Cosa succederebbe se qualcuno prendesse l’Iliade e la buttasse in una centrifuga insieme a un manuale di archeologia, una dose di cinismo britannico e una buona conoscenza della natura umana? Il risultato sarebbe la Trilogia di Troia di David Andrew Gemmell!
In questi tre libri Gemmell ha fatto quello che nessuno aveva mai osato fare prima. Ha preso il mito più famoso dell’Occidente e lo hanno spogliato di tutti i suoi fronzoli divini per mostrare cosa c’era davvero sotto: degli esseri umani. Nudi, crudi, magnifici nella loro imperfezione!
“Il Signore di Troia“, “L’Ombra di Troia” e “La Caduta dei Re” non sono una semplice riscrittura della Guerra di Troia. Sono un atto di sabotaggio letterario contro tremila anni di mitologia consolidata. Gemmell ha guardato Omero dritto negli occhi e gli ha detto: “Bello il tuo poema, vecchio mio, ma ora ti mostro io come sono andate davvero le cose“. E il bello è che ci riesce.
Ma attenzione: qui non stiamo parlando di un fantasy qualunque dove si cambiano i nomi e si aggiungono draghi. Gemmell, con la Trilogia di Troia, ha fatto qualcosa di molto più radicale e pericoloso. Ha preso degli dei e li ha trasformati in uomini. Ha trasformato eroi perfetti in “semplici” esseri umani. Si è impossessato di una guerra causata dal capriccio divino e l’ha trasformata in un conflitto geopolitico dell’Età del Bronzo. È come se qualcuno avesse preso Superman e avesse spiegato che in realtà era solo un tipo molto atletico con un buon ufficio stampa.
La Grande Menzogna di Omero E Come Gemmell l’Ha Smascherata
Partiamo dalle basi: Omero, o chi si è attribuito il suo nome, ci ha raccontato una storia bellissima, ma fondamentalmente falsa. Dei che decidono le sorti di una battaglia, eroi invulnerabili, bellezze che scatenano guerre, profezie che si avverano. Tutto molto poetico, tutto molto epico, tutto molto inventato. Gemmell ha guardato questa costruzione mitologica e si è fatto una domanda semplice ma devastante: “E se fosse tutto marketing?“
Perché, diciamocelo, la versione omerica della Guerra di Troia ha tutti i difetti di una campagna pubblicitaria ben riuscita. Troppo perfetta, troppo pulita, troppo divina. La realtà è sempre più complicata, più sporca, più umana. E Gemmell questo lo sapeva bene.
La sua operazione è stata chirurgica: ha preso ogni elemento soprannaturale e lo ha sostituito con una spiegazione umana credibile. Il risultato? Una storia che funziona meglio dell’originale proprio perché è più vera. Non nel senso storico, anche se Gemmell ha fatto un lavoro di ricerca impressionante, ma nel senso umano. I suoi personaggi respirano, sudano, sbagliano, soffrono, muoiono. Sono persone che potresti incontrare per strada, se la strada fosse nell’Età del Bronzo.
Ma il colpo di genio di Gemmell non è stato solo togliere gli dei dalla storia. È stato mostrare come quegli dei sono nati. E qui entra in scena il protagonista nascosto della trilogia: Odisseo, il primo spin doctor della storia!

Odisseo Il Primo Bugiardo Professionista della Storia
Se c’è un personaggio che Gemmell ha completamente rivoluzionato, quello è Odisseo. Dimenticate l’eroe astuto, ma fondamentalmente onesto di Omero. Il re di Itaca di Gemmell è qualcosa di molto più interessante e inquietante: è un creatore di miti professionista. È l’uomo che ha inventato la propaganda moderna tremila anni prima che qualcuno coniasse il termine.
Odisseo nella trilogia non è solo un personaggio, è una meta-riflessione sulla natura della storia stessa. È l’uomo che trasforma i fatti in leggende, gli eventi ordinari in gesta eroiche, le persone normali in semidei. E lo fa con una maestria che farebbe invidia a qualsiasi agenzia di comunicazione moderna.
Il caso più brillante di questa operazione è la storia di Ganno. Chi era Ganno? Un soldato qualunque, uno dei tanti compagni che moriranno nel viaggio di ritorno da Troia. Ma nelle mani di Odisseo, Ganno diventa qualcosa di più. Diventa un simbolo, una leggenda, un eroe. Gemmell ci mostra il processo in diretta: come anche un maiale può dare vita ad una storia e diventare immortale attraverso il potere della narrazione.
