A meno che non abbiate trascorso le ultime settimane in eremitaggio su Tatooine in stile Obi-Wan, quasi certamente vi sarete imbattuti nell’ondata di polemiche che ha sommerso l’ultimo film della Warner Bros. Come avrete intuito dal titolo, oggi analizzeremo Le Streghe, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Roald Dahl e pubblicato in lingua originale nel 1983.
Mani con tre dita, critiche feroci, difese a spada tratta e differenze con il libro. Parleremo di ciò e di molto altro in questa nuova puntata di “Ottime ragioni per darsi al giardinaggio”. Visto il periodo, mi sentirei di consigliare la semina dell’aglio, che è molto in tema e ha dei fiori splendidi.
(Trovate l’episodio precedente qui.)
SPOILER ALERT: in questo articolo saranno presenti piccoli spoiler di trama e, inevitabilmente, verrà fatta una comparazione con il libro. Se voleste recuperarlo o affrontare la visione del film al buio, consiglio di chiudere l’articolo. E di adottare un simpatico cespuglio di vischio, invece di premere play.
N.B.: se siete interessati unicamente alle polemiche e alle accuse di abilismo, le trovate nell’ultimo paragrafo.
SINOSSI
Alabama, 25 dicembre 1968. Il ragazzino protagonista viene coinvolto in un incidente stradale, nel quale entrambi i genitori perdono la vita. La nonna materna, che si scopre essere una guaritrice esperta di erbe e pozioni, lo prende in casa con sé e lo sprona a farsi forza per superare il triste lutto. Per tirarlo un po’ su di morale, gli regala una topolina bianca di nome Daisy (Gigia nel doppiaggio italiano).
Grazie ad un curioso incontro in un negozio di alimentari, il ragazzo scopre un inquietante fatto: le streghe non sono soltanto fantastiche creature leggendarie ma esistono davvero, odiano i bambini e tramano per annientarli uno per uno. Una volta individuato quello che intendono eliminare, esse non se ne allontanano finché non hanno raggiunto il proprio obiettivo e lo sa bene la nonna, la cui amica d’infanzia Alice ha passato la vita trasformata in una gallina.
A seguito di questo episodio e di un maleficio che colpisce la nonna, i due non hanno altra scelta se non quella di lasciare la casa in cui vivono e trasferirsi in un hotel sul Golfo del Messico, chiedendo un favore ad un cugino che aveva lavorato lì come chef.
Ed è proprio qui che, per una sfortunata casualità, i nostri protagonisti si imbattono in un raduno stregonesco, ironicamente camuffato da riunione della Società Internazionale per la Prevenzione degli Abusi sui Minori. L’avventura ha inizio: tra pozioni e cioccolato, bambini trasformati in topi e vecchi rancori, riusciranno il ragazzo e la nonna a sconfiggere la Grande Strega Suprema e la sua cricca?
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE
Oltre ad un cast che conta due Premi Oscar, bisogna ammettere che Le Streghe abbia nomi degni di nota anche nel comparto tecnico.
Dietro la macchina da presa, infatti, troviamo Robert Zemeckis, già regista della trilogia di Ritorno al Futuro, Cast Away, Chi ha incastrato Roger Rabbit e Forrest Gump (che gli è valso un Oscar), solo per citarne alcuni.
Inoltre, alla produzione figurano anche i nomi di Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro, che contano ben sei statuette dorate in due. Le premesse, dunque, sembravano davvero delle migliori.
Ma la storia di questo titolo non è così lineare come ci si aspetterebbe: nel 2008, infatti, era circolata la voce di un possibile lungometraggio in stop motion curato proprio da Del Toro. Non se ne seppe più nulla fino al 2018, anno in cui venne annunciato il progetto con Zemeckis alla regia e alla scrittura. A quel punto, Del Toro finì per affiancarglisi alla sceneggiatura, insieme anche a Kenya Barris (noto per Black-ish e America’s Next Top Model).
