Perché l’ipotetica scelta di ingaggiare un’attrice di colore per il personaggio di Ciri, una dei protagonisti del The Witcher di Netflix, è un problema. Ma non è il problema che credete.
I fan della serie fantasy di Andrzej Sapkowski e/o dei videogiochi di The Witcher conosceranno già la notizia più calda del momento: Netflix, che ha in cantiere una serie televisiva ispirata proprio a queste opere, forse non sceglierà un’attrice bianca per il ruolo di Ciri.
Per chi non lo sapesse, infatti, un annuncio pubblicato sul National Youth Centre for Great Britain (a noi non accessibile) affermava che si stessero cercando attrici per il ruolo di Cirilla, la principessa sostanzialmente adottata da Geralt e Yennefer dopo la distruzione del regno di Cintra da parte dell’Impero di Nilfgaard. Tuttavia, l’annuncio era rivolto a ragazzine di 15/16 anni, passabili per tredicenni o quattordicenni, appartenenti alla categoria BAME.
BAME, infatti, è un acronimo per “black, asian, minority ethnic”, utilizzato per riferirsi alle comunità non bianche del Regno Unito. Il che pare quantomeno strano, visto che Ciri è la più bianca delle bianchissime donne del mondo di The Witcher, completa di occhi verdi e capelli biondo cenere.
Al momento, dalla produzione del telefilm non si hanno né conferme, né smentite, con la regista Lauren S. Hissrich che non vuole rilasciare alcun commento sul casting in generale. Con l’eccezione della “very special lady” che interpreterà Rutilia, la cavalla di Geralt.
Ora, ci sono molte cose da dire, ognuna delle quali darà fastidio a qualcuno. Iniziamo.
La cultura slava del mondo di Sapkowski
In queste ore i commenti sul fatto che nel mondo di Sapkowski non ci possano essere neri, poiché si tratta di una storia basata sulla cultura e sulla storia slave, si sono sprecati. Vi erano state discussioni simili anche in concomitanza dell’uscita di The Witcher 3, quando alcuni fan si erano lamentati per la mancanza di persone di colore nel videogioco.
Ora, credo sia il caso di precisare alcune cose, così da fare chiarezza sulla più o meno supposta omogeneità etnica del Continente.
In primo luogo, sì, gran parte del mondo creato da Sapkowski è ispirato alla storia, alla cultura e al folklore polacco. Non solo, infatti, questo autore si è ispirato ai mostri unici dell’immaginario slavo (la striga, ad esempio, era un demone simile ad un vampiro), ma ha anche riproposto e rielaborato le persecuzioni degli ebrei polacchi durante il XV secolo nelle tensioni razziali fra umani e non umani.
Questo omaggio alla cultura slava emerge moltissimo anche dai videogiochi, nel cui design la CD Projekt Red ha riversato tutta l’atmosfera dell’Est Europa, in un lavoro curato e ammirevole.
Si tratta di una bellissima idea, che ci mostra come sia possibile fare fantasy europeo senza attenersi ai classici trope di tolkieniana discendenza (o direttamente ispirati a Dungeons & Dragons). Era decisamente ora che un mondo fantastico ispirato al nostro continente non fosse un abitato solo da elfi, nani, draghi o folletti, con i personaggi umani dai nomi rigorosamente inglesi.
È il motivo per cui è importante aprire l’editoria internazionale anche ad autori non anglofoni, poiché la diversità culturale può arricchire le nostre esperienze di lettura. Credo, infatti, che nessun lettore o giocatore di The Witcher abbia di che lamentarsi per la forte presenza del folklore slavo in queste opere.
Il mondo di The Witcher però non è solo slavo
Tuttavia, bisogna anche ricordarsi che il Continente non è limitato ai Regni Settentrionali e a Nilfgaard, ma comprende anche la Zerrikania, la terra di caldi deserti in cui si venerano i draghi e la società sembra essere sostanzialmente matriarcale.
Non sappiamo se le popolazioni della Zerrikania siano gente di colore, ma la tipologia di ambiente da loro abitato fa supporre che lo siano. Inoltre, secondo quanto affermato da Sapkowski (e riportato da Hissrich), il Continente sarebbe effettivamente un mondo con una certa diversità di culture, etnie, generi e colori della pelle.
E, sebbene sia raro vedere gente scura in giro per i Regni Settentrionali, visto che la Zerrikania è isolata dalle Montagne Infuocate, non è nemmeno impossibile incontrarne alcune: lo stesso Geralt ha conosciuto Téa e Véa, le guerriere tatuate della Zerrikania comparse nel racconto I vincoli della ragione. Questo, dunque, supporta le affermazioni rilasciate da Hissrich, secondo la quale nel telefilm di Netflix vedremo rappresentate anche le minoranze, siano queste composte da un umano nella Foresta di Brokilon o da gente di colore nei Regni Settentrionali.
Fino a qualche giorno fa, però, pareva che i neri in The Witcher sarebbero stati pochi, vista la demografia del mondo, che dovrebbe riflettere l’omogeneità etnica presente in Polonia.
