Cos’è una campagna di successo? Come la si può ottenere? O è un miraggio dovuto più alla nostalgia che alla vera qualità?
Mi è capitato piuttosto spesso di fermarmi a parlare, durante le fiere o gli incontri settimanali, con i giocatori che condividevano o avevano condiviso con me le esperienze da giocatore e narratore. Era, ed è tutt’ora, un’occasione per confrontarsi su ciò che si è fatto, per sentire pareri su giochi di ruolo emergenti o mai provati prima ma, soprattutto, per ascoltare di campagne terminate con successo.
Ovviamente queste esperienze, narrate a me con entusiasmo senza eguali, hanno alcuni denominatori comuni, fondamentali per accaparrarsi il titolo di “Campagna di Successo” da parte dei giocatori che la giocano. Senza contare il mero attaccamento affettivo al personaggio e alla campagna (punti che ritengo condivisibili ma assolutamente non necessari) sono necessari almeno tre elementi.
Gli elementi per una campagna di successo
La lunghezza
In primis, la lunghezza. Si passa dai quattro-cinque anni minimi ai massimi dieci-quindici, periodo che solitamente non si protrae oltre a causa di impegni di forza maggiore quali matrimoni, figli, lavori e traslochi. Una buona campagna, sembra, è quella che ti porta dalla pubertà all’età adulta. E fa lo stesso con il tuo personaggio, eterno ventenne che passa dall’evocare bolle di sapone al far sorgere vulcani dal nulla.
Non esistono, quindi, one-shot di successo e dal successo pari a campagne di più lungo respiro. E, esattamente grazie a questo punto, esistono migliaia di storie di campagne iniziate a mai finite, magari durate due o tre anni poi lasciate nel limbo delle endless stories.
I personaggi
In secundis, ovviamente, i personaggi. È assodato che i personaggi memorabili siano quelli che partecipano alle campagne di successo, ed è altrettanto palese che tutti gli altri non lo siano. In questo modo si taglia fuori una buona fetta di tutti quei personaggi creati per una sessione al volo, i personaggi sostitutivi e quant’altro, per non parlare di png, nemici differenti dal cattivone finale, armi, armature e via discorrendo.
L’impegno profuso nella creazione di un personaggio sembra ben ricompensato solo quando questo viene utilizzato per lungo tempo, passando dall’essere un semplice umano all’essere “qualcosa di più” (un Nobile vampiro, un formidabile detective, il livello 20, Re di qualche luogo e così via).
L’importanza delle scelte dei giocatori e la trama avvincente
Terzo, ed ultimo, punto: l’importanza e la centralità delle scelte dei giocatori assieme alla trama avvincente costruita dal narratore. In tutte le belle campagne si può notare quanto la trama sia solida e lineare fin dall’inizio nonostante le scelte (giuste e sbagliate) dei giocatori, secondo il famoso motto “tutte le strade portano a Roma”. Che si tratti di Railroad ben nascosto? Forse.
Il Gran Combattimento Finale
Quarto punto, opzionale in base al sistema che si sta utilizzando, il gran combattimento finale (abbreviato GCF) che coinvolge il cattivone e tutti i personaggi nell’ultima cena della campagna. Un combattimento spesso gretto, meschino, nelle quali vite di personaggi importanti vengono spezzate (e diverranno quindi ancor più memorabili) e nelle quali tutto è in gioco.
Proprio perché segna la fine della storia al tavolo, l’ultimo combattimento è quello ricordato dai giocatori con più fervore ed entusiasmo. In genere, difatti, dopo di questo si parte con la narrazione finale, lasciata nelle mani del narratore che spiegherà con minuzia la fine dei personaggi e del mondo.
Quanto vi ritrovate in questi punti? Quante delle vostre storie procedono o sono procedute in questa direzione? Quanti personaggi e campagne di successo avete avuto nella vostra esperienza al tavolo da gioco?
Una questione di Binari
Se anche voi vi siete trovati d’accordo con i vari punti elencati sopra non preoccupatevi, non siete malati né infermi. Avete semplicemente appreso che anche nel gioco di ruolo esiste una moda, una sorta di conformismo che accomuna tutti e sono davvero in pochi a fare gli alternativi.
Perché sono così pochi? Perché è difficile andare contro il mondo del gioco di ruolo, terribilmente difficile. Il mondo dei giochi di ruolo è esattamente come un insieme di città stato greche: tanti piccoli gruppi uniti dalla voglia comune di difendersi dall’invasore e tenacemente aggrappate alle proprie tradizioni. Atene rifiuterà prontamente di gettare i bimbi deformi dalla rupe mentre Sparta non ci penserà due volte, ma entrambe si alleeranno tenacemente e prontamente per far fronte al nemico persiano.
Buona narrazione contro narrazione lunga?
Il nemico persiano di cui sopra, nemico delle campagne di successo standard (e di conseguenza anche dei giocatori che ambiscono a tali campagne) è colui che indica come “la miglior campagna” qualcosa di opposto all’ideale del giocatore medio e, più in particolare, colui che invita ad un tipo di gioco breve e narrativo. Colui che sceglie una narrazione interessante anziché l’evoluzione del personaggio (probabile distruttore di ogni simbolo creato durante la narrazione), colui che sceglie di collaborare con i suoi giocatori e sacrificarli all’altare del divertimento comune.
