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Our Flag Means Death: la rivincita dei “diversi” contro la società

Our Flag Means Death, la serie TV di HBO, è una bellissima commedia che però riesce a trattare con maturità anche tematiche profonde, come la marginalizzazione delle persone queer e non bianche. Ne parliamo meglio in questo articolo!

Oggi vorrei dedicare alcune parole a una serie televisiva che nelle ultime settimane è stata un po’ sulla bocca di tutti.
Stiamo parlando di Our Flag Means Death, andata in onda su HBO Max e diretta da David Jenkins, un regista giovane con pochissimi lavori alle spalle. Girata con, evidentemente, un budget limitato, Our Flag Means Death probabilmente deve la propria nascita al coinvolgimento di Taika Waititi (Thor Ragnarok, Jojo Rabbit, What We Do In The Shadows, The Mandalorian – The Redemption), con cui Jenkins si è confrontato fin da subito sui temi della serie e che ha convinto HBO a produrre lo show. Waititi si è inoltre unito al cast, interpretando il pirata Barbanera. Ma, in tal senso, Waititi è praticamente l’unico nome noto: il resto del cast è composto da persone molto poco conosciute, con l’eccezione di Leslie Jones.

Our Flag Means Death è uscito con pochissima pubblicità e pochissime aspettative. Tuttavia, in poche settimane il passaparola generale ne ha aumentato notevolmente la notorietà, portando Our Flag Means Death a essere più visto rispetto persino alla serie Marvel Moon Knight su Disney+. Addirittura, la serie ha scalzato The Book of Boba Fett come serie più richiesta negli USA, dopo la messa in onda dell’episodio finale.
Insomma, Our Flag Means Death è una serie che sulla carta non era stata costruita per il successo, ma che nonostante tutto ha ricevuto un’enorme visibilità e apprezzamento.
Ma di cosa parla? E perché questo successo è meritato? Lo vediamo meglio in questo articolo.

ATTENZIONE: Questo articolo contiene SPOILER su Our Flag Means Death
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La ciurma di Stede Bonnet (più Barbanera e Jack Rakham) in Our Flag Means Death
La ciurma di Stede Bonnet (più Barbanera e Jack Rakham) in Our Flag Means Death

La trama di Our Flag Means Death in breve

Per farla breve, Our Flag Means Death è una commedia di dieci episodi da circa 30 minuti l’uno.
La trama ruota attorno alle vicende di Stede Bonnet (Rhys Darby), un nobiluomo inglese che ha usato i propri soldi per comprarsi una nave e diventare un capitano pirata, così da vivere grandi avventure e sfuggire a una vita triste e insoddisfacente. Stede però, evidentemente, non ha la benché minima idea di come si “pirateggi”: odia la violenza, non è una persona rude, ama i suoi libri e i suoi vestiti, e in generale è una persona gentile e fiduciosa nel prossimo. Vorrebbe essere un pirata gentiluomo, insomma.

Ma il mondo attorno a lui non è altrettanto d’accordo. La sua ciurma è composta da una decina di tizi loschi e strani, ma a loro volta completamente incapaci come pirati. Gli abitanti della Repubblica dei Pirati non lo prendono minimamente sul serio. Ai nativi delle isole caraibiche Stede fa un po’ pena. Persino la marina inglese ride di lui.
Questo, finché Stede non uccide per sbaglio Nigel Badminton (Rory Kinnear), il capitano di una nave da guerra inglese e suo vecchio bullo d’infanzia. “Uccide”, nel senso che Badminton si impala da solo sulla propria spada dopo che Stede lo colpisce con un fermacarte.

Lezioni di buone maniere e lezioni di pirateria

Questo attira l’attenzione del più famoso e sanguinario pirata in circolazione: il famigerato Barbanera (Taika Waititi), che finirà per salvare Stede da un’imboscata spagnola.
Tuttavia, ben presto si capirà che Barbanera, ossia Edward Teach, è in realtà un uomo che si è perso nella sua stessa leggenda e che ormai non trova più nulla di interessante per cui vale la pena vivere. Questo pirata gentiluomo per Barbanera è una novità per ravvivare la giornata e ben presto si ritroverà sorprendentemente in sintonia con Stede, di cui in realtà apprezza gli interessi “insoliti” e la personalità gentile. Così, Barbanera si offre di insegnare a Stede come essere un vero pirata, e in cambio il gentiluomo gli avrebbe insegnato le buone maniere dell’alta società inglese.

