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Ripley – Questa volta Netflix ha colpito nel segno

Ripley è la serie, uscita agli inizi di aprile 2024, che è riuscita a dimostrare che Netflix sa ancora fare televisione!

Ripley tratto da The Talented Mr. Ripley di Patricia Highsmith è la serie tv di Steven Zaillian interpretata da Andrew Scott in stato di grazia

La serie è scritta e diretta da Steven Zaillian. Zaillian è più sceneggiatore [Gangs of New York (2022) e The Irishman (2019) Scorsese, The Girl with the Dragon Tattoo Fincher (2011)] che regista. Poi, come non citare tra le sue sceneggiature Schindler’s List per cui vinse anche l’Oscar e il BAFTA!

Come regista questa è la sua quinta fatica dopo l’esordio nel 1993 con Searching for Bobby Fischer. 

Ripley è un neo-noir che segue i dettami del genere e getta le basi per un ritorno di cui si sentiva davvero la mancanza. Una serie che ha fatto qualcosa che non si vedeva da tempo nel panorama delle piattaforme streaming!

Tratto da The Talented Mr. Ripley di Patricia Highsmith, pubblicato nel 1955, questa miniserie segue l’omonima trasposizione cinematografica di Anthony Minghella del 1999. 

Ripley: Un piccolo accenno di trama

Herbert Greenleaf (lo scrittore Kenneth Lonergan), incarica Tom Ripley di ritrovare suo figlio Dickie [Johnny Flynn Emma (2020), The Score (2021)]. Il motivo è riportarlo a casa così che possa prendere le redini degli affari di famiglia. Ma Ripley non è un vecchio compagno di classe di Dickie, è un artista della truffa. Tom decide quindi non solo di accettare, ma anche di fare tutto il possibile per diventare Dickie e prendersi la sua vita.

Una serie che può diventare un cult

Chi ricorda i colori desaturati dell’adattamento cinematografico, sarà incerto davanti all’uso elegante che Zaillian fa del bianco e nero. Ma ce ne dimentichiamo subito, e in un attimo. Quando, con l’introduzione più iconica dell’ultimo decennio Andrew Scott [Sherlock (2010), All of Us Strangers (2023), Spectre (2015)] appare sullo schermo per la prima volta!

L’uso di Zaillian del monocromatico, che non dovrebbe sorprendere, fa da sfondo a quello che è, a tutti gli effetti, un perfetto racconto per immagini. 

La parola d’ordine per descrivere questo prodotto è stile. Lo stile che ricorda i grandi classici e la loro atmosfera rarefatta, come in questo caso. 

In apertura le interazioni umane sono ridotte al minimo. Metafora della condizione che ancora oggi l’uomo si trova a vivere e che non è cambiata molto negli ultimi sessant’anni. Il rumore la fa da padrone e va a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla mancanza di parole.

La paranoia di Ripley, e l’oppressione claustrofobica che proviamo, consapevoli che qualcosa di terribile deve accadere per rompere l’equilibrio effimero che pervade il primo episodio, sono resi tramite un esperto gioco di sguardi tra estranei e grazie all’uso sapiente della macchina da presa.

Andrew Scott è il protagonista indiscusso di questa miniserie. Le sue mille espressioni, e la capacità camaleontica di diventare qualcun altro, pur rimanendo fedele al personaggio che interpreta, ci aveva già stupito. Come dimenticare, infatti, la sua indimenticabile interpretazione di James Moriarty nello Sherlock (2010-2017) della BBC?

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Quando si vogliono avere scene che bucano lo schermo non c’è che da affidarsi alla fotografia di Robert Elswit. Il suo nome è legato a diversi film, come Magnolia (1999), Good Night, and Good Luck (2005), Michael Clayton (2007) e The Bourne Legacy (2012). Poi, con There Will be Blood (2007), vinse addirittura un Oscar. Insomma, la sua fotografia è in grado di regalare, a chi guarderà le sue opere, esperienze difficilmente ricreabili al di fuori di una sala cinematografica.

L’incedere lento ma costante della trama, è un crescendo che culmina con l’ultima scena del primo episodio.
Ripley è da solo, nella sua camera d’albergo, davanti allo specchio. Un sorriso enigmatico sulle labbra, quasi gentile, se si vuole. 

Dickie, Dickie Greenleaf. È un piacere conoscerla. 

Andrew Scott in Ripley alza ancora il suo livello interpretativo

Zaillian non perde tempo. Dice già tutto quello che c’è da sapere. Ma soprattutto mostra fin da subito quello che Ripley pensa davvero e che cosa accadrà. 

