavio Fatica a Fallire sempre meglio. L’intervento di Fatica si intitola Ritradurre Il Signore degli Anelli e, comprendendo il tempo dedicato alle domande, è durato attorno ai 50 minuti. Durante questo intervento si è registrato il picco massimo degli spettatori/trici del convegno, con ben 140/150 utenti collegati in media.
NB: questo report è frutto della mia memoria e dei miei appunti. Se notate qualsiasi tipo di imprecisione o di errore, vi prego di farmelo notare nei commenti all’articolo, grazie!
L’intervento di Fatica a Fallire sempre meglio si apre con una riflessione sul fatto che, dopo aver tradotto Il signore degli anelli, ha avuto diversi ripensamenti, che riprenderà alla fine del suo intervento.
Una riflessione sulla posizione di Tolkien nella letteratura del Novecento
Fatica riflette quindi su quanto Tolkien fosse uno scrittore particolare rispetto agli altri autori e alle altre autrici dell’epoca. Infatti, insieme a resto degli Inklings, Tolkien produceva un tipo di letteratura completamente diverso rispetto a quella della corrente modernista, e quindi rispetto alle opere di autori come Joyce ed Eliot. Per questo motivo, per un lungo periodo si è avuta una classificazione diversa della letteratura tolkieniana, perché se dai modernisti pareva discendere la letteratura “seria”, da Tolkien si è fatta discendere una letteratura di genere, ossia la letteratura fantasy. Tuttavia, le opere di Tolkien sono state definite fantasy più che altro per comodità di classificazione e perché per lungo tempo è stato difficile inserire il Professore nella grande letteratura del Novecento.
Fatica afferma di non poter predire se gli studiosi di letteratura del futuro continueranno a considerare Tolkien uno dei grandi scrittori novecenteschi. Tuttavia, Fatica afferma anche che lui, oggi, ritiene Tolkien uno dei grandi scrittori del Novecento.
Una riflessione sulle critiche a Tolkien
Il traduttore poi ripercorre brevemente la critica letteraria su Tolkien, facendo un excursus su quanto polarizzati siano sempre stati i giudizi su Tolkien: tendenzialmente, o lo si ama, o lo si odia, senza molte vie di mezzo. Anche oggi, secondo Fatica, è difficile commentare o recensire Tolkien in maniera oggettiva, ammettendo sia i suoi pregi, sia i suoi difetti come scrittore. Infatti, secondo Fatica nel corso del tempo sono state mosse delle critiche anche molto valide nei confronti de Il signore degli anelli. Sorvolando sull’iniziale critica italiana di Vittorini, che rispondeva più che altro al gusto dell’epoca, Fatica si sofferma invece su alcuni critici inglesi. Per esempio, Edmund Wilson non sapeva come prendere la storia di Tolkien, considerandola come un racconto per bambini sfuggito di mano all’autore. Invece, secondo Harold Bloom, Il signore degli anelli ha uno stile troppo ripetitivo e indisponente, con una lingua che è troppo self-conscious.
Secondo Fatica, queste sono tutte critiche valide da rivolgere a Tolkien, poiché è vero che Tolkien è prolisso, ripetitivo e troppo sicuro di sé. Tuttavia, Fatica fa anche notare che praticamente ogni autore è così. E così come Tolkien ha dei difetti, sempre Tolkien è capace di sopperire a questi difetti con le sue molte qualità. Pertanto, secondo Fatica non ha senso parlare di Tolkien o sostenendolo in tutto, o bocciando completamente il suo lavoro. Bisogna riconoscere sia i pregi che i difetti de Il signore degli anelli, e lasciare che la critica negativa e quella positiva coesistano insieme, senza tacciare l’una o l’altra come intrinsecamente sbagliata. Infatti, secondo Fatica, la non unanimità dei giudizi è l’ossigeno dell’arte.
Una riflessione su Il signore degli anelli come traduzione e sui “versi nascosti” nella prosa
Detto questo, Fatica offre alcune delle sue considerazioni su Il signore degli anelli, raccolte dagli appunti che ha preso durante la traduzione dell’opera.
Una delle cose principali da tenere a mente quando si traduce Il signore degli anelli, secondo Fatica, è il fatto che l’opera, nella mente di Tolkien, non è una produzione originale, bensì la traduzione di un libro scritto da Bilbo e Frodo nella loro lingua. Pertanto, secondo Fatica, quando si traduce Il signore degli anelli è importante rendere l’opera nel suo insieme, e quindi, dopo aver trovato il ritmo del testo, mantenerlo fino alla fine.