Infine, anche la distribuzione ha avuto un percorso travagliato a causa della pandemia in corso. Inizialmente, Le Streghe sarebbe dovuto uscire nelle sale il 9 ottobre 2020 ma è stato rimandato al 2021. Con un dietrofront dell’ultimo minuto, si è poi scelto di distribuirlo on demand su HBO Max a partire dal 22 ottobre di quest’anno. In Italia potete trovarlo in streaming sulle piattaforme riportate qui; il costo è di circa 15€ per il noleggio e 20€ per l’acquisto.
NOTA: è stato segnalato un lieve ritardo della traccia audio italiana su Amazon Prime Video quindi, se non foste amanti dei film in lingua originale, vi consiglio di scegliere un altro servizio per non doverlo guardare fuori sincrono.
PERSONAGGI DE LE STREGHE
PROTAGONISTA (Jahzir Kadeem Bruno): intraprendente ragazzino di otto anni, resta senza nome per tutta la pellicola (così come nel romanzo) e si distingue per lo sfacciato coraggio, oltre che per l’inventiva.
NONNA (Octavia Spencer): donna severa ma dal cuore grande, si prende cura del nipote e gli racconta tutto ciò che sa sulle streghe. Non solo gli insegna a riconoscerle ma lo accompagna ben volentieri per tutta l’avventura.
GRANDE STREGA SUPREMA (Anne Hathaway): attraente e bizzarra donna dall’accento vagamente teutonico, è il punto di riferimento del gruppo di streghe presenti nel film e la più crudele tra di loro.
MR. STRINGER (Stanley Tucci): direttore dell’albergo in cui sono ospitati la nonna e il ragazzo, è un uomo che dedica la propria vita alla soddisfazione dei clienti, ingoiando non pochi bocconi amari.
BRUNO JENKINS (Codie-Lei Eastick): ingenuo e viziato ragazzino inglese, passa l’intera pellicola a mangiare o a desiderare cibo. Ed è proprio la sua gola a cacciarlo nei guai e farlo ingenuamente cedere alle lusinghe di una strega.
MR. JENKINS (Charles Edwards): padre di Bruno e facoltoso uomo d’affari, sembra non avere tempo né voglia di curarsi del figlio.
MRS. JENKINS (Morgana Robinson): madre di Bruno, si preoccupa molto delle apparenze e riprende il figlio per i suoi comportamenti sconvenienti.
MARY/DAISY/GIGIA (Kristin Chenoweth): acuta topolina bianca, si scoprirà essere un’orfana trasformata da una strega e poi venduta ad un negozio di animali.
NARRATORE: a narrare le vicende è il protagonista adulto, interpretato dalla voce di Chris Rock. In italiano il ruolo è stato affidato a Fabrizio Vidale, storico doppiatore di Jack Black.
DIFFERENZE CON IL ROMANZO
Nel 1987, all’uscita della prima edizione italiana, mia madre frequentava ancora le superiori. Insomma, non posso certo aver vissuto la pubblicazione come chi è stato bambino alla fine degli anni ’80. Ciononostante, ricordo Le Streghe come uno dei romanzi preferiti della mia infanzia e tuttora vi sono molto affezionata, al punto da averlo riletto prima di scrivere questa recensione. Due volte, una in italiano e una in inglese.
Capirete, dunque, il mio iniziale smarrimento nel notare la presenza di molte differenze sostanziali tra il libro e la pellicola. Ma vediamole insieme.
AMBIENTAZIONE
Innanzitutto la storia si svolge nell’Alabama degli anni ’60 anziché tra l’Inghilterra e la Norvegia degli anni ’80 e questo cambia tutto, specialmente se si sceglie di inserire un protagonista afroamericano al posto di un ragazzino anglo-norvegese. Non solo ci si trova di fronte ad un contesto culturale radicalmente diverso ma si perde anche la componente autobiografica voluta da Dahl, oltre all’atmosfera della Norvegia che meglio accompagna le storie dell’orrore.
TRAMA
Questo paragrafo, inevitabilmente, sarà un doppio concentrato di SPOILER. Per evitarli, vi basta scorrere alla fine dell’elenco puntato e proseguire con la lettura.
Le differenze nella trama sono davvero tante, forse troppe. Ecco, dunque un elenco non esaustivo e in ordine sparso di ciò che accade nel libro:
- I topolini regalati al protagonista sono due e si chiamano William e Mary. Inoltre, non sono bambini trasformati ma semplici roditori.