È geniale e terrificante allo stesso tempo. Perché se Odisseo può fare questo con Ganno, cosa può fare con tutti gli altri? Con Achille, oppure con Ettore? E che dire della stessa Guerra di Troia e del suo Cavallo?
Gemmell suggerisce sottilmente che molte delle gesta eroiche che conosciamo potrebbero essere proprio questo: delle creazioni di un narratore geniale che ha capito che la verità è meno importante di una buona storia.
E il bello è che Odisseo non è nemmeno un cattivo. È semplicemente un uomo che ha capito come funziona il mondo. Sa che le persone hanno bisogno di eroi, di storie che diano senso al caos della vita. E se questi eroi non esistono, beh, si possono sempre inventare…
Enea/Elicaone L’Eroe Che Non sa di esserlo nella Trilogia di Troia
Poi c’è Elicaone, che noi conosciamo come Enea. Ma vi chiedo di dimenticare il pio Enea di Virgilio, l’eroe destinato a fondare Roma. Il protagonista della Trilogia di Troia è qualcosa di molto più complesso: è un uomo che diventa eroe nonostante tutto e tutti, compreso suo padre.
Perché Elicaone ha un problema: suo padre lo odia. Non è una di quelle tensioni padre-figlio che si risolvono con una bella chiacchierata. È un odio vero, profondo, che nasce dal fatto che Elicaone rappresenta tutto quello che suo padre non è riuscito a essere, ma che è stato generato da lui. Del resto è più intelligente, più coraggioso, più amato. Rappresenta tutto quello che un padre dovrebbe essere orgoglioso di aver cresciuto, ma che invece lo fa sentire inadeguato.
Questa dinamica familiare disfunzionale è il motore segreto del personaggio. Elicaone non diventa eroe perché è destinato a esserlo, ma perché deve dimostrare qualcosa. A se stesso, al mondo, e soprattutto a un padre che non lo amerà mai. È una motivazione molto più umana e credibile di qualsiasi destino divino. E per capirlo lui stesso cosa fa? Un tuffo nel vuoto del mare per salvare un amico che poi gli sarà nemico. Una sorta di Salto della Fede ante litteram, prima che Assassin’s Creed lo sdoganasse.
E Gemmell gioca brillantemente con questa psicologia. Elicaone è coraggioso perché ha paura di essere considerato un codardo. È generoso perché teme di essere visto come egoista. È leale perché non vuole essere accusato di tradimento. Ogni sua virtù nasce da una paura, ogni sua forza da una debolezza. È profondamente, magnificamente umano.
Il rapporto con Andromaca poi aggiunge un altro livello di complessità. Non è la classica storia d’amore tra eroe e principessa. È l’incontro tra due persone che si riconoscono, che si completano, che si salvano a vicenda. Andromaca non è un premio per l’eroe, è una persona con una sua forza, una sua intelligenza, una sua dignità. È una partnership tra pari, non una conquista. Ed è anche, forse, la sua più grande dannazione come uomo.

Achille ovvero Quando la Follia Diventa Umana
E poi c’è Achille. Ah, Achille!
Se c’è un personaggio che Gemmell ha completamente stravolto, è proprio lui. Dimenticate l’eroe invincibile protetto dalla madre divina. L’Achille di Gemmell è un caso clinico ambulante, un uomo distrutto dalla violenza e dalla perdita.
La sua famosa “ira” non è un dono divino o una caratteristica eroica. È un disturbo mentale, probabilmente quello che oggi chiameremmo disturbo post-traumatico da stress. Achille è un veterano di guerra che ha visto troppo, fatto troppo, perso troppo. La sua violenza non è gloriosa, è disperata. È l’ultimo grido di un uomo che sta annegando nella propria follia.
Gemmell non romanticizza questa condizione. Mostra Achille per quello che è: un uomo pericoloso, imprevedibile, che ha perso il contatto con la propria umanità, tutto fino ad un certo punto. Ma allo stesso tempo, non lo demonizza. Lo presenta come una vittima della guerra tanto quanto i nemici che uccide. È una rappresentazione molto moderna e molto onesta di quello che la violenza prolungata può fare a una persona.
La morte di Patroclo poi non è un evento cosmico che scatena l’ira divina. È la perdita dell’ultima persona che riusciva ancora a vedere l’uomo dietro il mostro, e che lo amava per questo. Patroclo era l’ancora di Achille alla propria umanità. Quando muore, Achille non diventa più forte o più eroico. Diventa semplicemente più pazzo, ma sempre fino ad un certo punto.