Questo è particolarmente importante per la poesia di Tolkien, che secondo Fatica racchiude grande bellezza anche nel suo essere vecchio stile. Il traduttore, poi, nota che Tolkien gioca con i ritmi e con i versi anche nella prosa. Lo si vede molto bene in frasi come la seguente.
Éowyn fell forward upon her fallen foe.
Fatica riporta che questa tendenza a inserire versi poetici all’interno della prosa è propria non solo di Tolkien, ma anche di diversi altri autori.
Una riflessione sui diversi livelli di significato di Tolkien
Fatica dunque affronta il fatto che Tolkien può risultare artificioso, antiquato e poco apprezzabile anche ai lettori che hanno l’inglese come madrelingua. Infatti, sia i lettori inglesi, sia i lettori italiani che leggono Tolkien in inglese non colgono necessariamente tutti i sottotesti de Il signore degli anelli. Secondo Fatica, lo si vede in casi come il nome Hamfast, che a un lettore inglese trasmetterà l’idea più ovvia, ossia quella del prosciutto. In tal senso, nemmeno un lettore madrelingua coglierà il fatto che il nome Hamfast non ha nulla a che vedere con i prosciutti, ma deriva dall’antico inglese hámfæst, ossia “che resta a casa”.
Similmente, i lettori italiani che leggono l’opera in lingua originale non coglieranno necessariamente i mutamenti di tono (come quello del quinto libro) o i giochi di parole, che invece possono risultare più evidenti a un madrelingua.
Una riflessione sulla resa linguistica del mondo secondario di Tolkien
Fatica a questo punto parla del proprio lavoro per evitare anacronismi o l’inserimento di parole che, all’interno de Il signore degli anelli, hanno poco senso di esistere. Pertanto, Fatica ha evitato espressioni e metafore che fanno riferimento a concetti o a tecnologie presenti solo nel nostro mondo, ma assenti nel mondo secondario della Terra di Mezzo, come in fila indiana o in picchiata. Infatti, in fila indiana presuppone che nel mondo di Tolkien esistano i Nativi Americani, mentre in picchiata è un’espressione che deriva dal lessico legato agli aerei. Similmente, Fatica evita le parole coniate troppo recentemente rispetto al tipo di mondo rappresentato nella Terra di Mezzo, come panorama (di invenzione settecentesca) e pony (che l’italiano ha adottato come prestito dallo scozzese powney nell’Ottocento).
Tuttavia, Fatica fa anche notare che Tolkien stesso talvolta utilizza terminologie che poco hanno a che fare col mondo della Terra di Mezzo. Per esempio, per descrivere lo stato dell’Ithilien, Tolkien lo descrive come una “driade scarmigliata” (dishevelled dryad). In un altro passo, Tolkien utilizza il termine soul (anima) in un’espressione figurata, nonostante nella Terra di Mezzo non esista il concetto di anima allo stesso modo in cui la si intende con l’espressione soul. Similmente, Tolkien inserisce anche alcuni evidenti riferimenti biblici, come nell’uso del termine babele. Molti di questi “anacronismi tolkieniani” sono presenti nella prima parte de La compagnia dell’anello, forse perché Tolkien, mentre scriveva questa parte, prendeva meno sul serio la resa linguistica della Terra di Mezzo.
Una riflessione sulle correzioni nel volume unico
Infine, Fatica ha commentato di aver tenuto conto delle correzioni segnalate dai fan di Tolkien, quando ha revisionato la propria traduzione in vista del volume unico, uscito da pochi mesi. Il traduttore sottolinea come il vaglio puntuale dei fan lo abbia aiutato a eliminare refusi, errori e imprecisioni. In alcuni casi, queste correzioni sono state importanti per cogliere dei termini che poco hanno a che fare con l’atmosfera della Terra di Mezzo, come chimera, o con le conoscenze di chi li usa, come maretta, usato (mi par di ricordare!) dagli Hobbit che mai hanno visto il mare.