- Bruno Jenkins non si unisce alla coppia di protagonisti ma rimane con la propria famiglia. In un amaro dialogo tra nonna e nipote, si ipotizza che il padre possa averlo fatto affogare dal personale dell’albergo.
- I protagonisti non tornano a casa con un baule pieno di soldi né, tanto meno, con una fornitura a vita di pozione. In compenso conoscono la ricetta per preparare quest’ultima, poiché il ragazzino l’ha udita durante la conferenza della Grande Strega Suprema.
- Invece di creare una task force di bambini per sconfiggere le streghe, nonna e nipote riescono ad ottenere l’indirizzo del castello della Strega Suprema e progettano di infiltrarsi per trasformare in topi tutte le streghe al suo interno, per poi sguinzagliare dei gatti dopo aver frugato negli archivi.
- Sono solo le streghe inglesi a trasformare i ragazzini in animali disgustosi, nella speranza che siano gli adulti a sbarazzarsene, inconsapevoli della loro natura. Le streghe norvegesi hanno altri modi per levarsi di torno i pargoli.
- La nonna ha passato la vita a dare la caccia alle streghe e studiarle, ecco perché è così informata al riguardo.
- L’incontro con la prima strega non avviene in un negozio di alimentari ma mentre il protagonista si trova nella casetta sull’albero in giardino. Inoltre, a quel punto della trama, lui è già a conoscenza dell’esistenza delle streghe e di come riconoscerle.
- La nonna ha ben 86 anni ed è gravemente malata, ma ne parleremo in dettaglio nel prossimo paragrafo.
MALATTIA E MORTE
Manca completamente il tema della malattia, cardine della riflessione finale del romanzo e del rapporto tra bambino e nonna. Avendo scelto di spostare la storia indietro di circa vent’anni, non comprendo perché ringiovanire la nonna e ridurre il suo malessere a qualche colpo di tosse dovuto ad un maleficio, anziché alla polmonite. Il penultimo capitolo del libro, intitolato Cuore di topo, presenta una struggente riflessione sull’età avanzata della nonna e sulla breve vita del nipote nei panni di un topo.
Per giunta, se si presta attenzione durante la lettura, si può notare un “La nonna era norvegese e i norvegesi sanno tutto sulle streghe”. Questa singola frase non solo anticipa il collegamento tra le cupe foreste della Norvegia e le leggende sulle streghe, ma ci racconta un dettaglio fondamentale: la nonna è morta.
Poiché il narratore del libro è il ragazzino, il fatto che parli della nonna al passato significa che egli le sia sopravvissuto e questo non può essere trascurabile. Nella pellicola, al contrario, la nonna è davvero molto giovane (forse troppo) e si ricorre all’espediente del maleficio per accorciarle la vita e bilanciarla con quella del topolino. Se non altro, rispetto al film del 1990, il ragazzino non si ritrasforma in un bambino e ci siamo evitati lo stucchevole “E vissero tutti felici e contenti”.
Da notare, infine, la totale assenza di sangue. Quando la nonna tossisce nel fazzoletto al negozio di alimentari, si capisce dal suo sguardo che il tessuto si sia macchiato ma ciò non viene mai mostrato allo spettatore. Al contrario, possiamo vedere chiaramente il sangue della Grande Strega Suprema ma questo differisce per colore e per consistenza da quello che siamo abituati a vedere. Che sia stato fatto per una questione di Parental Guidance ed evitare restrizioni sull’età del pubblico? Chissà.
LE STREGHE
Ma il vero punto dolente è la rappresentazione delle streghe, descritte nel romanzo come “donne qualunque, che vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque”. A meno di essere a conoscenza dei piccoli dettagli che le distinguono dalle donne comuni, dunque, non dovrebbe essere possibile riconoscerle a prima vista. Peccato che, nel film, abbiano delle evidenti linee ai lati delle labbra che ne rendono immediatamente identificabile la bocca enorme.
