Dal 2007 c’è un nome che tutti gli appassionati di film, fumetti e serie TV, Marvel e non, conoscono: Kevin Faige.
Chi non conosce il presidente dei Marvel Studios? Incubo di WB e DC Comics, Faige ha creato intorno a sé un impero che gli è valso anche una nomination agli Oscar per Black Panther, il primo film di supereroi a ricevere una candidatura come miglior film. I successi sono tanti, le critiche innumerevoli. Mentre fiumi di inchiostro sono stati usati per recensire i film, tra critiche furiose e successi inarrivabili – Endgame si è aggiudicato il titolo di incasso più alto della storia – molto invece ci sarebbe ancora da dire sulle serie TV.
Il 2021 ha visto, in rapida successione, l’uscita di: WandaVision, Falcon and The Winter Soldier, Loki, What If (serie animata di cui non parleremo in questo articolo), Hawkeye fino al successo del 2022 di Moon Knight. Seguiranno altri titoli, con lo scopo ben preciso di introdurre al grande pubblico nuovi personaggi, essenziali adesso che Tony Stark e Steve Rogers non sono più parte di questo universo.
I titoli già usciti sono accomunati da un enorme successo di pubblico, ma anche da critiche furiose, e spesso troppo aspre, dei fan dei fumetti Marvel. La prima domanda che ci poniamo quando leggiamo alcuni di questi titoli è:
Ne avevamo davvero bisogno?
Dobbiamo rispondere a questa domanda ponendoci sia come spettatori, sia come lettori.
Facile giudicare le Serie TV Marvel quando non si è dentro
Da una parte se fossimo solo l’uno o l’altro la nostra vita sarebbe più facile e giudicare questi lavori, un gioco da ragazzi, ma chi di noi ricopre entrambi i ruoli sa bene che la vita non è così semplice.
Per coloro che non conoscono i fumetti, la serie TV è fondamentale, anche solo che comprendere chi diventerà cosa in un prossimo futuro sia questo cinematografico o solo ad uso e consumo delle piattaforme di streaming.
Per chi, invece, conosce i fumetti, le serie servono soprattutto a ricordarsi che MCU è un universo parallelo, un multiverso se vogliamo, che prende in prestito personaggi e ne cambia il background, le origini, gli amori e gli affetti più profondi per darli in pasto ad un pubblico più ampio.
Alcune di queste serie sono state create per essere autoconclusive. La parola fine ad una parabola che lascia il testimone alle nuove generazioni. È questo il caso di Hawkeye. Clint Barton non ha più niente da dire o da dare al mondo dei supereroi. Ha avuto la sua seconda possibilità e non vuole sprecarla. O almeno vorrebbe essere presente per la sua famiglia a Natale, finché Kate, una ragazza dalle doti innate e con l’istinto di sopravvivenza di un bradipo, non irrompe nella sua vita.
Si porta dietro Ronin, il mercenario che per cinque anni è diventato l’alter ego di Clint. Sappiamo già come nasce, sappiamo perché nasce e come si evolve, fino al momento in cui Vedova Nera non riporta a casa Clint. La serie perde la possibilità di raccontarne le origini, il problema è che Ronin sarebbe stato più interessante di Clint. Di lui conosciamo ogni aspetto o almeno così crediamo. Nel caso di Clint la lotta tra serialità e continuità è espressa dal personaggio di Yelena. Sorella di Natasha, nel film Black Widow viene messo in discussione uno dei cardini del rapporto tra Clint e Natasha. Se loro sono davvero le due spie migliori che lo S.H.I.E.L.D. avesse da offrire, perché Dreykov è ancora vivo?
La continuità canonica è stata in questo caso sacrificata in nome dell’introduzione della nuova Vedova Nera che, come Kate, è chiamata a sostituire un eroe.
Clint non dovrebbe essere il personaggio principale, questa è la storia di Kate e di come muove i primi passi nel suo nuovo ruolo. Vorrebbe essere una storia al divenire, ma resta ancorata al passato perché dopo più di dieci anni, quando si pensa a Hawkeye si pensa a Clint e l’attenzione si sposta su di lui.
Kate è il nuovo che avanza, ma che si fa largo a fatica nel nostro immaginario per prendere il posto che anche i fumetti le hanno riservato.
La serie che forse è passata più sotto silenzio è anche quella che funziona meglio.
La sua forza sta in una buona fluidità della storia che si sposa con un cast di tutto rispetto, ma senza esagerare. Gli attori non oscurano la trama, la completano. Anche gli episodi che definiremmo riempitivi non sono noiosi, o almeno non abbastanza da spingere lo spettatore a smettere di guardare. Ci sono momenti di effettiva ilarità che non risultano forzati, ma si addicono al personaggio di Clint che come eroe non si è mai preso troppo sul serio. Peccato che questa forza che si perda nel finale. Non tanto perché scontato ma perché rende ridicolo quello che è stato uno dei migliori villain delle serie TV Marvel fino a questo momento. Kingpin è la pallida ombra del personaggio che abbiamo imparato a conoscere con Daredevil.