Fatica ripensa anche ad alcune scelte di cui attualmente si pente. In primo luogo, si pente di aver dato ascolto ai consigli più cauti ricevuti, che gli hanno consigliato di mantenere in inglese i cognomi dei personaggi principali. Dopo tutto, dice Fatica, ci sarà un motivo se le maggiori traduzioni mondiali hanno tradotto i cognomi principali! Il traduttore infine riflette su come abbia cambiato idea sulla traduzione di Strider (in Alliata/Principe, Granpasso), resa come Passolungo, ma che sarebbe risultata migliore come Falcante. Detto questo, Fatica afferma di avere qualche altro rimpianto, ma che ci sarà tempo per rivedere il suo lavoro in ulteriori revisioni e traduzioni.
Le domande a Fatica
Dopo l’intervento di Fatica a Fallire sempre meglio, il moderatore ha riportato alcune delle domande scritte dal pubblico e ne ha poste alcune a sua volta. Ecco le domande e le risposte del traduttore.
Viste le varie stratificazioni temporali della stesura del testo, in che misura ti sei sentito di dover tradurre gli ultimi capitoli con lo stile iniziale nella Contea?
A questa domanda, posta da Binelli, Fatica risponde che, ne Il repulisti della Contea, Tolkien torna allo stile piano dei primi capitoli de La compagnia dell’anello. Questo cambio di tono si sente molto, specialmente dopo i picchi di epicità dei capitoli immediatamente precedenti.
Proprio per questo motivo, Fatica ha ammesso di aver avuto difficoltà a ritornare a quello stile.
Ha visto altri fandom con appassionati che danno così tanti suggerimenti?
Fatica afferma che la schiera degli appassionati de Il signore degli anelli è stata di grande aiuto e li ringrazia. Infatti, è inevitabile che in un’opera enorme come Il signore degli anelli ci siano sviste e refusi, quindi l’aiuto di questi fan è estremamente prezioso.
Come collocherebbe il lettore di Tolkien?
Questa domanda è stata inizialmente letta e (si suppone) parafrasata da Binelli, che però non ne ha capito il senso. Così, l’autrice della domanda è intervenuta di persona, affermando di tenere molto ad avere una risposta di Fatica, perché ha cercato di farsi rispondere su questa questione per mesi.
Secondo la spettatrice, infatti, la traduzione ha come obiettivo il rendere leggibile l’opera nella lingua dei nuovi lettori, quindi bisogna chiedersi ‘a chi mi sto rivolgendo?’ e ‘che tipo di ampiezza di pubblico ho davanti?’. In tal senso, la spettatrice afferma di avere un problema con la traduzione di Fatica, poiché, secondo lei, Il signore degli anelli è molto comprensibile e scorrevole per i madrelingua inglesi, anche diciassettenni, mentre la traduzione di Fatica contiene dei termini (dialettismi, tecnicismi, latinismi) che costringono il lettore a uscire dalla storia e a cercarli in un dizionario.
Fatica ha risposto che, secondo lui, Tolkien non è così comprensibile per un diciassettenne inglese, perché pure Tolkien utilizza termini arcaici o propri di dialetti inglesi. Ne è un esempio (fatto in precedenza) il cognome Gamgee, che Tolkien ha preso dal dialetto di Birmingham, dove era utilizzato come termine colloquiale per indicare il cotone.
Fatica quindi afferma che anche la sua traduzione de Il signore degli anelli può essere tranquillamente letta da un diciassettenne italiano, che però magari non ne capirebbe tutti i termini. Tuttavia, se un giovane lettore fosse spronato a cercare un termine nel dizionario non sarebbe certo una cosa negativa.
Inoltre, secondo il traduttore, il fatto che Tolkien non sia sempre così trasparente nel lessico utilizzato è dimostrato anche dalla presenza di numerosi lessici e dizionari basati sulle sue opere. Tra gli altri autori moderni, solo Joyce può vantare così tanti dizionari.
Qual è stato il passo più difficile da tradurre?
Fatica non ha saputo rispondere precisamente a questa domanda, ma ammette che ci siano stati dei passi complessi. Per esempio, la scrittura di Tolkien diventa molto difficile da rendere nei passi di Frodo e Sam sul Monte Fato, così come durante le battaglie. Inoltre, poiché le descrizioni di viaggio sono un tentativo di riprodurre esattamente un territorio fantastico, questi passi risultano abbastanza complessi da seguire, ma sono anche quelli in cui Tolkien dà il meglio di sé.
