Oggi diamo un’occhiata a The Wild Beyond The Witchlight, il nuovo manuale per Dungeons and Dragon’s Quinta Edizione. The Wild Beyond The Witchlight ha l’oneroso compito di far cominciare una nuova linea narrativa; similarmente a Rime of the Frostmaiden, Tiranny of Dragons e Dragon Heist). Di che manuale stiamo parlando? Come sarà l’Adventurer’s League(AL)? Lo scopriamo in questa recensione, ricca di spoiler e commenti.
Che la linea editoriale della Hasbro avesse optato per un guinzaglio molto più corto sulla linea creativa era già palese nella lettura della quinta edizione: la libertà di creazione e modifiche, tanto malvista da alcuni tanto accolta da altri, è il segno che ha contraddistinto D&D 5E dalle sue edizioni precedenti. Non stupisce, quindi, il trovarsi – con The Wild Beyond The Witchlight – davanti ad un manuale che entra nel multiverso – un po’ come l’MCU – e vi ricama sopra una storia piacevole, caratterizzata e molto ispirata. Si sta seguendo un percorso annunciato molto tempo fa (anche se abbandonato in qualche occasione).
La sinossi è questa: gli eroi partecipano ad un circo itinerante, scoprendo che un semipiano fatato, il Prismeer, è caduto in mani diaboliche. Tre streghe hanno difatti usurpato la precedente entità fatata e soggiogato questo semipiano, da cui il circo trae forza e potere. Sarà compito degli eroi rimettere il Prismeer nelle mani della sua precedente proprietaria e salvarne le entità fatate.
Il Prismeer, un compromesso vincente
Volendo soffermarsi proprio sul semipiano dove avviene la vicenda, The Wild Beyond The Witchlight si svela essere decisamente furbo; il Prismeer è difatti solo una parte del Feywild (infinito e molto distante dal Piano Materiale). Questo suo “essere solo un pezzo di” funge perfettamente da Sandbox lasciando intatta l’illusione che ci sia qualcosa di esteso ma limitando lo spazio dei giocatori al gestibile. Non ci troviamo quindi di fronte ad una campagna Sandbox (alla Rise of Tiamat) ma ad una che finge di esserlo.
Per farvi un’idea di cosa sia il Prismeer, immaginatevi l’Averno descritto in Descent into Avernus e spaccatelo fino ad ottenerne tre parti. Il semipiano, difatti, è separato tre regioni, ciascuna governata da una strega facente parte della congrega: le zone da esplorare sono quindi poche e facilmente gestibili dal narratore. I piani, d’altronde, sono strumenti da utilizzare con giocatori molto esperti e solo dopo un certo periodo; non stupisce che si sia optato per una scelta simile. La campagna, che porta i giocatori dal 1° all’8° livello, evita di portare i giocatori dove non possono essere controllati.
D’altra parte, però, si sottolineano i problemi che Dungeons and Dragon ha sempre avuto strutturalmente:
- La necessità di avere campagne scritte si oppone con il livello alto dei personaggi e la loro possibilità di evitare qualsiasi ostacolo. I livelli delle campagne sono difatti sempre sotto il 10 con pochissime eccezioni, un problema di design abbastanza palese e quasi controintuitivo.Ai tempi della 3.5 si aveva provato a tamponare il problema con un blocco a livello 6, ma come si può notare il problema è cronico.
- La necessità di offrire nuovi spazi per i creator si mal conforma con la necessità di avere qualcosa di canonico; se è un bene che ai creatori venga lasciato più spazio, d’altra parte si avranno per forza di cose avventure meno localizzate temporalmente e spazialmente; The Wild Beyond The Witchlight porta l’avventura su un proprio semipiano (sorvolando quindi il problema) ma è un problema evitato, non risolto.
È arrivato il circo in città
Tornando a parlare di The Wild Beyond The Witchlight, la campagna comincia con un circo itinerante. Nulla di nuovo, anche qua: Chrono Trigger, Carnival – modulo di 2E – o la seconda campagna di Critical Role avevano già questi temi principali. Il Witchlight Carnival, essendo itinerante, può presentarsi in qualsiasi ambientazione: ottimo per aggiungere qualcosa a qualsiasi modulo stiate giocando in questo momento; il luogo è ovviamente pieno di attività, personaggi strambi ma curiosi e tantissimi misteri.
