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Freaks Out: il biglietto da visita di Gabriele Mainetti

Perché il nuovo film di Gabriele Mainetti, Freaks Out, è stato posticipato per farlo uscire al cinema? Qual è il suo pubblico ideale?

Questo articolo è senza spoiler!

Mi ricordo di aver visto un trailer. Un trailer che finiva con la scritta “16 dicembre 2020”. Un trailer che, in tempo di pandemia, mi dava qualcosa da aspettare. Era il trailer di Freaks Out, il secondo film di Gabriele Mainetti.
Io all’epoca non lo sapevo, ma a quel punto la data di rilascio era già stata posticipata una volta – maledetto Covid. Poi tante altre cose sono successe, e siamo arrivati fin qui.

Ho voluto vedere Freaks Out il giorno stesso della sua uscita in sala, il 28 ottobre. Non perché io sia un tipo da hype. Anzi, io e l’aspettativa non andiamo molto d’accordo.
No: ho voluto esserci perché avevo tante domande, cresciutemi in petto per mesi, e mi volevo rispondere. E la prima tra tutte era: come mai, ovvietà a parte, il rilascio è stato posticipato così tanto, preferendolo comunque alla pubblicazione online?
E devo dire che sono uscita dalla sala soddisfatta, perché le risposte sento di averle trovate.
In questo articolo vedremo brevemente di cosa parla Freaks Out, i suoi pro e i suoi contro, ma soprattutto perché questo film è stato posticipato così tanto, per farlo uscire per forza al cinema.

Di cosa parla Freaks Out?

Se mi seguite da un po’ sapete che io non faccio recensioni. Tuttavia, non posso portarvi con me in questo discorso senza darvi prima del contesto.
Quindi, due cosine sul film, tutte spoiler free.

Siamo a Roma nel 1943 (anno in cui si verificò il rastrellamento del ghetto cittadino). Abbiamo un circo di outcast: il proprietario, Israel (perché un nome più didascalico non l’avevano trovato); l’uomo-lupo Fulvio, che oltre all’ipertricosi ha anche l’iperforza; l’albino Cencio, che controlla gli insetti; il nano Mario, inspiegabilmente magnetico; e la giovanissima Matilde. Lei, in apparenza la più “normale”, è quella che s’è beccata la sfiga peggiore: non può essere toccata, perché dà potenti scosse.
Ma coi nazisti è arrivato in città un altro circo, il Zirkus Berlin, guidato da un emarginato decisamente meno simpatico e pronto a dar loro la caccia per motivi misteriosi.
Il film è un fantasy (infatti non ci sono i Fascisti) in cui si alternano momenti che fanno sorridere ad altri decisamente più drammatici, il tutto infarcito di scene d’azione che di rado si vedono nel cinema italiano.

I protagonisti di Freaks Out. Da sinistra a destra: Cencio, Israel, Matilde, Fulvio e Mario.
I protagonisti di Freaks Out. Da sinistra a destra: Cencio, Israel, Matilde, Fulvio e Mario.

I pro e i contro del film

Ora, per levarci tutti i sassetti dalle scarpe e per proseguire con il discorso senza se e senza ma, vi lascio qui in breve le cose che mi sono piaciute e quelle che non mi sono piaciute. Partiamo da queste ultime.

I contro del film secondo me sono:
  1. C’è troppa roba;
  2. Le motivazioni dei personaggi non sono sempre chiare;
  3. I dialoghi, in cui si passa da scambi molto veri ad altri finti come una moneta da 3€;
  4. C’è troppa roba;
  5. Riferimenti e situazioni scollegati dalla trama, buttati un po’ lì;
  6. La sceneggiatura non fortissima (soprattutto se avete visto almeno un film neorealista e Dark Phoenix);
  7. C’è troppa roba;
  8. C’è troppa roba.
I pro, invece, sono:
  1. Max Mazzotta;
  2. Non si vede in faccia Claudio Santamaria;
  3. Alcune battute sinceramente divertenti e momenti genuini;
  4. 141 minuti di durata che non avrei sofferto se solo avessero fatto l’intervallo, permettendomi di andare in bagno;
  5. Sequenze di azione a cui in un film italiano non siamo abituati;
  6. Il tocco “dark” alla Resistenza.

