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“A Bird Story”: Recensione

A tre anni esatti dall’uscita di “To the Moon”, primo capitolo della saga sviluppata e pubblicata da Freebird Games, un nuovo titolo viene dato al pubblico con la firma di Kan R. Gao. Viene pubblicato su Steam il 5 novembre 2014, per Microsoft Windows, OS X e Linux.
È un sequel, forse, anzi non proprio, nessuno sa con esattezza cosa sia. Le parole con cui viene presentato sono: “Un anello di congiunzione tra To the Moon e il suo sequel”. Giustamente a noi, che ancora piangiamo per una vita non nostra e ormai trascorsa, non importa un tubo: riconosciamo la grafica imprecisa, le lievi musiche strumentali, e ci lanciamo sperando di ritrovare Eva e Neil.
Poveri illusi.

Nessuna Eva, nessun Neil, niente Sigmund Corp. Nulla nella storia lascia ad intendere che ci troviamo nello stesso universo di “To the Moon”, eccetto forse quella sensazione onirica, quei contorni vaghi di un ricordo lontano. Non ci sono dialoghi, nemmeno una lettera: non sono necessari, perché a voler ben guardare, c’è solo un personaggio. E non è nemmeno anziano e in punto di morte; anzi è un bambino. Mantenendo la tradizione di Gao, non ci sono enigmi, non ci sono combattimenti, non ci sono livelli, praticamente nemmeno interazioni tra personaggi. Il gioco dura appena un’ora.
Man mano che scrivo, mi rendo conto che per farvi capire cosa sia “A Bird Story” sia necessario spogliarlo di tutto quello che non ha.

Trama

Diciamola brutalmente: “A Bird Story” è la storia di un bambino che trova un uccellino ferito e se ne prende cura. Tutto qui.
Già, solo che ovviamente non è mai tutto qui, e i piccoli spiragli che Gao lascia intravedere nella vita di questo bambino fanno male, tanto quanto ne facevano i coniglietti di River Wyles.
Il bambino è solo. Casa sua è abitata solo da lui e da dei post-it, lasciati da genitori che non annunciano mai il loro passaggio. Si sveglia ogni giorno in una casa vuota, si dirige a passo sicuro verso il frigo e si prepara da mangiare, prende il suo zainetto e va a scuola, passa le ore guardando fuori dalla finestra. Non guarda nessuno, non parla con nessuno: i contorni delle altre persone sono spesso sfocati, a volte nemmeno distinguibili. La sua è una vita organizzata e precisa. Torna a casa, trova altri post-it, mangia, si prende cura di sè.
Forse a causa della forma mentis lasciata da “To the Moon” i visi vuoti delle persone attorno al piccolo e gli spazi privi di una reale logica ti lasciano l’idea che questo sia un sogno o un ricordo, ma non ti è data alcuna certezza in merito. È anche vero che non si riesce a collocare con precisione la storia da un punto di vista temporale: la tecnologia non è esattamente contemporanea, ma non si nota altro. E comunque, dopo i primi dieci minuti di gioco te ne dimentichi, perché guardare questo bambino ti fa stringere il cuore come fosse figlio tuo, o peggio, come se fossi tu.

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Un giorno il bimbo trova sulla strada verso casa un uccellino attaccato da un tasso. Lo salva, e pensa con una lucidità ammirevole di portarlo da un veterinario: ma dentro allo studio vede una gabbia, immagina il suo protetto rinchiuso là dentro, e qualcosa dentro di lui si accende. Prende l’uccellino e lo porta a casa.
È l’inizio di una breve, dolce storia, una metafora sull’amore, la libertà e la solitudine, sulla responsabilità di addomesticare, direbbe Antoine de Saint-Exupéry.

Personaggi

Colin Reeds è un bambino la cui età non ci è nota, presumibilmente sotto ai dieci anni. Vive in una città qualunque, in un appartamento qualunque che condivide con dei genitori assenti. È responsabile, autonomo, non è in difficoltà: questa è la cosa che davvero risveglia compassione. Colin non piange, non si lamenta, esce di casa ricordandosi l’ombrello quando piove, va a letto agli orari giusti. Ma poi ci sono brevi momenti in cui lascia da parte l’ombrello e, ridendo, va a giocare nelle pozzanghere da solo.
Ha un quaderno con pagine bianche, che usa per fare decine e decine di aeroplanini di carta. Anche lui, come l’uccellino ferito, sogna di volare.

Meccaniche di gioco

“A Bird Story” è, esattamente come lo era “To the Moon”, un’esperienza narrativa interattiva. Già definirla interattiva merita una spiegazione, poiché l’unica vera interazione che il giocatore ha con il gioco avviene attraverso le frecce direzionali. Solo in un paio di brevissimi momenti l’interfaccia cambia e il giocatore muta il suo approccio alla storia, per seguire le fantasie di un bambino che sogna ad occhi aperti.
Senza dialoghi, senza esplorazioni e senza scelte rilevanti da compiere, quello che rimane di “A Bird Story” è solo una storia con delle splendide musiche. Ma è davvero una bella storia.

Mantenendo le caratteristiche del capitolo precedente, anche questo gioco è a 16bit, sviluppato con motore grafico RPG Maker, con visuale isometrica. La grafica pixellata e la gamma di colori utilizzata riprendono con fedeltà i temi di “To the Moon”, e almeno fino all’ultimo fotogramma dopo i titoli di coda rappresentano l’unico punto di contatto con il resto della saga di Kan Gao.

Il gioco da un punto di vista temporale si posiziona tra “To the Moon” e “Finding Paradise”, e gli sviluppatori hanno dichiarato che non è necessario aver giocato “A Bird Story” per comprenderne il seguito, anche se è caldamente consigliato per poterne apprezzare alcuni dettagli. Secondo la modesta opinione di chi scrive, se non ci giocate siete dei folli.

Musiche

La colonna sonora è nuovamente composta da Kan R. Gao, presenta 40 tracce ed è stata resa disponibile al pubblico il 12 novembre 2014. Sono musiche brevi, come è tradizione realizzate al pianoforte. Sono commoventi, espressive, cullano il giocatore fino a fargli dimenticare dove si trova: come sempre, un grandissimo punto di forza per questa sublime saga indie.

…E il finale?

Spoiler
Bello e struggente, come sempre, ma come si collega tutto questo a “To the Moon”, alla Sigmund Corp., alla storyline che aspettavamo con tanto ardore?
Al termine del gioco, quando già avete sollevato le mani dalla tastiera, un’immagine appare: è Colin, posizionato in una barra temporale già vista in “To the Moon”: un piccolo Colin che cresce, diventa adulto e invecchia, collocato sulla linea della vita che i medici della Sigmund usano per tenere traccia dei ricordi che esplorano.
La verità si svela senza bisogno di ulteriori parole: “A Bird Story” è più di una parentesi narrativa tra due giochi, è un prequel. E Colin Reeds non è solo un bambino, è il paziente della Sigmund di cui srotoleremo la vita nel prossimo titolo, che viene annunciato proprio qui come dopo un gigantesco trailer: “Finding Paradise”.
Quell’opprimente sensazione che per tutto il gioco hai provato, come di una tragedia annunciata, adesso assume un senso: qualcosa andrà storto nella vita di Colin. Quel bambino che credevi di conoscere stipulerà un giorno un contratto con la Sigmund, e tu non puoi fare altro che rimanere a fissare lo schermo chiedendoti quale desiderio esprimerà.

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