Un commento personale su Fallire sempre meglio e su altre questioni
Personalmente, ho apprezzato molto Fallire sempre meglio in generale, poiché l’ho trovato ricco di spunti di riflessione ed estremamente corale. Credo che, per chi ha avuto la pazienza di seguirlo anche oltre l’intervento di Fatica, Fallire sempre meglio abbia mostrato quanto sia difficile e affascinante tradurre Tolkien. Gli interventi sono stati, in generale, chiari e informativi.
È certamente un peccato non aver potuto avere un convegno in presenza, poiché sarebbe stato un ottimo momento di convivialità e per conoscere di persona i traduttori/le traduttrici e gli studiosi/le studiose che hanno parlato. Tuttavia, la modalità telematica ha permesso di avere collegate moltissime persone e di poter avere agilmente ospiti dall’estero.
Due parole sull’intervento di Ottavio Fatica
Per quel che riguarda l’intervento di Fatica, invece, non è stato detto molto di nuovo. In Fallire sempre meglio, Fatica si è tenuto sul generico, riportando per lo più esempi che avevamo già sentito al convegno a Parma. In molti non hanno apprezzato la lunga introduzione sulla critica e la ricezione di Tolkien che, pur essendo interessante e informativa, non è la “ciccia linguistica” che si sarebbe voluta sentire.
Da parte mia, ho apprezzato l’intervento di Fatica, ma come molti avrei voluto più informazioni tecniche. Mi sarebbe piaciuto che Fatica desse più spazio ai versi nascosti nella prosa di Tolkien e all’uso di dialettismi inglesi. Ho poi apprezzato l’attenzione di Fatica per l’utilizzo di un lessico che fosse il più possibile adatto al mondo secondario della Terra di Mezzo e che risultasse la traduzione di un testo scritto da Frodo.
Credo poi che l’intervento di Fatica abbia risentito di due fattori. Innanzitutto, Fatica ha fatto riferimento in maniera piuttosto puntuale ad alcuni passi del testo de Il signore degli anelli e a diversi termini inglesi. Quindi, secondo me, l’intervento sarebbe stato più semplice da seguire se il tutto fosse stato accompagnato da una presentazione Power Point o da un handout. In secondo luogo, risulta evidente che Fatica non sia un oratore, quindi probabilmente il suo intervento risulterà più chiaro e ritmato in forma scritta. Inoltre, negli atti, probabilmente, l’introduzione iniziale risulterà meglio integrata nell’intervento.
Due (si fa per dire) parole sulle polemiche nate durante l’intervento di Ottavio Fatica
Come dicevo all’inizio dell’articolo, questo report provocherà, come tutti gli articoli sulla nuova traduzione de Il signore degli anelli, una certa dose di polemiche. Le abbiamo già viste nascere durante l’intervento di Fatica a Fallire sempre meglio, nella forma di due domande.
Il concetto di fëa e hröa, e sulle domande unicamente provocatorie
La prima è stata una domanda secca, in cui si è chiesto a Fatica se sapesse cosa fossero fëa e hröa. A questa domanda, Fatica ha ammesso candidamente di non saper rispondere. Credo che, a questo punto, sia importante spiegare perché questa domanda sia stata totalmente fuori luogo e inutilmente provocatoria.
Infatti, questa domanda fa riferimento all’affermazione di Fatica secondo cui l’idea di anima/soul non è presente all’interno de Il signore degli anelli, controbattendo con l’affermazione che, in realtà, nella Terra di Mezzo è in realtà presente in concetto di anima: fëa. E sebbene questa affermazione sia vera, bisogna però sottolineare che i concetti di fëa (anima) e hröa (corpo) sono stati presentati non ne Il signore degli anelli, bensì in Morgoth’s Ring, il decimo volume della History of Middle Earth.
Pertanto, nell’economia del racconto de Il signore degli anelli, il concetto di fëa non esiste, poiché non è stato esplicitamente affermato dall’autore all’interno dell’opera. Poi, certamente, facendo un discorso più ampio, si può affermare che nel Legendarium tolkieniano, che è molto più ampio rispetto a Il signore degli anelli, il concetto di anima esista. Tuttavia, l’esistenza del concetto di fëa nel Legendarium non invalida l’affermazione di Fatica, poiché nel testo de Il signore degli anelli de facto non si parla mai di anima, se non in una singola espressione figurata.