È una rappresentazione cruda, ma onesta di come funziona davvero il trauma. E rende Achille molto più interessante dell’eroe monodimensionale della tradizione. È un personaggio che fa paura e pena allo stesso tempo, che ammiri e disprezzi, che vorresti salvare e da cui vorresti scappare.
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Ettore, L’Eroe sacrificato e sacrificabile
Se Achille è la follia, Ettore è la saggezza. Ma non la saggezza eroica e distaccata del mito. È la saggezza terribile di chi sa esattamente cosa lo aspetta e sceglie comunque di andare avanti.
L’Ettore di Gemmell sa di essere mortale. Non solo nel senso fisico, ma nel senso più profondo: sa che la sua causa è persa, che Troia cadrà, che lui morirà. Ma continua a combattere non perché crede nella vittoria, ma perché è la cosa giusta da fare. È l’eroe tragico per eccellenza: quello che fa la scelta giusta sapendo che lo porterà alla rovina.
Questa consapevolezza lo rende incredibilmente umano. Non è il guerriero perfetto che non conosce paura. È un uomo che ha paura ma va avanti lo stesso. Ha paura per la sua famiglia, per la sua città, per se stesso. Ma sa che qualcuno deve fare quello che va fatto, e quel qualcuno è lui.
Il rapporto con Andromaca aggiunge un’altra dimensione tragica al personaggio. Ettore non è solo un eroe che sa di dover morire, è un marito e un padre involontario che sa di dover abbandonare le persone che ama. Ogni momento di tenerezza con la famiglia è macchiato dalla consapevolezza che potrebbe essere l’ultimo.
Gemmell gestisce questa tragedia con una delicatezza straordinaria. Non cade mai nel melodramma, non cerca l’effetto facile. Mostra semplicemente un uomo che cerca di essere degno di un amore che ha deciso di condividere, sapendo che non potrà ricambiarlo per molto tempo ancora.
Paride Lo Studioso
Vogliamo parlare di Paride, poi?
Povero Paride!
Nella tradizione è il bello e dannato che scatena una guerra per amore. In Gemmell è uno studioso. Un intellettuale. Un tipo che preferisce i libri alle spade, la filosofia alla guerra, la conoscenza alla gloria, un nerd ante litteram.
Si tratta di una scelta narrativa brillante perché rende Paride molto più interessante e molto più odioso allo stesso tempo. Risulta interessante perché rappresenta un tipo di eroismo diverso: quello della mente, della curiosità, della ricerca della verità. È odioso perché è anche un codardo, uno che lascia che altri muoiano per le sue scelte.
Gemmell non cerca di redimere Paride o di farlo sembrare migliore di quello che è. Lo presenta per quello che è: un uomo intelligente ma debole, colto ma un po’ egoista. È il tipo di persona che incontri nella vita reale: complicata, contraddittoria, impossibile da giudicare in modo semplice.
Il suo rapporto con Elena poi è molto più complesso della semplice passione amorosa. È l’incontro tra due persone che si riconoscono come diverse dal mondo che li circonda.
Elena La Donna Normale in un Mondo di Miti
E parlando di Elena ecco forse la rivoluzione più radicale di Gemmell nella Trilogia di Troia. La sua Elena non è la donna più bella del mondo. Non è nemmeno particolarmente bella. È semplicemente normale. Intelligente, sì. Affascinante, certo. Ma non la bellezza soprannaturale che scatena guerre!
È una scelta narrativa coraggiosa perché distrugge uno dei pilastri del mito troiano. Se Elena non è irresistibilmente bella, perché è scoppiata la guerra? Gemmell ha una risposta semplice: la guerra non è scoppiata per Elena. È scoppiata per motivi politici, economici, strategici. Elena è stata solo una scusa conveniente, il casus belli perfetto.
Questa Elena è molto più interessante della bellezza passiva del mito. È una donna che fa delle scelte, ed è una cosa che mal si poteva accettare nell’Età del Bronzo. Non è un vero e proprio oggetto del desiderio e quindi donna oggettificata, ma semplicemente una leva politica
Il suo rapporto con Menelao viene reinterpretato non come un matrimonio infelice, ma come un’unione politica che non ha mai funzionato davvero. Elena non fugge perché è innamorata di Paride, fugge perché vuole una vita diversa da quella che le è stata imposta. Che poi si innamori di Paride, beh questo è una cosa che avviene nel tempo…
Priamo Il Re Pazzo e la Sessualità Come Ossessione
Arriviamo adesso a Priamo. Il vecchio re di Troia che nella tradizione è una figura dignitosa e tragica. In Gemmell è semplicemente un pazzo, senile e ossessionato. Non pazzo nel senso poetico, pazzo nel senso clinico. È un vecchio che ha perso il contatto con la realtà e che cerca disperatamente di affermare la propria virilità in declino.
