Candidato a sei Premi Oscar, Jojo Rabbit è una commedia drammatica liberamente ispirata al romanzo Caging Skies di Christine Leunens. Caratterizzato da una dose abbondante di black humor, il film ha inizialmente diviso le opinioni del pubblico per il suo controverso approccio alla delicata tematica dell’olocausto, per poi conquistare i cuori di (quasi) tutti e lasciarci con una domanda: c’era davvero bisogno di ridere di Hitler, in questo momento? Scopriamolo insieme!
SPOILER ALERT: nella recensione non incapperete in spoiler di trama (a meno di andare ad aprire le apposite tendine), sempre che non consideriate tale il fatto di scoprire chi abbia vinto la Seconda Guerra Mondiale.
TRAMA
Ci troviamo nella Germania nazista del 1945 e Johannes “Jojo” Betzler (Roman Griffin Davis) è un timido ragazzino di dieci anni che vive con la madre Rosie (Scarlett Johansson), in una grande casa vuota. Il padre, infatti, è partito per la guerra (si suppone sia di stanza in Italia ma non dà sue notizie da tempo) mentre la sorella Inge è morta per una malattia. A sostenere Jojo nelle piccole battaglie quotidiane, per fortuna, c’è il suo buffo amico immaginario nonché idolo assoluto: Adolf Hitler.
Insieme al suo amichetto Yorki (Archie Yates), Jojo partecipa all’addestramento della Deutsches Jungvolk, un gruppo della Gioventù Nazista gestito dal Capitano Klenzendorf (Sam Rockwell) con il suo vice Fred Finkel (Alfie Allen) e Fraulien Rahm (Rebel Wilson). A causa del suo carattere timido e timoroso, il giovane protagonista finisce per essere oggetto di scherno da parte dei compagni, che lo soprannominano “Jojo coniglio”.
Nel tentativo di dimostrare il proprio coraggio, Jojo rimane ferito nell’esplosione di una granata e, una volta uscito dall’ospedale, viene dispensato dal servizio e rimandato a casa con una gamba malconcia e il volto attraversato da profonde cicatrici. A seguito dell’intervento della madre, la quale intima al Capitano di trovargli qualcosa che lo faccia sentire incluso, Jojo viene incaricato di affiggere volantini e raccogliere cascame. Trovandosi solo in casa, un giorno sente dei rumori provenire dal piano di sopra e scopre Elsa Korr (Thomasin McKenzie), una giovane ragazza ebrea che vive nascosta nell’intercapedine di una parete.
Ed è da qui che la storia si fa interessante, in un intreccio strettissimo tra i pregiudizi instillati dal regime e la genuina curiosità di un ragazzino, il tutto accompagnato da una satira che smonta il linguaggio dell’odio a colpi di sorrisi.
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE
Taika Waititi – noto al grande pubblico per aver diretto Thor: Ragnarok (2017), un episodio di Mandalorian e l’apprezzato mockumentary Vita da Vampiro: What We Do in the Shadows (2014) – oltre ad interpretare una versione quasi cartoonesca del Führer, ha anche diretto, sceneggiato e co-prodotto Jojo Rabbit. Insomma, a momenti ci mancava solo che si occupasse di portare i caffè e le ciambelle sul set!
Un tale coinvolgimento trasversale potrebbe far temere un risultato approssimativo (basti pensare allo scempio di Adrian) ma non è certo questo il caso. Inoltre, il regista non è certo alla prima apparizione in una sua pellicola: possiamo ritrovarlo letteralmente in ogni lungometraggio da egli diretto fino ad ora, senza esclusioni. Da notare, infine, che si sia occupato anche di tutte le sceneggiature (tranne di quella del blockbuster Marvel) e di una buona metà delle produzioni.
Dopo la presentazione al 44° Festival del Cinema di Toronto ad inizio settembre, la distribuzione della pellicola è partita in punta di piedi limitandosi a pochi selezionati cinema verso la metà di ottobre ed arrivando in tutti gli USA soltanto l’8 novembre. A tre mesi dalla sua uscita americana, Jojo Rabbit è finalmente approdato in Italia lo scorso 16 gennaio.
DIFFERENZE CON IL LIBRO
Per quanto riguarda la sceneggiatura, il film è ispirato al romanzo Caging Skies (2004) di Christine Leunens, uscito in Italia nel 2008 con il titolo Come Semi d’Autunno (citato nella pellicola) e tornato nelle librerie lo scorso anno come Il Cielo in Gabbia.
C’è da dire che l’adattamento cinematografico si discosti parecchio dal libro, ad esempio preferendo ritrarre Jojo come un bambino tedesco di dieci anni invece di un diciassettenne nell’Austria nazista del 1943. Un’altra differenza importante è data dal fatto che il Jojo teenager, nel romanzo, vada effettivamente a combattere al fronte e ritorni a Vienna solo in seguito ad una ferita di guerra, con tanto di amputazione parziale di un arto e paralisi facciale, per scoprire che i suoi genitori (entrambi presenti) abbiano nascosto una ragazza ebrea nella soffitta di casa ad insaputa dell’anziana nonna. Inutile dire, infine, che non ci sia traccia di Hitler tra i personaggi, né come amico immaginario né in carne ed odio.
PREMI
Jojo Rabbit è stato candidato a sei Premi Oscar (miglior film, attrice non protagonista, sceneggiatura non originale, scenografia, montaggio e costumi), due Golden Globe e sei BAFTA.