Perché questa domanda è problematica non nei contenuti, ma nella forma? (Perché sì, la forma è importante)
Chi ha posto questa domanda aveva il diritto di sapere se Fatica, nel proprio lavoro, avesse tenuto in considerazione il concetto di fëa spiegato in Morgoth’s Ring? Certamente. Anzi, sarebbe stata una bella domanda da fare. Se fosse stata posta in questo modo:
Lei ha affermato che il concetto di anima ne Il signore degli anelli non esiste, ma nella History of Middle Earth si parla di anima, utilizzando il termine fëa. Ha tenuto conto di questa informazione nella sua traduzione?
Perché questa è una domanda seria. Chiedere seccamente “Sa cosa sono fëa e hröa?” senza dare ulteriori informazioni è la parodia di un’interrogazione, in cui si cerca di capire se Fatica sia “davvero un fan informato” o un “esperto” del Legendarium tolkieniano. Si può dibattere sul fatto che il traduttore de Il signore degli anelli dovrebbe essersi letto ogni singola opera firmata J. R. R. Tolkien o Christopher Tolkien. Tuttavia, questo dibattito dovrebbe rimanere sulla linea del dialogo. E l’interrogazioncina sterile non è un dialogo.
Sul fatto che ci siano prove statistiche sulla leggibilità di Tolkien
La seconda domanda polemica, che vi ho riportato anche sopra, ha un contenuto molto valido, ossia “per quale pubblico si traduce Tolkien”. Secondo me, si sarebbe potuta intavolare una bella discussione. E dalla domanda “Tolkien è comprensibile, nelle sue sfumature linguistiche, anche a lettori/trici giovani?” si potrebbe trarre spunto per una bella ricerca.
Proprio per questo, secondo me, è un peccato che questa domanda sia stata sprecata a causa del tono (e qui sto parlando proprio di tono di voce) con cui e stata posta e dalla tendenza della spettatrice a interrompere Fatica mentre questi rispondeva. Infatti, in generale, la spettatrice si è posta in maniera piuttosto aggressiva nei confronti del traduttore, esordendo con l’accusa di essere stata ignorata da Fatica nei mesi precedenti e in seguito insistendo energicamente sul fatto di avere delle “prove statistiche” sul fatto che Tolkien sia facile da leggere per dei giovani lettori madrelingua.
Una questione di statistica che andrebbe approfondita e/o formulata meglio
Ora, a me di questa domanda è stata la parte sulla statistica a dare più fastidio, per una ragione molto semplice: io sono una linguista che lavora su dati empirici, quindi mi capita di dover fare anche statistica. E vi posso assicurare che, se qualcuno affermasse che Tolkien è facile da leggere, supportando la propria teoria con supposte “prove statistiche”, le quali si riducono al fatto che ha chiesto ad alcuni ragazzi inglesi madrelingua se Tolkien per loro fosse facile o difficile da leggere… be’, che dire? Avrei alcuni dubbi sul fatto che questa persona sappia fare ricerca statistica.
Innanzitutto, per fare uno studio serio sulla questione bisognerebbe capire se i diciassettenni inglesi siano in grado di cogliere i significati sommersi di Tolkien e i suoi vari riferimenti linguistici, piuttosto che chiedere genericamente se Il signore degli anelli fosse parso loro facile o difficile. Inoltre, è facile immaginare che servirebbe un campione di giovani lettori molto ampio e variegato, assicurandosi di conoscere anche i loro gusti letterari e quali letture abbiano fatto. Oltretutto, per ognuno di loro ci si dovrebbe assicurare di sapere, tra le altre cose, anche se abbiano letto saggi e volumi di contorno, come The Lord of the Rings: A Reader’s Companion.
Insomma, per avere dei dati statistici veri su questa faccenda, bisognerebbe fare uno studio molto serio e molto lungo. Anche per questo motivo, oltre che per rispetto nei confronti di chi lavora su tematiche simili, sarebbe il caso di tirare fuori le “prove statistiche” solo quando si hanno vere e proprie prove statistiche.