Barbanera ha in realtà, però, un piano: aspettare che Stede muoia in un saccheggio, così da prenderne il posto nell’alta società inglese. In questo modo, il pirata si sarebbe potuto ritirare da quella vita insoddisfacente e avrebbe lasciato la nave e gli uomini al suo fedelissimo secondo in comando, Israel Hands (Con O’Neill), detto “Izzy”.
Peccato però che Barbanera si affezioni sul serio a Stede e alla sua ciurma di pirati incapaci. Stede riesce a vedere oltre alla maschera di Barbanera, riuscendo a far riemergere l’uomo sottostante, Ed. Insieme, i due riescono ad affrontare le loro paure e i traumi del loro passato.

Passi indietro e passi avanti: confrontarsi col passato, nel bene e nel male

Incarognito dal vedere il proprio capitano “rammollito” dall’influenza di Stede, Izzy tradirà Barbanera per vendere il pirata gentiluomo alla marina inglese e “salvare” il proprio capitano.
Tuttavia, Ed si offrirà di unirsi come corsaro alla marina inglese a patto che Stede abbia salva la vita, confessandogli il proprio amore. Stede ricambierebbe anche, ma è ammorbato dai sensi di colpa e dall’idea di rovinare le vite di coloro che gli stanno vicino. Così, decide di abbandonare la vita da pirata, e lasciare Ed senza dargli spiegazioni.

Tornato a casa, Stede però scopre che sua moglie, Mary (Claudia O’Doherty), si è rifatta una vita. Vedova felice e libera, si è dedicata finalmente ai suoi interessi e ha incontrato un uomo che la ama sul serio. Così, Stede e Mary organizzano un finto incidente, così che Stede possa essere definitivamente dato per morto ed entrambi possano liberarsi dal giogo della società per tornare alle vite (e agli uomini) che amano davvero.
Tuttavia, nel frattempo Ed non ha preso bene la scomparsa senza spiegazioni di Stede. Convinto da Izzy, in pubblico il pirata reprime il proprio dolore riprendendo la maschera di Barbanera, abbandonando parte della ciurma di Stede su un’isola deserta e rapendone l’altra metà (quella più o meno competente). Tutto questo, però, mentre nel privato Ed è devastato e più triste che mai.

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I baci queer di Our Flag Means Death
I baci queer di Our Flag Means Death

La pirateria come una rivincita delle realtà marginalizzate

In generale, Our Flag Means Death non è uno show che si prende sul serio. Spesso è un po’ ridicolo, dipinge scene surreali e non ha alcuna volontà di essere storicamente accurato.
Tuttavia, ciò in cui Our Flag Means Death riesce molto bene è dipingere alcuni aspetti molto specifici dell’esperienza di alcune realtà marginalizzate.

Quando la società “perbene” non ti accetta, ti crei la tua società…

I pirati di questa serie sono de facto tutte quelle persone che la società “perbene” ha messo da parte. Alcuni perché non sono bianchi, altri perché non sono eterosessuali, altri perché non sono cisgender, altri perché non rientrano nei parametri dell'”uomo mascolino”.
In tal senso, tutte queste realtà nella società “perbene” non potrebbero esistere alla luce del sole. Così, si ritrovano tutte insieme nell’unico spazio in cui possono esistere senza doversi nascondere: quello della pirateria, ossia di coloro che operano al di fuori delle leggi della società “perbene”.

E in questo spazio fuori dalle leggi, queste persone si creano una nuova comunità, una nuova famiglia. Lontano dal giudizio della società “perbene”, accettando le rispettive “””stranezze””” (Jim che non è né uomo, né donna; Lucius che ritrae i propri compagni che posano nudi; Buttons che parla col suo fedele gabbiano; Frenchie che crede che i gatti siano streghe e quindi animali pericolosissimi degni di essere ritratti su una bandiera pirata; Stede che ha una cabina armadio segreta piena di vestiti di broccato).

…a patto di avere le condizioni umane per poter vivere in tranquillità

La pirateria, anche nel mondo surreale e “puccioso” di Our Flag Means Death, non è assolutamente un ambiente composto solo da brave persone, ovviamente. Vediamo in questo ambiente gente senza troppi scrupoli come Izzy Hands, o Jack Rackham o Spanish Jackie.
Tuttavia, se in questo ambiente si danno le giuste condizioni (ossia il poter vivere in maniera dignitosa), persino i pirati di Barbanera sono contenti di poter vivere su una nave tranquilla.

In cui il capitano legge ad alta voce i romanzi facendo le vocine di ogni personaggio (quindi non ci si può ammutinare, perché altrimenti non si potrà conoscere il finale della storia!). In cui il capitano incoraggia l’equipaggio a parlare dei propri sentimenti. Dove ognuno può praticare i propri hobby senza essere giudicato. In cui il capitano fa cucire a ognuno una bandiera pirata e alla fine le appende tutte, manco fossero i disegni dei figli appesi sul frigorifero.