Fosse stato solo quello il problema, però, non mi sarei trovata a scrivere un intero paragrafo sulle polemiche che si sono scatenate rispetto alle streghe. Lo trovate in fondo all’articolo.
PREGI
COMPARTO TECNICO
La regia. Punto. A capo.
Seriamente, alla regia si può dire ben poco. La mano di Zemeckis si nota e, almeno a livello di impatto visivo, Le Streghe è davvero piacevole. Le inquadrature risultano adatte al taglio della narrazione e al pubblico a cui ci si rivolge: i campi lunghi aiutano ad avere una buona visione d’insieme, per poi concentrarsi sui dettagli solo laddove ha senso focalizzare l’attenzione. In questo modo, il giovane spettatore riesce a sentirsi coinvolto nelle vicende come se le stesse vivendo in prima persona.
Alla regia si accompagna anche una buona fotografia, con la giusta palette di colori che rispetta l’ambientazione scelta. Peccato che tutto ciò non basti a compensare alcuni difetti strutturali che vedremo in seguito.
Non male l’adattamento italiano di alcune battute, come il gioco di parole brats/rats che diventa pupi/topi o quello sul nome della topolina che da lazy/Daisy diventa grigia/Gigia. Buono anche il doppiaggio, eccellente la voce narrante.
RECITAZIONE
Anne Hathaway non delude. Nonostante le aspettative dovute al confronto con Anjelica Huston (nota al grande pubblico per aver interpretato Morticia Addams e protagonista di Chi ha paura delle streghe?), la Hathaway tiene botta. Non sono mancate le critiche alla sua performance, giudicata troppo poco paurosa rispetto alla trasposizione del 1990 ma potrebbe essere più un vantaggio che un difetto. Ad aiutarla nella prova attoriale, infatti, interviene sempre quel suo fascino a metà tra il candido e l’inquietante che l’ha contraddistinta anche nei panni della Regina Bianca in Alice in Wonderland. Questo non solo funziona bene ma è anche piuttosto aderente al mood del romanzo.
Octavia Spencer è probabilmente la punta di diamante della pellicola. Il personaggio della nonna, pur non essendo caratterizzato benissimo, finisce per avere il ruolo più incisivo nella trama. Purtroppo non si sa nulla dei suo passato e rischia di sembrare solo una signora bizzarra che combatte le pozioni delle streghe a colpi di erbe, estratti e acqua di Lourdes. Inoltre, sono stati fatti dei cambiamenti radicali soprattutto per quanto riguarda la sua età. La responsabilità di ciò, però, è da imputare alla discutibile sceneggiatura e non all’ottima interpretazione della Spencer.
TEMATICHE E MOOD GENERALE
Per fortuna, viene rispettato il tema del riscatto (in questo caso, sociale) che premia chi si comporta in maniera altruista e disinteressata, molto caro a Roald Dahl. I cosiddetti “bambini buoni”, infatti, escono spesso vincenti dai romanzi dell’autore, basti pensare a Charlie ne La Fabbrica di Cioccolato o alla piccola Matilde.
Inoltre va sottolineato un grande miglioramento rispetto alla trasposizione del 1990: alcuni dialoghi sono più simili a quelli del libro e, in generale, la sensazione è quella di un prodotto un po’ più calato nella scrittura di Dahl. Ancora non ci siamo, ma ci si avvicina leggermente.
Apprezzabile anche la presenza di un piccolo messaggio contro il bodyshaming (già trattato in questo articolo sul cortometraggio di Billie Eilish). Bruno fa notare al protagonista che, nel presentarlo alla nonna, si sarebbe potuto fermare a “Il mio amico Bruno” e non aggiungere “cicciottello inglese” alla descrizione. Si tratta di una singola battuta ma si discosta molto da quel “Vi consiglio di metterlo a dieta” che, nel romanzo, la nonna pronuncia parlando ai coniugi Jenkins.
Infine, una menzione d’onore spetta alla colonna sonora curata da Alan Silvestri: unita ai classici degli anni ’60, aiuta a trasportarci nella storia e nell’ambientazione. Peccato per la versione del 2018 di We Are Family, cantata da Samantha Jade: stride più dello squittio di un topolino.
