Chi sono i veri autori delle storie e dei loro personaggi?
“Quando sono di umore nero allora scrivo” diceva un cantautore italiano. Con questa domanda, e il mio consueto buon umore, voglio aprire questa nuova edizione de la Biblioteca di Atlantide, arrivata oggi al volume cinque.
Forse, più che chiedere chi siano i veri autori delle storie dovremmo partire da un differente punto. Non siamo i veri autori delle storie, quanto i co-autori, e talvolta addirittura meno, delle nostre storie personali. Così come è vero nella vita di tutti i giorni, così è vero anche nel mondo del gioco di ruolo e nella narrativa.
Questo perché solo nella fantasia riusciamo effettivamente a vivere la storia che desideriamo. E quindi mi domando, esiste un modo per giocare con gioia e piacevolezza all’interno di questi limiti che noi stessi ci imponiamo?
Questo nuovo volume della biblioteca, come potrete aver capito, sarà un po’ sui generis. Verranno analizzate alcune questioni e verranno posto tante domande, nella speranza che, magari assieme, si possa riuscire a trovare una risposta…
La vera essenza della vita non è l’esaltazione della vita, né la saga, bensì la tragedia
Questo è il punto di inizio e di fine della storia. Ogni episodio che sia noi che i nostri personaggi vivono, non sono eventi sconnessi e scollati tra di loro, sono più una narrazione unificata che collega nascita, vita e morte: inizio, meta e fine narrativo.
Semplicemente, tutti moriamo. Le nostre narrazioni personali hanno una fine definitiva. Sebbene i nostri personaggi giocanti possono o meno morire durante un’avventura, la loro esistenza inizia con la loro creazione e termina quando il personaggio muore, quando l’avventura finisce. Anche se i nostri personaggi raggiungono la divinità, la loro storia termina e diventano un soggetto fisso per la memoria, la riflessione, persino l’elogio.
Quante volte, dopo la fine di una campagna con l’inizio della nuova, i personaggi precedenti ritornano, addirittura come una delle divinità da adorare dai nuovi personaggi, così da poter, in qualche modo dare un senso di completezza a quanto sia stato vissuto in precedenza?
Questa eventualità dovrebbe, ed effettivamente, informare le nostre decisioni nella vita e può farlo anche nel gioco di ruolo. Alcuni giochi sono più pericolosi di altri, e la morte può sembrare più o meno imminente. Teniamo però sempre presente che la storia del nostro personaggio avrà una fine. Ciò conferisce un senso di urgenza e profondità alle decisioni che prendiamo.
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Inoltre, assegniamo una sorta di “intelligibilità” ai nostri personaggi. Un modo di vedere una persona in continua evoluzione come se fosse la stessa persona dalla culla alla tomba. Che sia o meno un modo appropriato per vedere le nostre vite reali, è certamente un modo per dare ai nostri personaggi una certa coerenza. Inoltre saranno più credibili, più divertenti da interpretare e più facili da gestire per un Game Master nel creare la trama assieme ai giocatori.
Inoltre, lo stile della morte di un personaggio e il desiderio di essere ricordato dovrebbero guidare le nostre decisioni.
Chi mai vorrebbe vedere un eroe che muore vecchio in un harem? Meglio una fine degna su un campo di battaglia, in un ultimo disperato atto di sacrificio per salvare la vita di un bambino (N.d.A. sì Gemmell, sto citando i tuoi Guerrieri di Inverno!).
L’atteggiamento del nostro personaggio verso il suo inevitabile destino, anche se vorremmo evitarlo il più a lungo possibile, colorerà necessariamente il modo in cui guida la sua vita.
Come autori di storie di quale storia faccio parte?
Io come autore posso rispondere solo alla domanda “Cosa devo fare?“. Ma posso rispondere alla domanda precedente solo se rispondo a “Di quale storia, o storie, faccio parte?“
L’allineamento del personaggio in generale è un argomento troppo ampio per questo episodio specifico. lo discuterò esclusivamente in termini di un approccio narrativo al personaggio. La moralità del nostro personaggio, cioè le sue opinioni su ciò che è giusto e sbagliato, non necessariamente quanto rigidamente vi aderisce, saranno in qualche misura dettate dalla narrazione da cui ha preso vita. Questo ci aiuta a dare un senso alla vecchia massima “siamo l’eroe della nostra storia” e a tutte le sue variazioni.