Il regista e Scott spogliano il personaggio di Ripley degli orpelli e delle maschere che indossa nella vita di tutti i giorni. Lo portano a rivelare il proprio io più profondo, senza tralasciare la rabbia che lo consuma e sì, anche l’attrazione per Dickie. Alla fine quello che resta di Tom Ripley è la sua vera natura. Un artista della truffa che non si fa scrupolo a rubare qualunque cosa, denaro, opere d’arte, e anche una vita intera. 

A fare da cornice alla storia, ci sono inquadrature mozzafiato di esterni di rara bellezza. Ognuna accentuata, ancora una volta, dall’uso sapiente del colore, o della mancanza di esso… Esse si intersecano a interni che diventano opprimenti e labirintici allo stesso tempo e che sono rappresentazione visiva della mente contorta e complessa di Ripley.

Critiche oggettivamente incomprensibili

Ebbene sì, anche un prodotto così valido, ha collezionato molte critiche, soprattutto da parte del pubblico. Alcune IMHO (In My Humble Opinion, N.d.A.) sono difficilmente condivisibili.
Ecco alcuni esempi. 

È troppo lento

In realtà questa critica viene mossa perché lo spettatore non viene “imboccato” ad ogni scena per aiutarlo a capire che cosa stia succedendo sullo schermo. Non ci sono spiegazioni inutili e tediose. Il più delle volte, infatti, servono solo a far innervosire quegli spettatori che sono in grado di pensare con la propria testa…

Non vengono offerte scorciatoie a cui il pubblico moderno è fin troppo abituato. Dunque quello che resta da fare è trattenere il fiato e seguire il viaggio di Ripley. Fra gli alti e bassi che la fortuna gli presenta…

È in bianco e nero… 

Mancano sia l’istruzione all’immagine che l’abitudine al classico. Lo spettatore moderno, la cui attenzione è limitata a pochi minuti, è abituato ad esplosioni e a ritmi insostenibili che non si confanno con questo tipo di prodotto. 

Si guarda alla mancanza di colore come ad un passo indietro. Come se fosse un ritorno al passato, senza comprendere che tutte le innovazioni partono in realtà dalla conoscenza delle regole. Solo dopo averle imparate di possono davvero infrangere.

Questo non è prodotto Hollywoodiano per chi non ha voglia di concentrarsi, e va bene così!

Le motivazioni non sono chiare… 

Non prendiamoci in giro. Buona parte degli spettatori non sa neppure cosa voglia dire, soprattutto i più giovani e meno avvezzi alla lettura e al consumo di prodotti televisivi. 

Le motivazioni sono sotto gli occhi di tutti fin dal primo momento in cui Ripley appare sullo schermo. Quello che succede è che il regista si rifiuta di prendere per mano lo spettatore e portarlo dove vuole lui. 

Zaillian rispetta se stesso e la sua opera e offre lo stesso rispetto allo spettatore dal quale si aspetta però che sappia camminare sulle proprie gambe. Se questa fiducia è mal riposta non è colpa del regista.

Gli attori sono troppo vecchi

Questa è forse la pillola più amara da ingoiare per tutti coloro che credono che la vita finisca a trent’anni e che a quell’età si sia pronti per il ricovero in casa di cura e la morte. 

È ridicolo che questa accusa venga mossa da quella parte di popolazione, cronicamente su internet, che apparentemente detta legge su quello che può e non può essere prodotto oggigiorno e della quale solo un misero 10% consuma davvero i prodotti creati seguendo la loro sensibilità. 

Andrew Scott ha 47 anni ed è un Ripley perfetto. Perfetto perché diverso da quello portato sullo schermo da Matt Damon [Good Will Hunting (1997), Interstellar (2014), The Martian (2015), Oppenheimer (2023)] che però, sì, era più vicino a quello raccontato da Patricia Highsmith. Ma non per questo migliore o peggiore di quello creato da Zaillian. Diverso, questa è la parola chiave. 

Un Ripley più maturo e per questo a tratti più spietato. Un uomo che non ha più davanti tutta la vita, e che si trova a voler afferrare (forse) l’ultima occasione che una vita di truffe gli offre. Questa consapevolezza lo rende letale. 

Esistono ruoli che hanno bisogno di un bagaglio di vita vissuta per essere interpretati. Il nuovo Ripley ne è la prova. Una prova che, a mio modesto parere, dovrebbe portare almeno una candidatura ai Golden Globe sia per l’attore che per il regista.

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Ripley: conclusioni

Una serie da guardare tutta d’un fiato, a patto che si pensi con la propria testa e si ignorino queste critiche che lasciano il tempo che trovano!   

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