Non mi accodo a chi l’ha già definito un capolavoro, perché Lo chiamavano Jeeg Robot (opera prima di Mainetti, 2015) ha fatto molto di più con un decimo del budget. Ma non sono qui per parlare di questo.

Un film costantemente posticipato

Freaks Out viene girato nel 2018 tra il Lazio e la Calabria.
Ben presto ha inizio la storia dei rimandi. Infatti, mentre da principio sarebbe dovuto uscire in sala nel 2019, per via della lunga post produzione la data di rilascio viene fatta slittare a “non prima di gennaio 2020”. Che poi diventa “22 ottobre 2020”. Che poi diventa “16 dicembre 2020”. E che poi diventa (e rimane, finalmente) “28 ottobre 2021”.

Ora, purtroppo a questo gioco di rimbalzi ci siamo abituati a causa della pandemia, però a me la curiosità era venuta.
Infatti, perché questo film è stato spostato tanto in là, pur di farlo uscire in sala (e non solo: in una sala finalmente frequentata!) mentre per altri si è optato per l’online?
Se Mulan (2020) è stato rilasciato on demand perché Disney potesse prendere il polso delle nuove piattaforme, e se Favolacce dei D’Innocenzo ha subito la stessa sorte forse per mancanza di fiducia, qual è il deal con Freaks Out?

Gabriele Mainetti, regista di Freaks Out. Foto di Vittorio Zunino Celotto/Getty Images
Gabriele Mainetti, regista di Freaks Out. Foto di Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Perché Freaks Out doveva per forza uscire al cinema: una questione di pubblico

La risposta che mi sono data risiede nel film stesso. Perché, dopo pochi minuti dall’inizio, ho iniziato a chiedermi: per chi è pensato questo film?

Non tanto per il mercato domestico.
Infatti, uno dei selling point più appetibili per il pubblico nostrano generalista è la presenza di Claudio Santamaria. E a Claudio Santamaria ricoprono la faccia di peli, tanto che in molti ci siamo chiesti, vedendo i trailer e leggendo il suo nome: “ma ‘ndò sta?”.
E anche il gusto neorealista, Bella ciao (che oggi ricorda dolorosamente più che altro La casa di carta) e i tanti elementi che dicono “italianità” non credo fossero lì per noi.

No. Nonostante quelle che furono le gelosie di Paolo Del Brocco nel 2018, che puntava a custodire Freaks Out per consegnarlo al resto del mondo solo in un secondo momento, il film è chiaramente pensato per rivolgersi al mercato internazionale.
E forse è proprio questa la sua vera forza: il desiderio, la voglia di staccarsi da ciò a cui ci siamo abituati nel nostro ristretto panorama e fare di più.

E infatti l’investimento c’è stato. Freaks Out è costato più di 12 milioni di euro.
Ok, non sono niente rispetto alla vertiginosa cifra di 300 milioni di dollari dati alle fiamme per Mulan (2020), ma qui ciò che conta è il contesto. E per le produzioni italiane 12 milioni sono tanti:

  • Lo chiamavano Jeeg Robot è costato 1,7 milioni (2015);
  • Favolacce del mio cuore 2 milioni (2020);
  • La grande bellezza di Sorrentino 9,2 milioni (2013);
  • Pinocchio di Garrone 11 milioni (2019).

E con 12 milioni, Mainetti ha fatto molto di più di quanto ci si potesse aspettare. Mentirei se dicessi che non rimane a volte il sapore di “posticcio”, ma l’impegno c’è e si vede.

Conclusioni: Freaks Out doveva uscire al cinema perché è il biglietto da visita di Mainetti al pubblico internazionale

Freaks Out è una scommessa, una scommessa che si deve vincere. E una scommessa così si vince nelle sale, nei festival, nel mondo, non online.
E se da una parte ha il difetto di non raccontare veramente una storia (o di raccontarne troppe, finendo per non raccontarne nessuna), dall’altra è un display.
Un biglietto da visita perfetto di ciò che Mainetti è oggi e vorrebbe essere domani. Della sua volontà di raccontare i super, ma all’italiana. Di crescere e uscire da un mercato nostrano, troppo piccolo per molti artisti.
E io, pur avendo preferito il suo Jeeg ai suoi Freak, gli auguro sinceramente di farcela.

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