Serialità del Passato, Serialità del presente
La serialità del passato si scontra con le serie del presente. Da una parte un prodotto creato per Netflix, dall’altra serie ideate per essere trasmesse su Disney+. Cambia la piattaforma di streaming e cambia anche il contenuto delle storie raccontate. Disney trova i suoi fruitori tra famiglie e bambini e sappiamo quanto pericoloso sia esporre menti così giovani e impressionabili a personaggi sfaccettati e tridimensionali.
Se già un Dio che viene sbattuto per terra da Hulk più e più volte non sanguina, possiamo stare certi che un Kingping malvagio, perverso, eppure allo stesso tempo vulnerabile e per questo umano, non possa trovare posto su questa nuova piattaforma. Se tutto questo può essere perdonato dallo spettatore che vuole solo godersi una serie TV per passare il tempo, lo stesso non avviene per chi, con occhio critico, guarda ad una serie autoconclusiva e si rende conto che il finale non conclude niente, anzi apre a nuovi interrogativi che rischiano di restare ancora una volta senza risposta.
Un caso a parte è rappresentato da WandaVision. La prima serie ad essere arrivata fino a noi. Se Wanda è il personaggio che più di tutti si allontana dalle origini del fumetto – nessuno ha dimenticato come un Age of Ultron il suo personaggio sia stato snaturato – ma anche quello che meno è stato capito. O la si ama o la si odia, non ci sono vie di mezzo.
O la si considera una “bambina” come Rogers che giustifica le sue azioni definendo lei ed il fratello “Good kids” oppure si pensa a lei come ad una terrorista che non ha mai pagato le conseguenze delle sue azioni. La serie non si poneva l’obiettivo di guardare al passato, ma al presente. Che cosa ne è stato di Wanda dopo Avengers Endgame? Doveva essere una sola stagione a rispondere a questo interrogativo. Eppure non è esattamente una serie autoconclusiva. Conclude solo una parte del viaggio di Wanda ma apre le porte a qualcosa di diverso.
C’è da dire molto su una serie che ha messo tutti d’accordo, anche quegli spettatori che non amano particolarmente Wanda.
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Il Caso WandaVision
Prima di tutto dobbiamo lodare il team di scrittura che mostra davvero di conoscere la televisione e la sua storia.
Un esempio su tutti è come la lunghezza degli episodi vari a seconda del periodo storico che richiamano. Eppure anche qui ci sono dei problemi. WandaVision rappresenta l’esempio lampante di come il rapporto, a tratti troppo stretto con il cinema e a tratti non stretto abbastanza, tanto da contraddire tesi e teorie rese canoniche sul grande schermo, non aiuta a rendere le serie un prodotto a se stante, anche se vorrebbero esserlo.
WandaVision è la strada che porta a Doctor Strange in the Multiverse of Madness. Wanda comincia la sua discesa verso il lato oscuro, diventando Scarlet Witch e se da una parte è comprensibile, dall’altra ci fa solo infuriare. Forse riusciremo ad avere risposte nel film. Forse i personaggi introdotti diverranno a loro volta protagonisti o villain di altre serie e film.
Troppi forse e troppo poche risposte rischiano di confondere lo spettatore e di lasciarlo con l’amaro in bocca. Il rapporto tra la serie ed il secondo film della saga di Doctor Strange è così stretto, e la distanza temporale così prossima che il film sembra una seconda stagione mai annunciata apertamente piuttosto che un film dedicato allo Stregone Supremo. C’è la continuità in questo caso, ma a scapito della serialità che vorrebbe mettere la parola fine ad una storia che è invece solo agli inizi, anche se in ritardo di sette anni dalla prima volta che abbiamo incontrato Wanda a Sokovia.
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Serie TV Marvel possiamo scordarci di Loki?
Loki è la prima serie ad essere apertamente l’inizio di qualcosa di più lungo. Non ci è dato sapere quante stagioni verranno girate, ma sappiamo che almeno la seconda verrà realizzata. La serie riporta all’attenzione del pubblico un Owen Wilson in splendida forma, dopo anni bui che lo hanno tenuto lontano dalle scene. La chimica tra lui e Tom Hiddlestone è innegabile e funziona benissimo. Da soli tengono lo spettatore incollato allo schermo, anche quando le cose si fanno confuse e difficili da seguire.