Il contesto in cui veniamo alla vita, o in cui vengono creati i nostri personaggi giocanti, ha un impatto profondo sulla visione del mondo. Il mondo diventa concepibile per noi in relazione a ciò che impariamo quando siamo giovani e a ciò che viviamo, o meno, nell’arco della nostra vita.
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Questo contesto non è solo un luogo fisico, ma anche una società, una famiglia, un’epoca. Inoltre lo sono tutte le caratteristiche ad esse associate, come clima politico, religiosità, posizione economica e molte altre.
Quando ideiamo l’origine dei nostri personaggi, non stiamo solo decidendo queste caratteristiche, ma anche il mondo morale disponibile per loro. Un personaggio nato nella nobiltà è più incline a vedersi come adatto a guidare. Uno povero è più incline a giustificare il furto dai ricchi. Invece una persona maltrattata è meno incline a fidarsi degli altri.
Facciamo un esempio: i Fremen in Dune non potrebbero vedere lo spreco d’acqua come altro che un peccato grave o un sacrificio profondo.
E così, la tradizionale griglia di allineamento di D&D, o qualsiasi altra moralità si usi, diventa più facile da affrontare ma, al contempo, sbagliata.
Autori di storie ed etica dei personaggi
Come autori di storie non stiamo più giudicando l’etica dei nostri personaggi in un vuoto o su una vaga nozione di moralità giudeo-cristiana o buddista. Virtù e vizio sono giudicati in base alla narrazione in cui i personaggi sono nati. Questo metodo espande le possibilità di esplorazione morale permettendo agli autori di storie, o GM, o facilitatori, attraverso il proprio mondo di gioco, e, soprattutto, ai giocatori, attraverso la storia di origine, di definire parzialmente il giusto e lo sbagliato. Allo stesso tempo, queste definizioni vincolano il comportamento fornendo una certa struttura alla moralità, poiché la narrazione del mondo/giocatore necessariamente detterà dove alcune azioni ricadranno.
L’obiettivo finale di questo stile di gioco è dare significato alle nostre azioni nel gioco.
“Non possiamo caratterizzare il comportamento indipendentemente dalle intenzioni, e non possiamo caratterizzare le intenzioni indipendentemente dai contesti che rendono quelle intenzioni intelligibili sia agli agenti stessi che agli altri.”
Quando vediamo la nostra moralità come, almeno parzialmente, derivata dal nostro contesto narrativo, allora come scegliamo di “scrivere” la nostra porzione di quella narrazione diventa più profondo. Quella porzione della storia che scaturisce dalle nostre intenzioni diventa più significativa.
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Senza il contesto e i suoi cambiamenti nel tempo, la storia dell’agente individuale e i suoi cambiamenti nel tempo saranno incomprensibili. Nel contesto dei giochi di ruolo, potremmo benissimo sostituire la parola “coerente” con “spiegabile”. La coerenza è spesso ciò che dona ai nostri giochi una soddisfazione narrativa, che non è sempre facile da ottenere quando i personaggi nella nostra storia hanno una propria rappresentazione. L’opportunità per il “Big Evil” di ottenere il suo giusto castigo diventa possibile, e ancor più dolce, dal momento che lui e i personaggi hanno agito con una certa coerenza narrativa durante tutta l’avventura. Il mio personaggio lo considererà solo il “cattivo” se si è comportato male secondo il contesto narrativo del mio personaggio.
Al contrario, le svolte sorprendenti, come il tradimento di un compagno o la clemenza mostrata verso un nemico, diventano più toccanti perché vanno contro la narrazione di cui il mio personaggio fa parte. L’abdicazione del trono da parte della regina in nome dell’amore, il ladro avido che compie il sacrificio supremo per salvare il gruppo e tanti altri. Questi momenti drammatici sono tutti più drammatici poiché vanno in senso contrario a ciò che i nostri giocatori hanno creato e stanno co-scrivendo man mano che il gioco progredisce.