DIFETTI
QUALCHE CLICHÉ DI TROPPO
Nella descrizione della vita in Alabama viene inserita una quantità non irrilevante di stereotipi, tipicamente associati alla vita della comunità afroamericana negli anni ’60. Ed ecco, allora, il pollo fritto e gli espliciti riferimenti alla cucina creola, l’onnipresente musica e i balli in salotto. Per darvi un’idea della situazione, la persona che lo stava guardando con me è sbottata in un “Dai, manca solo il cocomero!”. L’impressione che restituisce è che siano presenti un po’ troppi cliché, peraltro trattati in maniera abbastanza didascalica e superficiale.
Per non parlare dell’avversione all’aglio mostrata dalle streghe e alla scelta della stanza 666, anziché la 454 del libro. Sento già gli Iron Maiden in sottofondo, con buona pace della musica soul e dell’originalità.
LA CGI FA MALE AGLI OCCHI
Al momento della spartizione del budget, il comparto tecnico sembrerebbe essere stato diviso in “figli preferiti” e “figli di un dio minore.
Se la regia e la fotografia riservano piacevoli sorprese, la CGI è quantomeno ballerina, soprattutto quando si tratta degli animali. Mentre in alcune sequenze ancora ancora regge, in altre inciampa in errori talmente grossolani da schiantarsi al suolo con fragore. Bastano una dozzina di minuti per rendersene conto ma, se la visione del serpente non fosse sufficiente, vi consiglio di aspettare la comparsa del gatto Hades.
Quasi quasi, preferivo Salem di Sabrina, vita da strega e ho detto tutto. Facciamo prima a dire che si salvino solo i topi, sostanzialmente, perché anche il viso delle streghe non brilla certo per la qualità della computer grafica.
Sorvoliamo, poi, sulla tremenda distorsione applicata alla voce delle streghe quando esse mostrano la propria vera natura. Non solo è fastidiosa ma rende quasi impossibile la comprensione di alcune parole.
UN’OCCASIONE MANCATA
Nonostante l’apprezzabile tentativo di inserire l’argomento del razzismo in maniera leggera e fruibile anche ad un target di bambini e ragazzi, il tema resta solo abbozzato superficialmente e si perde man mano che la trama procede. L’intento didascalico era già chiaro durante l’introduzione, con la lezioncina fatta con le diapositive, ma il film ondeggia tra considerazioni fin troppo esplicite e altre di difficile comprensione per un bambino, da tanto sono vaghe.
Un esempio è la scelta dell’hotel in cui nascondersi. Perché andare proprio lì? “Perché ci sono solo tizi bianchi e ricchi al Grand Orleans Imperial Island Hotel. E le streghe vanno a casa di bambini poveri, dimenticati… così, quando li fanno sparire, nessuno protesta.”. Tutto molto bello ma, allora, come si spiega Bruno? Certo, i suoi genitori a momenti neanche si ricordano di avere un figlio, ma di certo non si può dire che i Jenkins siano una famiglia povera.
Il fatto di ambientare la storia nel 1968, anno dell’assassinio di Martin Luther King Jr. e di una lunga serie di proteste che portarono a grandi conquiste sociali, avrebbe potuto dare qualche spunto in più. La struttura in cui si trova l’hotel ricorda una casa coloniale riconvertita, di quelle che si vedevano nelle piantagioni. Che sia un riferimento alla schiavitù?
Come mai il parcheggiatore rifiuta la mancia quando la nonna gli offre una moneta ma la accetta di buon grado quando gli allunga delle banconote? Che sia dovuto al riscatto sociale alla fine del film? Può darsi, ma non è sviluppato come concetto e sembra tutto solo superficialmente accennato.
I PERSONAGGI SECONDARI
La caratterizzazione dei personaggi secondari, purtroppo, è carente. Se nel libro può venirci in soccorso la fantasia per ricostruire il “non detto” e immaginare il tono dei dialoghi, nel film c’è solo quanto esplicitamente mostrato. E in questo caso, secondo me, non è abbastanza.
A tal proposito, viene da domandarsi come mai non si sia scelto come titolo La Strega. A parte quella interpretata da Anne Hathaway, infatti, le altre streghe risultano marginali e inutili ai fini della trama, al punto da scomparire al primo soffio di vento.
