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Horror – Un genere di denuncia

Per decenni il genere horror è stato lo specchio dei tempi e della società. Con il suo modo unico di portare alla luce le paure più profonde dell’uomo ha anche saputo aggirare le regole per mostrare le lotte che la società moderna si è trovata ad affrontare dagli anni Sessanta in poi. 

Perché gli anni Sessanta sono così importanti per il genere Horror?

Gli anni Sessanta rappresentano un punto di non ritorno. Per la prima volta il sistema degli Studios e le regole che hanno caratterizzato l’industria cinematografica degli anni d’oro cominciano a non funzionare più. La società sta cambiando e con essa anche le richieste che gli spettatori hanno per il cinema. 

Il linguaggio cinematografico cambia anche grazie all’influsso del cinema europeo. Soprattutto delle pre-avanguardie, le cui storie alimentano l’immaginario di registi emergenti che cercano una nuova forma di comunicazione. I risvolti psicologici e soprannaturali si usano per commentare e supportare le crescenti tensioni sul genere, la sessualità, la razza e l’abuso domestico. Non è solo Hollywood a cambiare, ma anche, e soprattutto, la società americana.   

Ben presto nuovi temi trovano una via per accedere al grande schermo. Ad esempio le proteste contro la guerra del Vietnam, i problemi razziali evidenziati dal Movimento per i Diritti Civili. Oppure, ancora, la paura del diverso e l’abuso domestico. Si usa un genere che considerato di Serie B  non era soggetto allo stesso severo scrutinio della censura. La censura che invece caratterizzava e zittiva il cinema di primo intrattenimento. 

Se negli anni Cinquanta il genere horror si incanalava nel filone fantascientifico, con alieni e mostri generati dalle radiazioni, eco del timore generato dalle crescenti tensioni tra USA e URSS, negli anni Sessanta il genere incontra uno dei più grossi cambiamenti. 

L’orrore non è più generato da creature, ma da persone perfettamente umane. Si apre così l’era dell’horror psicologico.   

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L’horror psicologico nel cinema

Ad aprire questa nuova era è proprio Alfred Hitchcock che con Psycho (‘60). Con questo film offre allo spettatore un primo sguardo sul terrore generato da un uomo all’apparenza normale, ma che si rivela essere il vero mostro. 

A seguire questa scia sono film come Peeping Tom (‘60) di Michael Powell. Qui un uomo riprende la morte delle donne che uccide per ricordare la loro espressione di terrore.

Repulsion (‘65) di Roman Polanski dove una giovane donna, instabile mentalmente, interpretata da Catherine Deneuve, vive allucinazioni al limite della violenza quando si rende conto del fatto che gli uomini la desiderino.   

Ma soprattutto Rosemary’s Baby (‘68) sempre di Roman Polanski. La storia è quella di una giovane moglie, presto incinta, comincia a sospettare che i suoi vicini possano far parte di una setta demoniaca e abbiano come scopo quello di usare il suo bambino per i loro rituali. 

Questi film rappresentano anche l’inizio di un trend che vedrà il suo apice negli anni Settanta, quello di una maggiore violenza rappresentata sullo schermo. 

Ed ecco come tematiche quali la velata denuncia sui segreti oscuri di Hollywood. Tra i più famosi quelli su Hitchcock che fu accusato di molestie nei confronti di Tippi Hedren sul set de Gli Uccelli. Oppure Polanski, ancora ricercato per lo stupro di una minorenne e, a causa di questo, non può mettere piede negli Stati Uniti. 

Accanto a questa denuncia sottile, altre tematiche, ugualmente delicate, si trattano molto più apertamente. Ad esempio la critica alle religioni organizzate. Oppure la denuncia della violenza domestica fino ad adesso ignorata o accettata, si affrontano apertamente in un film in cui il protagonista è una donna. Queste verranno discusse, nella vita di tutti i giorni, da quella che viene indicata come la Seconda Ondata di Femminismo. 

Horror Polanski

La fine del “Codice Hays”

Il codice, che prende il nome dall’allora presidente dei produttori e distributori d’America, è un autoimposto elenco di regole che tutti i film prodotti e distribuiti dal 1934 al 1968 dovevano seguire. Proibisce la profanità, l’esplicita nudità, la violenza grafica o troppo realistica, lo stupro e impone un estremo limite alla rappresentazione di personaggi LGBTQ+ sullo schermo. 

Essendo gli anni Sessanta, anni di rottura delle regole, si fa sempre meno attenzione a ciò che si riteneva moralmente accettabile. Questo favorisce la rottura, seppur all’inizio velata, delle regole. L’horror è il genere perfetto per rompere definitivamente con il codice. 

Ma cosa vuol dire precisamente? Che i registi potevano trovare vie alternative per sviare l’attenzione e introdurre tematiche prima tabù come nel caso del film The Hunting (1963) di Robert Wise. Il tema del soprannaturale diventa strumento per trattare la tematica della malattia mentale, fino allora tabù, ma anche quello dell’omosessualità femminile. 

Solo grazie ad una già rodata tendenza ad usare l’omosessualità come metafora per indicare il mostro ed il diverso, l’omosessualità del personaggio di Claire Bloom può essere almeno accennata. Questo crea però il rischio oggettivo di demonizzare ulteriormente i personaggi queer con stereotipi dannosi. 