Due parole sulla ricezione dell’intervento di Ottavio Fatica
Dai “report” e dagli articoli allarmistici pubblicati sulla scia del convegno Fallire sempre meglio, mi pare evidente che, nella discussione sulla traduzione di Fatica, ci sono due sponde polarizzate e incomunicabili. Fatica può spiegare le proprie scelte quanto vuole, ma troverà sempre un muro di ostilità dall’altra parte. Fatica potrà parlare col tono più tranquillo del mondo, ma verrà sempre etichettato come un pomposo pallone gonfiato. E Fatica potrà studiare quanto vuole, ma sarà sempre bollato come “impreparato” e “non bravo quanto un vero fan”.
A una di queste due sponde della discussione, Fatica non andrà mai bene, e dunque non potrà mai essere rispettato. Per una di queste due sponde, la traduzione di Fatica non sarà quello che effettivamente è, ossia una delle tante traduzioni esistenti de Il signore degli anelli. No, la traduzione di Fatica sarà sempre percepita come un affronto personale, e quindi non sarà mai solo un’altra voce nel coro della critica tolkieniana, ma una macchia da cancellare.
Ora, chiariamoci: rispettare Fatica e il suo lavoro non significa essere sempre d’accordo con lui, o essere in generale d’accordo con le sue scelte. Basta essere consapevoli che dietro questi scritti c’è una persona che ha dedicato tempo ed energie a questo lavoro, usando tutta la cura e la precisione di cui era capace. E credo che, da questo intervento e da quelli precedenti, ormai dovrebbe essere chiaro che Fatica, da non fan di Tolkien, si sia approcciato al Professore con impegno e rispetto, cercando di mettersi nei panni dell’autore e di far giustizia al suo immane lavoro linguistico.
Io, personalmente, apprezzo la traduzione di Fatica, apprezzo il suo impegno nel lavoro, anche se non tutte le sue scelte mi piacciono. Ammetto che abbia fatto degli errori. Ammetto che la sua uscita su Vittoria Alliata sia stata infelice. Ciononostante, pur ponendo queste critiche, non mi permetto di mancargli di rispetto, o di definire l’interezza del suo lavoro (ripeto, oltre 1300 pagine tradotte) una merda solo perché non mi piace “forestali”.
So che, dall’altra parte della barricata, c’è chi sputa sul lavoro di Fatica e rigira ogni sua dichiarazione per renderla spregevole e distorta. Non so cosa dire a questa gente. Ho già detto in altre occasioni che trovo il loro modo di fare pessimo. Continuo a sostenerlo.
Conclusioni sul convegno
Personalmente, assistendo a Fallire sempre meglio, ho visto in generale grande preparazione e grande professionalità da parte di tutte le persone che hanno tenuto un intervento. Seguendo i vari talk, inoltre, dovrebbe risultare chiara una cosa: tradurre Tolkien non è semplice. Tradurre Tolkien richiede diversi tentativi, molto studio, molta riflessione. E sarà impossibile non commettere errori, o avere ripensamenti in futuro, o vedere diversi traduttori/trici fare scelte diverse. Il fatto che tradurre Tolkien sia stato una tale sfida per praticamente tutti i traduttori e le traduttrici che hanno parlato in Fallire sempre meglio sottolinea quanto il Professore abbia caricato la propria opera di molti significati e di molti riferimenti, di quanto ricco sia Il signore degli anelli.
Vedere questa riflessione corale sulla sfida che è tradurre Tolkien (e non solo Il signore degli anelli, ovviamente) e sui limiti che ha avuto ogni persona che ha tradotto il Professore, dovrebbe far capire una cosa, ossia che tradurre Tolkien è un percorso di scoperta e riscoperta delle sue opere. Che una traduzione non sarà mai il lavoro ultimo e perfetto di resa dell’opera di Tolkien, perché ogni traduzione, adottando scelte diverse, porterà alla luce qualcosa di nuovo.
Ogni nuova traduzione, che ci soddisfi o che non ci soddisfi, getta una luce nuova sull’opera originale. Per questo è importante che ci siano tante traduzioni de Il signore degli anelli. E anche in Italia ne avremo altre, fatte con metodi diversi e con attenzioni diverse. E senza i Forestali. Magari con Frodo Sacconi. Magari con scelte che ci piaceranno ancora di meno, o che al contrario adoreremo. E andrà bene così.
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Qui troverete la traduzione di Beren e Lúthien da parte di Luca Manini.
Qui troverete la traduzione de La Caduta di Gondolin, sempre da parte di Luca Manini.