Le Pietre dell’Infinito non sono altro che fermacarte. Il Multiverso esiste ma viene sistematicamente sfrangiato. Loki è un’anomalia temporale in tutte le sue varianti e dunque perché non è stato fermato prima? Tutta questa teoria e l’esistenza stessa del TVA vanno a minare la continuità tra il primo film su Thor e The Avengers. La serialità ha distrutto la continuità canonica.
Ci ha raccontato di come anche se questo Loki è lo stesso che abbiamo imparato a conoscere nei film, allo stesso tempo è un’altra entità che non può tornare nella sua linea temporale, perché nessuna variante può farlo. Diventano agenti, senza sapere che sono stati a loro volta strappati alle proprie realtà, alle famiglie, agli amici, agli affetti. Dunque Loki è diverso, più pericoloso, perché ogni sua variante rappresenta un pericolo per ogni linea temporale in cui nasce. Ed allora torniamo da dove siamo partiti, con buona pace della continuità che a questo punto è a piangere in un angolo.

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Falcon and the Winter Soldier male male
Con Falcon and the Winter Soldier si aprono le dolenti note per le serie TV Marvel.
A differenza delle serie già citate questa ci lascia perplessi sia sulla sua utilità nella continuity e sia nel modo in cui è stata affrontata. In questo caso il solo motivo per cui possiamo parlare di serialità è perchè ha sei episodi, per altro mal gestiti dal punto di vista di trama. Per sapere chi avrebbe preso lo scudo di Capitan America sarebbe bastato dare uno sguardo ai fumetti. Per oltre cinquant’anni Sam Wilson è stato il braccio destro di Steve Rogers. Divendo anche il primo Capitan America di colore.
E qui cominciano i problemi. Nell’MCU Sam Wilson è sempre stato nell’ombra. Una spalla usata per evidenziare il carisma di Rogers e tutte le caratteristiche che lo hanno reso Capitan America. Più un fanboy che un vero soldato, senza nessuna personalità, si è dovuto creare una serie per poter introdurre il concetto che il suo personaggio si sarebbe evoluto nel nuovo Cap.
Un esperimento mai completamente riuscito. Prima di tutto, messo a stretto contatto con Bucky Barnes, anche se nella sua versione annacquata e tormentata, passa subito in secondo piano; colpa di una scrittura che anche non volendo rende gli spettatori più partecipi dei tormenti dell’ex Soldato d’Inverno che non del viaggio di scoperta di se stesso che Wilson intraprende.
Eppure il personaggio che più di tutti lo mette in ombra è Zemo, la mente dietro Civil War, l’uomo che ha perso tutto e che distrugge gli Avengers dall’interno. Anche questa volta, con poche e semplici scene, lo spettatore si interessa più a lui che a Wilson. Memorabile la scena a Madripoor in cui Wilson dimostra, senza volerlo, quanto sia privilegiato e distaccato dalla realtà che gli Afroamericani vivono ogni giorno. Scambia infatti il vestito che Zemo gli fa indossare per qualcosa che potrebbe essere portato da un “protettore” ignorando come sia invece un vestito di uno stilista africano che riprende motivi tribali di cui andare fieri. Come può qualcuno che non si rende neppure conto dei suoi privilegi – soldato, amico di Steve Rogers, Avenger – rappresentare il riscatto di un’intera comunità dalla quale è così distante? Non abbiamo una risposta da offrire, e purtroppo non ce l’ha neppure la serie.

Zemo vince su tutti
Poca caratterizzazione, poca attenzione al suo viaggio interiore, poco interesse per il suo personaggio, rendono la serie noiosa e a tratti insopportabile. Basta una scena con Zemo che cammina tra le fiale di supersiero per renderci conto di quando Sam Wilson sia, suo malgrado, solo un nome che a volte ci sfugge.
Il futuro Capitan America scompare davanti ad un uomo che mette in dubbio la legittimità stessa della sua esistenza. Abbiamo ancora bisogno di Capitan America? Forse la risposta sarà rivelata nel nuovo film. La serie dimentica chi dovrebbe essere il suo vero protagonista e questo lo spettatore lo sa e non lo accetta.
A questa debolezza di sceneggiatura e di sviluppo del personaggio, si affiancano i troppi dubbi irrisolti. Il cliffhanger non è sempre il modo migliore per finire una serie, soprattutto se autoconclusiva. Il meccanismo nato per spingere lo spettatore a volere di più, in questo caso ha l’effetto contrario e crea solo spettatori insoddisfatti.
Unica nota davvero positiva della serie è l’aver introdotto, forse senza davvero volerlo, il concetto di Antieroe che non è il villain della storia. Peccato che non molti abbiano colto la sfumatura, ma quello di U.S. Agent è l’esempio più concreto di questa differenza. John Walker, l’antieroe è frutto di una scrittura sfaccettata, che prende in considerazione la realtà in cui viviamo e che è caratterizzata dalle mille sfumature di grigio che compongono la personalità di ognuno di noi.