(Che poi la supposta omogeneità etnica di cui sopra sia dovuta anche al fatto che il governo polacco non voglia prendersi le proprie quote di richiedenti asilo dal Medio Oriente e dall’Africa, mentre i bianchi lavoratori a basso costo dall’Ucraina vanno benissimo, è un altro discorso.)
Adesso la situazione pare cambiata.
Il problema di Ciri non è il politically correct, ma l’americanizzazione di un prodotto slavo
Ora, i commenti sulle scelte di casting di quell’annuncio si sprecano, passando da puntuali osservazioni sull’omogeneità etnica del Continente a riflessioni su come la narrativa di The Witcher sia già incentrata sulla diversità e sul razzismo, solo declinati in una dicotomia tra bianchi e/o tra umani e non umani. Non starò nemmeno a parlare dei piagnistei che accusano il politically correct di rovinare il fantasy, facendo fotomontaggi razzisti di una Ciri nera. Non ne vale la pena e mi fanno anche abbastanza schifo.
Parliamo invece del fatto che Netflix, apparentemente, non stia cercando attori slavi o polacchi per una storia estremamente legata al mondo e al folklore slavo e polacco, tale da essere ormai un fiore all’occhiello per la Polonia e per i fan dell’Est Europa. Finalmente, infatti, moltissimi lettori o giocatori slavi si sono potuti godere un prodotto che onorava le loro tradizioni e parlava di gente con nomi e culture riconoscibili come slave.
A modo suo, The Witcher è stato il Black Panther dell’Est Europa: un prodotto di qualità che aveva radici nelle tradizioni di queste popolazioni, integrando il loro folklore in un mondo complesso e ben costruito. È una di quelle opere nazionali di cui andare orgogliosi, che noi italiani appassionati di fantasy ci sogniamo.
Inoltre, la serie di Sapkowski è uno dei rari casi in cui la cultura slava è rappresentata senza i pregiudizi tipici di molte opere occidentali, nelle quali la gente dell’Est Europa entra in scena solo in qualità di criminali, terroristi, sicari al soldo dell’URSS o prostitute. E non va nemmeno dimenticato che per tutto il periodo nazista gli slavi siano stati considerati degli Untermenschen, dei subumani, con relativi massacri compiuti durante la Seconda guerra mondiale.
Tuttavia, pare proprio che Netflix voglia prendere un’opera fortemente dipendente dalla cultura polacca per sfruttarne il successo, al costo però di americanizzarla e riproporvi le dinamiche e l’eterogeneità culturali ed etniche degli Stati Uniti.
Il tutto, come si diceva, senza che il casting prenda in considerazione l’idea di assumere attori slavi.
Però se vi incazzate per Ciri di colore, dovete indignarvi anche per Henry Cavill
È comunque notevole come tutto questo casino sia sorto per il rumor (non confermato da nessuno) di una Ciri nera, asiatica, ispanica o, comunque, di colore. A questo punto, e solo a questo punto, si sono sollevati gli scudi in difesa della “slavicità” di The Witcher.
Un po’ come era successo con il film di Death Note: prendiamo una storia di fama mondiale scritta da giapponesi e con personaggi giapponesi, cambiamo l’etnia di tutti i protagonisti e ambientiamo il tutto negli USA. Perché così il nostro pubblico si può immedesimare di più, ché se ci mettiamo troppi asiatici poi la gente pensa che parliamo di arti marziali.
Ma praticamente nessuno aveva aperto bocca in tal senso quando era stato annunciato Henry Cavill come interprete di Geralt.
E no, Cavill non è slavo, ma inglese.
Questa indignazione per Ciri, come si vede anche dai commenti razzisti che spopolano su Reddit e Twitter, non è dovuta alla volontà di aumentare la rappresentazione degli slavi nei media internazionali, ma dall’orrore di vedere un’opera “Europea” (come tanto viene chiamata in giro) “sporcata” da gente di colore. Così come era successo per Death Note, il cui polverone era scoppiato non tanto quando si era scoperto che Light sarebbe stato bianco, ma quando si era capito che L sarebbe stato nero.
C’è chi tira in ballo l’accuratezza e la vicinanza all’opera originale, e fin qui capisco perfettamente l’ottica delle critiche, che sono simili a quelle mosse a Cavill, trovato forse troppo giovane e troppo bello per interpretare Geralt. Le capisco e, da fan della serie di Sapkowski e dei videogiochi della CD Projekt Red, anch’io vorrei un prodotto il più vicino possibile all’immaginario dei libri.
Tuttavia, non veniamoci a raccontare di aver lottato per la rappresentazione degli slavi fin dall’annuncio di Cavill, perché è ancora radicato nella nostra mentalità che i bianchi siano attori passepartout, tali che un inglese può mettersi nei panni di un protagonista fantaslavo. Al contrario, evidentemente secondo il nostro immaginario non può esistere uno slavo di colore.
E comunque, ricordiamoci sempre che tutta questa polemica su Ciri è nata da un rumor, da una notizia non confermata e che probabilmente si rivelerà falsa. Inviterei dunque a calmare i toni e ad aspettare, tenendo sotto controllo l’isteria anti-politically correct, almeno finché non avremo notizie più sicure.
Immagine di copertina creata da Outspokenbeef15 a partire da una screenshot di The Witcher 3