9 Commento
Alena
Grazie per questo report, molto preciso, che – tra l’altro – mi ha permesso capire meglio alcuni spunti dell’intervento che non ho trovato facile da seguire, Sono pienamente d’accordo con le riflessioni e conclusioni finali. Ottimo lavoro!
Gloria Comandini
Grazie per le belle parole, sono contenta di essere stata utile! :)
Norbert
Avendo ascoltato tutto il convegno, mi dispiace che tu ti sia persa la parte di martedì pomeriggio – che, personalmente, ho trovato molto interessante: come tutto il convegno.
Complimenti per come hai trattato la parte cui assistito. Leggerti e stato un po’ come riascoltare Fatica.
Mi permetto di copiare qui una cosa giustissima che hai scritto:
“Ora, chiariamoci: rispettare Fatica e il suo lavoro non significa essere sempre d’accordo con lui, o essere in generale d’accordo con le sue scelte. Basta essere consapevoli che dietro questi scritti c’è una persona che ha dedicato tempo ed energie a questo lavoro, usando tutta la cura e la precisione di cui era capace. E credo che, da questo intervento e da quelli precedenti, ormai dovrebbe essere chiaro che Fatica, da non fan di Tolkien, si sia approcciato al Professore con impegno e rispetto, cercando di mettersi nei panni dell’autore e di far giustizia al suo immane lavoro linguistico.”
Dovrebbe essere ovvia, ma sfortunatamente non lo è.
Gloria Comandini
Più sento parlare del martedì pomeriggio, più mi dispiace di non esserci stata. Appena usciranno gli atti dovrò assolutamente leggerli.
Grazie per tutto! :)
Luca
Premetto che è la prima volta che scrivo nonostante segue il sito da qualche tempo, proprio dalla querelle sulla nuova traduzione. Anzitutto faccio i miei complimenti a te Gloria Comandini, perché onestamente la tua prosa e la tua capacità di analisi mi stregano.
Sulla traduzione. Non ho seguito questo convegno, le scopro sempre tardi queste cose, ma da come descrivi condivido il rammarico per certi punti poco approfonditi da Fatica.
Se posso dire la mia, anche se immagino se ne abbiano le scatole piene di certe obiezioni, mi verrebbe da domandare a Fatica se il lavoro politico dietro alla nuova traduzione non abbia influito troppo sul suo lavoro. Io credo che, visto anche l’impegno profuso da Wu Ming 4, sia evidente la volontà di strappare alle destre il dominio incontrastato delle opere tolkieniane e questo non potrebbe che rendermi felice. Ma ho l’impressione che sia stato fatto imponendosi di fare totalmente tabula rasa della traduzione precedente, senza considerare certi fattori.
Premetto che ancora non ho letto la nuova edizione, ma grazie ai vostri articoli son riuscito a far chiarezza su tante cose (oltre a darmi le armi per litigare con cognizione di causa con tanti amici che rifiutano categoricamente il nuovo a prescindere) e sostanzialmente credo apprezzerò la nuova traduzione, il suo rispetto verso tante cose sopra cui la vecchia passava, probabilmente la sua maggiore fluidità. Però mi chiedo se con i nomi non si potesse cercare una via di mezzo. Non solo per gli affezionati alla traduzione Alliata-Principe, ma per l’universo intero fatto di videogiochi, film e quant’alto che ha ormai fatto suo una certa nomenclatura. Si è passati come un rullo sopra tutto questo senza prenderlo in considerazione, vorrei capire da Fatica perché, ma temo non ci sarebbe mai una risposta, perché c’è di mezzo a mio avviso la dimensione politica. Non so, mi sarò fatto l’idea sbagliata, ma creare troppe divisioni non credo possa aiutare l’opera di Tolkien ad uscire da quella nicchia Fantasy che tanto si vuole sfondare, per dargli il riconoscimento che merita. Quando ci sarà il doppiaggio della serie Amazon, che nomenclatura si seguirà? Boscuro o Bosco Atro, per dirne una? Non credo aiuterà troppo…
Chiedo scusa per il post lungo e confusionario, in ogni caso complimenti per tutto il lavoro che fate, il vostro sito è stato davvero una piacevole scoperta
Gloria Comandini
Grazie per le belle parole!