Un personaggio sprecato, così come è stata sprecato il binomio con Lemar. C’è più chimica tra di loro che tra Wilson e Barnes. I primi due sono amici da sempre, hanno servito insieme e Lemar è la coscienza stessa di John. Wilson e Barnes hanno condiviso qualche momento leggero sullo schermo, rappresentano gli amici di Steve Rogers, ma hanno fatto parte della sua vita in momenti diversi. Quello che li accomuna è aver conosciuto un uomo del quale possono raccontare aneddoti. Un’occasione gettata alle ortiche su tutta la linea. Peccato per Daniel Bruhl che meritava di meglio per l’uscita di scena del suo Baron Zemo.
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All’ombra di Khonsu appare un Moon Knight selvatico
Fino ad arrivare all’ultimo successo delle serie TV Marvel: Moon Knight.
Quest’ultima si allontana dal percorso disegnato fino ad adesso. Il cast prende il sopravvento su tutto. Oscar Isaac attrae su di sé l’attenzione di tutti. Il carisma non gli manca e le doti recitative sono eccezionali, questa non è una sorpresa. La sua presenza ci distrae anche dalle piccole incongruenze che si susseguono di episodio in episodio.
Accanto a lui Ethan Hawke. Uno splendido villain che ci rende inquieti fin dalla sua prima apparizione. Le sue motivazioni, per quanto estreme, sono comprensibili. Il mondo sarebbe davvero un posto migliore se il solo concetto di male e crimine potesse essere sradicato dalle vite dei giusti.
Certo è un concetto utopico che funziona sulla carta, ma Harrow non si ferma a pensare al rovescio della medaglia. Che cosa renderebbe questi pochi giusti che erediterebbero il mondo diversi dagli schiavi? Se la possibilità stessa di commettere il male fosse cancellata non sarebbero forse tutti burattini senza scelta? Eppure ci strega con la sua convinzione ferrea che sfocia addirittura nell’accettare che Ammit possa ritenerlo indegno. È un villain pronto a sacrificare se stesso per ciò in cui crede, per questo il più pericoloso di tutti.
I problemi di questa serie nascono subito. Primo tra tutti, il ritmo completamente sbagliato. Su una serie di sei episodi, i primi quattro parlano troppo in generale di ciò che verrà risolto nelle ultime due puntate. Secondo punto che lascia lo spettatore perplesso è la confusione che riempie gli episodi. Terzo, lo sviluppo dei personaggi, quasi inesistente se si escludono i personaggi di Isaac e Hawke.
Nella fretta di creare il primo supereroe egiziano, ci si dimentica di dare a Layla un respiro più ampio. Mentre l’attrice è brava, il personaggio risente di una scrittura sbrigativa. Così vediamo come una donna che scopre di essere sposata ad un uomo che non solo è tecnicamente morto, ma ha anche altre due personalità che abitano il suo corpo: una della quali convinta di essere quella principale, diventa Scarlet Scarab senza una linea narrativa fluida abbastanza da spiegarci o almeno giustificare il perché di questa scelta.

Conclusioni sulle Serie TV Marvel
La Marvel ci ha abituati a vedere personaggi che gli amanti dei fumetti conoscono da sempre, cambiare sotto i nostri occhi. Così non ci sorprendiamo molto nel vedere come il primo vero supereroe nordafricano diventi la prima supereroina egiziana. Abbiamo onestamente visto di peggio. Solo una cosa però: non basta aggiungere la parola scarab per illudersi di avere attinto alla mitologia egizia con successo.
Questa è forse la serie che più di tutte si distacca dall’universo cinematografico. Dunque si inscrive in un universo a sé, ma non è chiaro se sarà un esperimento che verrà continuato oppure no. Oscar Isaac ha firmato per una sola stagione, forse spaventato dai famigerati contratti di sette anni che tutti gli interpreti dei film hanno sottoscritto. Non ci resta che aspettare e vedere, ma almeno questa volta il finale è davvero conclusivo. Se la sesta puntata dovesse essere l’ultima, gli spettatori possono riposare tranquilli.
In conclusione, nella lotta tra continuità e serialità, alla fine vince la serialità, e non solo per i numeri. A nostro modesto parere, questa vittoria andrà ad incidere in maniera del tutto negativa sulla continuità. Già adesso è difficile fare il punto della situazione su come la Fase Quattro potrà procedere. Una linearità che forse non è chiara neppure a chi l’ha creata. Noi possiamo solo sederci comodi e vedere come andrà a finire.