Nel complesso, ha totalizzato ben 46 candidature e, finora, ha portato a casa sette premi:
- Miglior sceneggiatura internazionale (AACTA Award) a Taika Waititi
- Miglior sceneggiatura non originale (Hollywood Critics Association Awards) a Taika Waititi
- Miglior montatore in un film commedia o musicale (American Cinema Editors) a Tom Eagles
- Eccellenza dei costumi per un film storico (Costume Designers Guild Award) a Mayes C. Rubeo
- Miglior giovane attore (Critics’ Choice Movie Awards) a Roman Griffin Davis
- Miglior fotografia (Hollywood Film Awards) a Mihai Mălaimare Jr.
- Miglior scenografia (Hollywood Film Awards) a Ra Vincent
(Questa lista verrà aggiornata man mano che verranno assegnati i premi ad oggi pendenti.)
PREGI
Servirebbe un articolo a parte per elencare nel dettaglio tutti i punti di forza di Jojo Rabbit perché trovo siano davvero tanti, al punto da considerarlo uno dei film più interessanti che abbia visto negli ultimi anni.
Per prima cosa, la sinergia tra regia e montaggio (anche sonoro) risulta davvero efficace, con un gioco di rallenty che sottolinea i momenti drammatici ma, al contempo, spezza la tensione e non appesantisce troppo il cuore degli spettatori.
Per quanto riguarda le musiche che fanno da sottofondo al film, brani originali scritti da Michael Giacchino si alternano a versioni in lingua tedesca di classici quali I Want to Hold Your Hand dei Beatles o Heroes di David Bowie, completando l’atmosfera in modo impeccabile.
Poi è impossibile non apprezzare le performance degli attori tra cui spiccano quelle di Scarlett Johansson (candidata all’Oscar come migliore attrice non-protagonista), di Roman Griffin Davis (vincitore del premio Critics’ Choice Movie Award come miglior giovane attore) e dello stesso Taika Waititi, il cui personaggio risulta vitale per lo sviluppo della trama.
Man mano che Jojo matura una propria personale visione del regime, infatti, la sua proiezione di Hitler cambia e gli fa resistenza, probabilmente ad indicare il conflitto interiore del ragazzino, in un limbo tra ciò che gli è stato insegnato e quello che sta sperimentando in prima persona. Bisogna pensare che Jojo sia nato e cresciuto in una società intrisa degli ideali nazisti, con la convinzione che gli ebrei abbiano le corna e sappiano manipolare la mente degli indifesi ariani. Questo, inevitabilmente, porta ad un crollo delle sue certezze laddove si trova a scontrarsi con una realtà molto diversa da quella che immaginava.
DIFETTI
Trovare dei difetti a questo film, a mio del tutto opinabile parere, risulta davvero complesso. Dal punto di vista tecnico fila tutto liscio e anche le musiche, che inizialmente sembrano quasi fuori posto e anacronistiche, finiscono per intersecarsi alla trama come fossero tessere di un puzzle agrodolce. Sebbene siano state inserite canzoni pubblicate dopo il 1945, infatti, risulta efficace la scelta di utilizzare le versioni originali dei brani (ovvero quelle rifatte dagli artisti stessi per il mercato tedesco).
A voler proprio essere pignoli, l’interpretazione di Waititi perde leggermente intensità nella versione doppiata in lingua italiana e sarebbe stato interessante avere qualche dettaglio in più su alcune vicende della storia che risultano poco sviluppate ma, in questo caso, sta a voi scegliere se aprire o meno la tendina degli spoiler.
ACCOGLIENZA E CONCLUSIONI
In un primo momento, il film è stato accolto in maniera tiepida dalla critica a causa della tematica importante e del timore che essa non fosse stata trattata con la dovuta delicatezza. Waititi, invece, si dimostra essere la persona giusta per portare avanti un progetto così ambizioso: neozelandese di nascita, il regista ha il padre maori e ha firmato i suoi primi lavori come Taika Cohen, usando il cognome da nubile della madre, di origini ebraiche. Già il solo fatto di trovarci davanti ad un Führer tutt’altro che caucasico è un twist interessante e dovrebbe essere sufficiente a mettere a tacere le polemiche che considerano irrispettosa o azzardata la scelta di girare una pellicola del genere.
È bene ricordare che Jojo Rabbit non arrivi dal nulla e che non sia, di per sé, rivoluzionario: questa pellicola si inserisce, infatti, in una lunga tradizione di opere che hanno fatto dello scherno ad Hitler il proprio fulcro, già durante il regime, due su tutte Il Grande Dittatore(1940) di Charlie Chaplin e Vogliamo Vivere!(1942) di Ernst Lubitsch.
Allora perché si è sentito il bisogno di portare nelle sale qualcosa di analogo, in questo momento? Forse la motivazione è da ritrovare proprio nel rifiorire di idee e atteggiamenti intolleranti, riflessi anche nei voti presi negli ultimi anni da partiti nazionalisti a matrice razzista.
Il film stesso ha incontrato parecchia resistenza da parte delle case di produzione, basti pensare che la sceneggiatura fosse pronta già nel 2011 ma ci siano voluti sei anni perché qualcuno si prendesse la responsabilità di considerarlo e finanziarlo. Che sia anche perché queste tematiche fanno paura, laddove si ha un riscontro reale nel quotidiano oppure ha prevalso il timore di non riuscire a portare gli spettatori in sala?
In conclusione, Jojo Rabbit ha tutto quello che si possa desiderare: è divertente, drammatico, commovente, sfaccettato ed estremamente potente nel muovere una critica tagliente all’ideologia dell’odio. In un momento come questo, forse, c’era davvero bisogno di ribadire il concetto.