Insomma, Our Flag Means Death sottolinea come i pirati (ma in generale la maggior parte delle persone che vivono una vita di violenza al di fuori della legge) siano violenti non perché sono dei mostri. Al contrario, la violenza deriva dal fatto che, vivendo fuori dalla legge perché la società “perbene” li osteggia, non hanno altri mezzi per sostentarsi: per vivere, devono rubare.
Se, invece, a queste persone si dà uno stipendio, allora potranno vivere in maniera dignitosa e pacifica, senza ricorrere alla violenza. Ma se non hanno altri modi per sostentarsi, non li si può incolpare per vivere una vita di criminalità: la colpa è della società, non loro.

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Stede Bonnet nell'episodio finale
Stede Bonnet nell’episodio finale

Alcune parole conclusive

Su Our Flag Means Death ci sarebbe moltissimo da dire.
La serie fa un lavoro veramente notevole in termini di rappresentazione. Ha ben tre storie d’amore queer, esplicitamente rappresentate sullo schermo. Ha un personaggio (Jim Jimenez) che è esplicitamente non binario e che è interpretato da una persona non binaria (Vico Ortiz). La sua storia d’amore principale è tra due uomini, di cui uno di colore (Taika Waititi è di origini Maori). Una buona metà dei suoi personaggi non è bianca.
E nessuna di queste cose è forzata. Tutte e tre le storie d’amore sono rappresentate in maniera molto naturale. Il rapporto fra Stede ed Ed è sicuramente quello che riceve più attenzione e minutaggio, riguardando il protagonista, e si prende il suo tempo per costruire con cura il rapporto di amicizia e fiducia tra i due, prima di fare il salto romantico.

Difetti di Our Flag Means Death

Certamente, Our Flag Means Death non è perfetta.
Alcuni passaggi sembrano scritti in maniera piuttosto raffazzonata. Il passato del personaggio di Jim risulta meno incisivo rispetto a quello di Stede ed Ed (nonostante gli sia dedicato quasi un intero episodio) e il suo rapporto con la suora che l’ha creasciutə è un po’ traballante. Si affronta relativamente poco la questione del razzismo e della schiavitù, anche se le parti che ne parlano sono veramente ben fatte.
Alcune questioni spinose sono risolte in maniera piuttosto semplicistica, come nel caso di Mary che accetta senza problemi che Stede sia innamorato di un uomo.

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Jim Jimenez e Oluwande Boodhari in Our Flag Means Death
Jim Jimenez e Oluwande Boodhari
Una serie che dà un “lieto fine” alle ferite delle persone marginalizzate

Tuttavia, credo di poter dire che a Our Flag Means Death queste cose si possoano perdonare.
Da un lato, perché è evidente che si tratti di un’opera con poco budget e fatta da gente per lo più inesperta, ma con tanta passione. Quindi, credo sia importante premiare questa passione, anche perché comunque il prodotto finale è godibilissimo e di qualità piuttosto buona.
Dall’altro, perché questa serie è evidentemente una commedia che non si vuole prendere sul serio e che in molti casi non vuole affatto essere realistica. Non è una accurata rappresentazione della realtà storica o una profonda analisi dell’animo umano. Non è Black Sails, insomma.

(Per chi non lo sapesse, Black Sails è un’altra serie sui pirati. Estremamente ben fatta, anche Black Sails parla dei pirati come di soggettività marginalizzate. Tuttavia, Black Sails è un dramma semi-storico che si prende molto sul serio e che si fregia di alcuni fra i migliori dialoghi mai scritti. Non ha molto senso paragonare Our Flag Means Death con Black Sails, almeno non in questi termini.)

Al contrario, Our Flag Means Death è una serie che vuole essere in qualche modo, forse, quasi in grado di curare le ferite che la società infligge su coloro che ritiene “diversi”. È una serie che dice che, in qualche modo, “andrà tutto bene”, che ci sarà un lieto fine.
Certo, la prima stagione si conclude con una nota amara, ma credo siamo tutti piuttosto certi che Stede ed Ed si riuniranno e avranno un lieto fine. Perché le difficoltà ci sono, i traumi personali esistono e hanno il loro peso. Ma alla fine, anche i “diversi” possono crearsi la loro pace, la loro società, la loro famiglia.
Ed ecco perché, almeno io, a Our Flag Means Death posso perdonare le scene raffazzonate e il poco realismo.

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