Stessa cosa vale per il direttore dell’albergo che, nonostante il casting di Stanley Tucci sia impeccabile, non aggiunge granché alla narrazione e non funziona benissimo nemmeno come spalla comica. Resta adorabile come sempre, ma forse è un po’ sprecato in quel ruolo.
LA SCENEGGIATURA
Ma veniamo al difetto dei difetti, ossia la sceneggiatura.
Immaginate che, aprendo il romanzo di Roald Dahl, le pagine si scollino e cadano in modo disordinato sul pavimento del vostro salotto. Qualcuna finisce sotto al divano e un paio vengono masticate dal cane. Raccogliete in ordine sparso quelle che riuscite a trovare e le appoggiate sul tavolo ma, sovrappensiero, le mischiate a bollette e liste della spesa. Maldestramente, rovesciate anche una tazza di tè caldo proprio sulle pagine. Bene, adesso mettete una bella rilegatura lussuosa e avete la sceneggiatura del film.
Innanzitutto lo svolgimento è davvero troppo rapido, confusionario e non dà il tempo allo spettatore di vivere la storia. Si salta di palo in frasca, con parecchia soluzione di continuità e senza approfondire alcunché. Le vicende vengono presentate e risolte fin troppo in fretta, senza grossi ostacoli o sfide. Non so se il problema coinvolga anche il montaggio ma ho la sensazione che sia stato dato fin troppo spazio a scene poco utili e ne sia stato tolto alla narrazione.
Come fa la Strega Suprema ad avere tutti quei soldi? Come faranno i bambini a procurarsi altra pozione se non hanno la ricetta? Perché Alice, trasformatasi in gallina non parlava e i topolini sì?
Infine, come anticipato nel paragrafo sulle differenze rispetto al libro, manca completamente il tema della malattia e penso sia una delle assenze più gravi. La nonna non si mostra mai realmente in pericolo di vita e tutto viene ridotto ad un maleficio, dunque ad una causa esterna e fantastica anziché reale. Peccato, perché la perdita dei nonni è un’esperienza che molti bambini e ragazzi si trovano a dover affrontare, dunque sarebbe stato importante portarla anche nella pellicola.
CONCLUSIONI
Forse a causa dell’hype e della fama delle persone coinvolte nel progetto, mi sarei aspettata molto di più. Avrei auspicato un maggior rispetto delle tematiche fondamentali del romanzo, una migliore cura nel montaggio e nella sceneggiatura, oltre ad una CGI quantomeno decente.
Al netto delle polemiche, di cui parleremo tra poco, tutto sommato il film è anche godibile… se avete otto anni, non avete grandi pretese oppure non avete amato il libro. Per quanto mi riguarda, avrei preferito investire quel tempo a preparare una zuppa d’aglio. Meglio un alito tremendo che l’amaro in bocca.
POLEMICHE SU LE STREGHE
Ed eccoci al famoso elefante nella stanza, ovvero le discusse scelte compiute nella rappresentazione delle streghe e le conseguenti accuse di abilismo. Perché è un problema che abbiano tre dita anziché cinque? È più importante l’aderenza al testo o la sensibilità del pubblico?
COS’È L’ABILISMO?
Innanzitutto, di cosa stiamo parlando? Si definisce l’abilismo come “discriminazione e pregiudizio sociale contro le persone con disabilità e/o percepite come disabili”. Ciò comporta una valutazione di tali persone come inferiori a quelle non-disabili, la sovrapposizione tra la persona e la sua disabilità, oppure il riconoscimento o la negazione di abilità, talenti o tratti caratteriali sulla sola base della disabilità.
Per fare alcuni esempi banali, è abilista pensare che le persone sorde abbiano la supervista di Clark Kent o che una persona disabile voglia necessariamente essere “curata” (termine, peraltro, davvero inopportuno).
LA VICENDA
Ma cosa c’entra tutto questo con Le Streghe?