Ma andiamo ad analizzare il padre putativo del genere horror!

Quando un film diventa, senza volerlo, un’icona: la Notte dei Morti Viventi 

Il film di George A. Romero del 1968 è forse l’esempio più eclatante di come il cinema possa essere usato come denuncia contro uno dei più radicati problemi della società: il razzismo. 

Parliamo di un periodo in cui si scrivevano le sceneggiature senza avere un casting già chiaro in mente. Non c’erano gli Studios ad imporre questo o l’altro attore, men che meno in un genere di serie B. Il processo creativo di scrittura era completamente nelle mani di chi scriveva per mestiere. 

Quando i morti tornano in vita, un gruppo di persone deve lavorare insieme per cercare di sopravvivere. Ma le tensioni si fanno presto sentire e le divisioni indeboliscono i protagonisti. Chiaro rimando alle tensioni sociali che dividono l’America di quegli anni. Per la prima volta il personaggio principale è di colore. Ma non è stato creato per essere di colore, né per essere semplicemente più intelligente. Questo perché, come già detto, quando il personaggio di Ben, interpretato da Duane Jones, veniva scritto, non gli era ancora stata assegnata una “razza”, ma la caratterizzazione di leader. 

Jones riceve piena libertà su come caratterizzare il suo personaggio e su come questo interagisca con gli altri. La sfiducia ed il dubbio che la sua presenza scatenano, il modo in cui viene trattato anche quando salva gli altri, ma soprattutto la sua interazione con Barbara (Judith O’Dea), sono lasciate all’attore, così come il manierismo che precede la scena finale.

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Quello che rende il film un esempio di come l’horror possa essere usato in funzione della critica al razzismo è appunto il finale. Quando Ben, dopo essere riuscito a sopravvivere per un’intera notte al massacro che gli zombie compiono, sente arrivare la Guardia Civile. Esce dalla fattoria in cui aveva trovato rifugio e comincia a gridare, sbracciandosi:

Non sparate. Non sparate. Sono vivo

Quello che succede è chiaro allo spettatore ormai abituato agli stereotipi di cui Hollywood è ricca. Ben viene scambiato per uno zombie, che a quei tempi venivano ancora chiamati ghouls. Il suo destino è di venire ucciso ed il suo corpo gettato nella pira che stava già distruggendo i corpi di coloro che erano morti durante l’attacco notturno. 

I giorni nostri nell’Horror

I tempi cambiano, ma non la funzione che il genere horror può ancora svolgere. Serve ad evidenziare quei lati oscuri della società di cui ancora oggi non si parla abbastanza. O forse di cui si parla troppo ma nella maniera sbagliata…

Portavoce di questa funzione del genere è senza dubbio Jordan Peele che, non solo con Get Out del 2017 porta un horror alla vittoria dell’Oscar per la migliore sceneggiature originale. Prosegue inoltre il lavoro dei registi che lo hanno preceduto nella denuncia, a volte spietata, della società in cui ci troviamo a vivere. 

I problemi sono cambiati e dunque nelle opere di Peele vediamo affrontati vari temi. La schiavitù e il modo in cui alcuni esponenti della cultura woke rischino, in maniera intenzionale o meno, di rendere le cose ancora più difficili per la popolazione di colore, anche se la loro volontà è quella di supportare la comunità.

La divisione tra i due tipi di America, dove una parte della popolazione vive alla luce del sole, con stipendi che permettono di comprare casa e usufruire di tutti quei privilegi che il sogno americano ha promesso, mentre l’altra vive nella povertà, con stipendi che a volte non raggiungono neppure il minimo sindacale, in quartieri pericolosi, esposta ad ogni genere di violenza. Divisione che porta ad all’esacerbarsi della xenofobia e del razzismo. 

La volontà di shockare il pubblico con immagini di inaudita violenza alla quale siamo ormai desensibilizzati. Il disperato tentativo di raggiungere la notorietà. Anche se questo vuol dire rischiare la propria incolumità o la pace mentale ed emotiva della famiglia delle vittime.  

Horror Get Out

Riparare agli errori del passato

In ultimo si deve all’horror anche la capacità di porre rimedio agli errori commessi nel passato. Se la stereotipizzazione di personaggi queer ha sia permesso la loro rappresentazione, seppur marginale, sia reso le cose ancora più difficili per la comunità LGBTQ+, oggi le cose sono cambiate drasticamente. 

Così si vede la nascita di prodotti come Demonhunter di Tim O’Leary. Una miniserie horror il cui cast è composto interamente da membri della comunità LGBTQ+.  

Autoprodotta, ma mandata in onda da Here TV, questa miniserie che non si spaventa nel ribaltare gli stereotipi di genere e mostrare uomini nudi e donna vestite, ha trovato una sua nicchia di pubblico ed appassionati. Vediamo quindi così non solo che il genere sia tutt’altro che morto, ma rappresenti ancora oggi un modo per ascoltare voci nuove ed una volta ai margini e le storie che hanno da raccontare. 

Ad indicare quanto importanti siano i cambiamenti di questo genere, Hollywood Museum ha dedicato alla serie un’esposizione permanente per celebrare il suo essere pioniere di una nuova visione dell’horror stesso.    

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