Qualcuno potrebbe gridare a gran voce “È autoerotismo spiccio per Narratori frustrati” ed effettivamente non avrebbe tutti i torti. Se però abbandonassimo per qualche istante il tomo de “Le libertà dei giocatori” e ci concentrassimo su quello de “L’Importanza del giocare”, capiremmo che non è poi così sbagliato.
Prima che accendiate torce e issiate croci e forconi, mi preme dire che, tono acceso a parte, non sono contrario alle “Campagne di Successo” e ritengo che ognuno, nel proprio tempo libero, debba fare ciò che più lo diverte, senza pensare a cosa sia più o meno corretto, alternativo o comune. D’altronde si chiama tempo libero proprio perché non vincolato da dogmi e codici ed ognuno ha diritto a passarlo come vuole al tavolo da gioco. Che si tratti di un dungeon crawl, di un pippotto assurdo e complottista di vampiri o uno scontro epico con musiche di Hans Zimmer a Urban Heroes, l’importante è divertirsi.
Cambiare rotta e raggiungere comunque la Campagna di Successo
È piuttosto complesso spiegare la necessità di cambiare rotta, pertanto inizierò spiegando come e, successivamente, i motivi per farlo.
Terminare una campagna
Iniziamo comprendendo che le campagne con Successo sono quelle terminate, a prescindere dal tempo che ci si impiega. Gran parte delle campagne termina prima dei due anni a causa degli impegni dei singoli o della rottura precoce del gruppo. Questo ci dà la possibilità di costruire campagne decisamente più brevi, più studiate e meno vaste, quindi più dettagliate e attente. E Dio solo sa quanto fa piacere ai giocatori ricevere dettagli riguardo il passato giocato dei loro personaggi. D’altronde, Critical Role insegna.
Non personaggi che salgono di livello, ma personaggi funzionali
Ponendoci il limite di “campagne della durata di due anni” andiamo ad intaccare anche il punto 2 ma non necessariamente il punto 3. A causa della durata limitata della campagna i personaggi di successo non saranno più quelli più evoluti statisticamente, bensì quelli che riescono a svolgere appieno la loro funzione nella storia.
Meccanismi ad esperienza (D&D-Path-Vampiri e così via, per citare quelli più conosciuti) funzionano peggio nel breve periodo. Pertanto anche i personaggi, più “compressi”, saranno proiettati verso loro stessi più che verso l’avanzamento. Questo, unito ai tempi ristretti, favorirà una miglior collaborazione tra narratore e giocatore, giovandone de facto al gioco di ruolo ed al divertimento.
La narrazione comune e il comune tempo libero
Ma non è la semplice preparazione della campagna a rendere una campagna di successo tale ma alternativa: anche i giocatori possono percorrere questo sentiero scegliendo di dedicarsi alla narrazione. È lo stesso principio del teatro, un mettere in scena sipari studiati, collaborare e far fronte comune per creare un’opera che lasci agli attori la gloria e allo scrittore la fama. Fin troppo spesso ho assistito a scene tristi e discorsi epici spezzati dalle azioni dei giocatori. Forse è il caso di virare e dirigersi verso una meta più congeniale.
Una delle tante ragioni per le quali bisognerebbe cambiare rotta ha la base nel mercato dei giochi di ruolo. Partecipando a parecchie interviste con editori durante le fiere (ai quali tutti possono partecipare, provare per credere) si possono ascoltare produttori sempre più rivolti ai giochi di ruolo brevi. Si incontrano sempre più spesso giochi di ruolo con una partenza lampo, senza troppe regole, capaci di divertire per due o tre sessioni e finita lì. Il tempo libero di ognuno di noi è difatti risicato e c’è sempre meno spazi per campagne dal lungo respiro, che tendono a perdersi nei meandri di quel gioco di ruolo chiamato Vita.
Conclusioni e considerazioni sulle campagne di successo
Mi collego al discorso del tempo libero nel dire che “ogni sforzo andrebbe ricompensato” ed il più delle volte gli sforzi nell’inseguire una campagna di successo non ne valgono la fatica. Conosciamo tutti almeno un giocatore che non ha mai perseguito l’achievement “campagna perfetta” pur avendo giocato anni e anni. Magari ha partecipato a giocate della durata di anni ma mai terminate. “Eppure quel personaggio era così bello, peccato non aver terminato la campagna” è la frase che più ho sentito alle sopracitate fiere, con un misto di tristezza e solidarietà.
Per quanto mi riguarda penso che il primo passo verso una campagna di successo sia la sessione zero. Ne abbiamo parlato anche qui e qui. In tutte le campagne nella quale v’è stata una buona sessione zero ho passato del buon tempo libero insieme ai miei giocatori, e loro sono riusciti a giocare “ciò che volevano giocare” senza il classico tiro alla fune tra Narratore e giocatori.
Voi cosa ne pensate? Ritenete che nel mondo del GDR si stia perdendo la necessità della campagna duratura o che sia solo una fase temporanea? Avete avuto esperienze simili a quelle narrate?