Le attività del circo sono un modo per accumulare cameo, riferimenti e altro che avverranno nella campagna. Non si tratta del sistema dei tarocchi di Barovia ma ne condivide la sensazione; una vittoria alla gara dei rutti tornerà e farsi sentire quando si tratterà di parlare con la grande rana ed una competizione di mimo potrà aiutare a scappare dalla gabbia di forza (sono esempi). L’intero capitolo sottointende una capacità mediocre a salire del narratore di riuscire ad interpretare personaggi differenti.
Oltre a proporre nuovi personaggi e situazioni, The Wild Beyond The Witchlight propone due ganci narrativi piacevoli e semplici da adattare: uno più classico (e, personalmente, abbastanza anonimo per quanto intrigante) ed un altro potentissimo che, personalmente, metterei quasi come obbligatorio. Se il circo, coi suoi personaggi e situazioni, sottolineava al narratore la necessità di una preparazione quasi attoriale, il gancio narrativo lo richiede ai giocatori. The Wild Beyond The Witchlight – come si scrive nel manuale – è affrontabile anche senza combattere: ben vengano quindi attori e interpretatori novizi.
Giocare coi piani è pericoloso, ma non qua
Arrivati quindi sul nostro semipiano, ai giocatori toccherà mettere le cose a posto. Ogni “regione del semipiano” è ben caratterizzata, con un grosso problema a fare da tema principale e tanti dettagli ad arricchirlo; l’intero capitolo mi ha ricordato un po’ la creazione dei quartieri di Cityscape (3.5). Per passare da un piano a quell’altro è necessario trovare la strada, indicata da un png particolare che racchiude un po’ il tema stesso della regione.
Di fronte a tanta vastità abbiamo sia un percorso delineato per il proseguimento della trama (lasciato libero per esigenze puramente estetiche) sia incontri casuali. Concentrandoci su quest’ultimi, ogni incontro, creatura o mistero è perfettamente inclusa nel tema regionale, aiutando quindi l’immedesimazione con mostri ad HOC come ormai la Wizzy ci ha abituato.
Il percorso delineato è scritto bene: ci sono tante situazioni dove la sfida è legata più ad interpretazione che semplice approccio tecnico ai problemi, tenendo fede alla premessa della campagna senza alcun conflitto; alcune situazioni potrebbero essere davvero troppo difficili per essere affrontate di petto, altre fin troppo semplici. Il comparto della campagna nei tre capitoli centrali, quindi, è decisamente solido e si lega bene con il capitolo del circo.
Grandi rivelazioni, enormi oggetti magici e png
Il capitolo finale è ovviamente quello più complesso a livello di gestione, nonché quello meno interpretativo: un enorme dungeon che strizza l’occhio al fatato fiabesco e mette i giocatori di fronte a sfide davvero travolgenti. Come nel precedente Dragon Heist e in Rime of the Lost Frotmaiden, abbiamo:
- mostri enormi da evitare come la peste, pena un brutto tpk o la morte dei personaggi ad un passo dal gran finale; è la situazione analoga a Jarlaxe per DH, o Auril per ROTF: statisticamente inaffrontabili.
- PNG famosi e riferimenti al mondo. Questi sottolineano la disparità di livello tra eroi e ambientazione e servono a contenere la situazione. È il caso di Vajra Safahr in DH, un arci mago portato a trattare con degli eroi di quartiere, o la stessa Laeral Silverhand.
- un gruppo di antagonisti simili agli eroi che, come loro, cercano di raggiungere il loro obiettivo: una sfida alla portata dei personaggi da tenere da sfondo mentre i grossi png risolvono la situazione.
Sul finale, abbiamo le consuete creature aggiuntive (alcune davvero, davvero carine), oggetti magici che spaziano da potenti artefatti a indumenti assolutamente comuni e cosmetici (penso sorridendo al mantello sempre svolazzante) ed una comoda, quanto pratica, carta riassuntiva per i PNG della campagna. Quest’ultima utilissima, dal momento che le comparse sono davvero tantissime e sfogliare il manuale risulterebbe sfibrante.