Identità dei personaggi
“Viviamo le nostre vite, sia individualmente che nei nostri rapporti reciproci, alla luce di certe concezioni di un futuro possibile condiviso, un futuro in cui certe possibilità ci attirano e altre ci respingono.”
Il risultato finale dell’approccio narrativo all’identità dei nostri personaggi giocanti è che può aiutarci a determinare quali sono i loro obiettivi. Nel breve termine, il telos, l’obbiettivo, dei nostri personaggi è spesso dettato dal compito in corso. Questo è particolarmente vero in un’avventura di tipo “one-shot” o su binari stabiliti. Ciò, però, non significa che la particolare narrazione dei nostri personaggi non colorerà il modo in cui rispondono alle sfide attuali, ma l’obiettivo finale dell’avventura è in gran parte compreso fin dall’inizio.
Più aperta è un’avventura, che sia di tipo sandbox o una serie di avventure singole con personaggi giocanti comuni, più potrebbero entrare in gioco gli obiettivi a lungo termine di un personaggio. E sebbene il comune sentimento “puoi essere tutto ciò che vuoi essere” sia ispirante, è anche semplicemente falso.
Nella vita reale, questo non dovrebbe essere un pensiero scoraggiante, ma piuttosto uno che si concentra su massimizzare ogni possibilità disponibile. Nei giochi di ruolo, questa idea può servire a uno scopo diverso. Un approccio narrativo verso l’identità dei nostri personaggi giocanti esclude la nozione che nella fantasia viviamo la storia che desideriamo.
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Se i nostri personaggi sono creati e agiscono nel contesto di una narrazione, seguirà anche che certe possibilità ci attireranno e altre ci respingeranno. In altre parole, contrariamente all’incapacità dei nostri personaggi di raggiungere certi obiettivi, ci sono certi scopi che semplicemente non possono concepire o che considererebbero indegni di perseguire. Ne Il Signore degli Anelli, Frodo non è riuscito a distruggere l’Anello, ma Sauron, a suo svantaggio, non è riuscito nemmeno a concepire che qualcuno potesse tentare di distruggerlo. Questa fatalità di Sauron è un risultato diretto della sua narrazione, dei vincoli che la sua visione del mondo ha posto sulla sua immaginazione.
Mentre gli obiettivi dei nostri personaggi saranno influenzati e cambieranno dalle azioni degli altri membri del gruppo e degli NPC, nonché dai cambiamenti nel mondo circostante, saranno anche circoscritti dalla loro stessa storia in evoluzione. Questi vincoli contribuiranno alla coerenza narrativa che migliorerà il divertimento e il significato del nostro gioco.
Conclusioni
Umorismo, ironia, ingiustizia, trionfo, orrore. Tutti questi motivi derivano dall’adesione o dalla sovversione di una narrazione ben stabilita. Quella del Dungeon Master, almeno nella creazione del mondo di gioco. Ma soprattutto in gran parte dai giocatori, i cui personaggi e le loro storie daranno corpo all’avventura.
La conversazione è la base in ogni rapporto, in ogni storia, per noi autori delle storie. La conversazione, intesa abbastanza ampiamente, è la forma delle transazioni umane in generale. Il comportamento conversazionale non è un tipo o aspetto speciale del comportamento umano, anche se le forme di uso del linguaggio e della vita umana sono tali che le azioni degli altri possano parlare per loro tanto quanto le loro parole.
Quindi come autori delle storie, siamo in primis chiamati a favorire un dialogo al tavolo, a non prevaricarlo e a concedere ogni tempo e azione per definire quello che sta succedendo. Identità, passato, futuro, azioni, tutto assieme gestisce la nascita della storia e a renderci infine conto che non siamo noi i veri autori delle storie, quanto l’insieme di tutte le persone al tavolo e nella vita che stanno costruendo una narrazione condivisa.