L’ossessione sessuale di Priamo non è un dettaglio piccante aggiunto per fare colore. È il sintomo di una mente che sta cedendo, di un uomo che cerca di negare la propria mortalità attraverso la sessualità. È patetico e tragico allo stesso tempo.
Gemmell usa questo personaggio per esplorare temi molto moderni: l’invecchiamento, la perdita del potere, la paura della morte. Priamo non è solo un re che sta perdendo una guerra, è un uomo che sta perdendo se stesso. E nel tentativo disperato di rimanere giovane e potente, diventa grottesco.
È una rappresentazione spietata ma onesta di come l’età e il potere possano corrompere una persona. E rende la caduta di Troia ancora più tragica: non è solo una città che cade, è un mondo che muore guidato da un folle.
Forse a tutti gli effetti è il passaggio dall’Età del Bronzo a quella del Ferro!
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La Storicità Come Arma Contro il Mito nella Trilogia di Troia
Ma il vero genio di Gemmell, nella Trilogia di Troia, non sta solo nella caratterizzazione dei personaggi. Sta nel modo in cui ha sostituito la mitologia con la storia. Ogni elemento soprannaturale viene spiegato in termini umani e storici. Il Cavallo di Troia non è un dono divino ma un qualcosa di diverso. Le profezie di Cassandra non sono visioni divine, ma intuizioni politiche anche dettate dalla febbre. L’invulnerabilità di Achille non è protezione magica, ma combinazione di abilità, equipaggiamento e reputazione.
È un’operazione sistematica di demitologizzazione che però non distrugge la magia della storia. Anzi, la rende più potente. Perché quando togli gli dei dalla storia, quello che rimane sono gli uomini. E gli uomini, con tutte le loro debolezze e contraddizioni, sono molto più interessanti degli dei!
Gemmell ha capito una cosa fondamentale: la realtà è sempre più strana della fantasia. Non hai bisogno di inventare niente di soprannaturale quando hai a disposizione la complessità infinita della natura umana.
Un uomo che diventa eroe per conquistare l’amore di un padre che lo odia, è più interessante di un semidio destinato alla gloria!
Una donna che scappa non per amore ma per libertà, è più affascinante di una bellezza soprannaturale!
Un guerriero che impazzisce per il trauma, è più tragico di un eroe invulnerabile!

L’Eredità della Trilogia di Troia
La Trilogia di Troia non è solo una riscrittura del mito troiano. È una dichiarazione di principi su cosa dovrebbe essere la narrativa fantasy. Gemmell ha dimostrato che non hai bisogno di magia per creare meraviglia, non hai bisogno di dei per creare epicità, non hai bisogno di eroi perfetti per creare emozione.
Quello che serve è comprensione della natura umana, rispetto per la complessità delle persone, e il coraggio di guardare oltre le apparenze per trovare la verità. Gemmell si è appropriato del mito più famoso dell’Occidente e lo ha trasformato in qualcosa di nuovo e più vero!
E il bello è che funziona. Nella Trilogia di Troia i suoi personaggi sono più credibili di quelli omerici, le sue motivazioni più convincenti, i suoi conflitti più reali. Ha dimostrato che la verità umana è sempre più potente della fantasia divina.
Ci sarebbe da parlare per ore dei personaggi che Gemmell crea e reinterpreta. Ogni attore, che mette sulla scena, è unico e ha la sua gloria e la sua dannazione, anche in quelle poche pagine che gli dedica. Ognuno di loro lascia il segno. Dal guerriero miceneo al profeta e principe che infine trova la propria strada.
Quando chiudi l’ultimo libro della trilogia, non hai la sensazione di aver letto una storia fantasy. Hai la sensazione di aver vissuto una guerra, di aver conosciuto delle persone, di aver capito qualcosa di importante sulla natura umana. E questo, alla fine, è quello che fa la grande letteratura: ti cambia, ti fa vedere il mondo con occhi diversi.
Gemmell ha ucciso gli dei per salvare gli uomini. E nel farlo, ha creato qualcosa di immortale. La sua personale Trilogia di Troia!