La volontà di strappare Tolkien alle destre è sempre stata molto presente nel lavoro di WM4, ma non ti saprei dire quanto questo possa aver influito sul lavoro di Fatica. Sicuramente Fatica ha ritradotto LotR da zero, ignorando la traduzione precedente. Questo in realtà è un processo molto standard nelle nuove traduzioni, perché non sono revisioni delle vecchie traduzioni (era una revisione, per esempio, quella di Harry Potter in cui si era corretto Pecoranera in Corvonero), ma un lavoro completamente nuovo. Capisco quindi il desiderio di avere una via di mezzo con la traduzione Alliata/Principe anche per avere continuità con l’universo delle opere legate a Il signore degli anelli, ma io personalmente avrei visto una simile scelta come un “piegarsi al mercato” o un “sottostare più alla volontà del fandom che a ciò che effettivamente ha scritto l’autore”. Non sono d’accordo con chi pensa che “accontentare i fan” sia sempre sbagliato o puro fanservice, perché spesso non lo è, ma in questo caso avrei trovato la nuova traduzione monca, praticamente azzoppata dall’influenza delle vecchie abitudini e dell'”universo espanso” di LotR. Quindi, personalmente credo che la scelta di Fatica di fare tabula rasa e ricominciare da zero non sia una scelta politica, ma un attenersi alla prassi: le nuove traduzioni non sono revisioni di traduzioni precedenti e devono essere rifatte da zero, prendendo come punto di riferimento solo l’opera principale (e quindi non l’universo di opere “figlie” di LotR, ma non di Tolkien).
Sul doppiaggio della serie Amazon, non so proprio che dire: ci toccherà vedere cosa sceglieranno gli adattatori italiani! Entrambe le scelte, secondo me, avrebbero senso, ma con ottiche diverse. Tenere i nomi di Alliata/Principe permetterebbe all’opera di arrivare a un pubblico più ampio di nostalgici o gente che ancora non ha letto la nuova traduzione, evitando le polemiche e rimanendo in continuità con i sei film di Jackson. Sarebbe la scelta economicamente più sicura, quindi credo che opteranno per quella.
Andrea
Ormai consulto da tempo questo sito. E ogni volta constato, con grande felicità, che questo spazio offre articoli scritti come ogni articolo divulgativo sulla nuova traduzione italiana de “Il Signore degli Anelli” dovrebbe essere: serio, critico, onesto, veritiero, oggettivo (quando si propone un’opinione personale questa non viene trattata come un dato di fatto), rispettoso e competente. In tre parole: da tolkieniani veri!
Perfettamente d’accordo anche sull’intera analisi della polemica scomposta della spettatrice, la quale ha tirato in ballo fantomatiche statistiche (che però poi non ha citato concretamente in nessun modo).
Standomi a cuore l’argomento, ringrazio Gloria Comandini, che, con impegno, riporta sempre fedelmente ciò che succede in ogni convegno tolkieniano.
Hannon le ! ( “grazie” in Sindarin…se ricordo bene ;-) )
Gloria Comandini
Grazie davvero! <3
Norbert
Premessina
Sono consapevole che l’articolo sia stato scritto nel dicembre 2020, più di un anno fa.
Ma reputo la mia opinione possa essere utile lostesso, a distanza di tanto tempo.
Nell’articolo Gloria Comandini scrive: “Dai “report” e dagli articoli allarmistici pubblicati sulla scia del convegno Fallire sempre meglio, mi pare evidente che, nella discussione sulla traduzione di Fatica, ci sono due sponde polarizzate e incomunicabili. Fatica può spiegare le proprie scelte quanto vuole, ma troverà sempre un muro di ostilità dall’altra parte. ”
Però poi, secondo me correttamente, parla di una sola sponda, di un solo “muro di ostilità”. Perché non c’è (retius non mi risulta esserci ) alcun “muro di ostilità” dall’altra “parte” – forse perché (sempre a mio parere) un’ “altra parte” non c’è. C’è chi, dopo aver letto la traduzione, non si nasconde pregi e difetti di tale traduzione (come di ogni traduzione) alcuni oggettivi (“Alto strame” per me è oggettivamente errato) altri soggettivi (esempio “non mi piace ‘Selvalanda’ “)
Quindi, a mio avviso, parlare di **due** “sponde polarizzate e incomunicabili” è errato perché ce n’è solo una.
Mentre cresce il numero di coloro che hanno letto la traduzione Fatica e se ne son fatti una opinione
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