Già all’uscita del trailer è stato chiaro che si fosse scelto di rappresentare l’antagonista, interpretata da Anne Hathaway, con tre dita per ciascuna mano. Guardando la pellicola, si nota che tutte le streghe siano rese con questa caratteristica. Quest’immagine non si discosta molto dalla condizione delle persone affette da ectodattilia (una malattia genetica che tende a coinvolgere lo sviluppo del terzo e del quarto dito) e da chi presenta altre differenti conformazioni degli arti.
Tale sfortunata decisione ha prevedibilmente attirato le critiche di innumerevoli realtà che si occupano di lotta alle discriminazioni, lanciando l’hashtag #NotAWitch fino a rimbalzare anche sul sito del Comitato Internazionale Paraolimpico. Inoltre, si è risollevata l’annosa questione dell’associazione di corpi “non conformi” e ruoli di cattivi, oltre alla scarsa rappresentazione della diversità nei media.
Ed è qui che si è scatenato il putiferio. Non si è fatta attendere la gente che si è stracciata le vesti inveendo contro il politically correct, per poi invocare il rispetto dell’opera originale e la libertà di espressione artistica, al grido di “Ormai non si può più fare nulla”.
Ma sapete quale sia la cosa più amara, in tutto ciò? Nel libro di Dahl tutto ciò NON ESISTE, dunque non era affatto necessario ed è stato frutto di una scelta arbitraria.
“COME RICONOSCERE UNA STREGA”
Riporto qui, per chi non avesse letto il romanzo, tutte le caratteristiche utili per identificare una strega:
- “Tanto per cominciare, una strega porta sempre i guanti”.
- “Al posto delle unghie, ha lunghi artigli ricurvi come quelli dei gatti”.
- “Una vera strega è sempre calva” e “porta sempre una parrucca per nascondere la testa pelata”.
- “Hanno le narici un po’ più grandi del normale, con il bordo roseo e leggermente incurvato”.
- “Per una strega (un bambino) puzza di cacca di cane appena fatta […] dunque, se vedi una donna che si tappa il naso quando le passi vicino, quella potrebbe essere una strega”.
- “Le pupille di una strega cambiano colore e, fissandole, ci vedrai brillare fuoco e ghiaccio insieme”.
- “I piedi sono senza dita, hanno la punta quadrata e basta”.
- “Hanno la saliva blu […] e la usano anche per scrivere”.
Notate nulla? Ebbene sì, le streghe di questa pellicola hanno meno della metà delle caratteristiche descritte. E tanti cari saluti alla fantomatica aderenza al testo.
Infatti, le antagoniste in carne ed ossa hanno bocche gigantesche e narici normalissime che diventano enormi a comando, pupille nere, saliva trasparente e un unico, lunghissimo, dito al centro di ogni piede. Ah, già… hanno anche tre dita anziché cinque. Eppure non sta scritto da nessuna parte che abbiano mani con tre artigli ma solo che le unghie somiglino a quelle dei gatti.
Se si osservano le illustrazioni della prima edizione, curate da Quentin Blake, si notano visi rugosi e putrescenti ma sempre e comunque cinque dita. E Roald Dahl era ancora vivo e vegeto nel momento della pubblicazione, quindi possiamo supporre che i disegni gli piacessero così.
Ha senso continuare ad invocare il rispetto del libro, a questo punto?
Non sarebbe, forse, il caso di chiedersi come mai siano state effettuate delle scelte simili?
Vogliamo davvero negare che il singolo dito del piede abbia scatenato l’ilarità di alcuni spettatori?
Vogliamo trascurare la scena grottesca con il suono di chele quando le streghe applaudono?
Possiamo anche voltarci dall’altra parte e fingere che determinate scelte non puntino ad aumentare il senso di orrore e la “mostruosità” delle streghe. Scegliamo pure di non considerare quante persone si sentano urlare “mostro” per la loro diversità, salvo poi piangere quando guardiamo Wonder. Possiamo persino ignorare che determinate caratteristiche fisiche vengano ancora associate a “scherzi della natura”, fenomeni da circo o addirittura legami col demonio.
Quantomeno, però, prima di sventolare il libro come giustificazione, sarebbe il caso di aprirlo.
Non serve nemmeno leggerlo, tra l’altro. Basta guardare le figure.