Il dado. Croce e delizia della maggior dei giocatori, che sia un gioco di ruolo, un gioco da tavolo o un casinò.
Non voglio parlare dell’ultima parte della frase precedente perché sono sempre contrario, in tutto e per tutto, al gioco d’azzardo, ma voglio parlarvi del dado nel gioco di ruolo. Per quanto riguarda i giochi da tavolo ho sempre pensato che una variante di casualità legata ad un tiro di dado riduca il tutto ad una mera questione di fortuna o assenza di questa e troppe volte ho visto amicizie distrutte a Risiko! per un tiro di dado.
La mia esperienza di gioco legata ai dadi
Quando all’inizio degli anni ’80 e col proseguire negli anni ’90 il dado è stato il fulcro della vita dei giocatori. C’era poco spazio per l’interpretazione e il gioco si riduceva, ma attenzione non si banalizzava, al tiro del dado. La diplomazia, il raggirare, l’intimidire non erano che semplici abilità a cui assegnare un valore e coadiuvare con il far rotolare quel mezzo per raggiungere un fine, il superamento di una prova.
Tuttavia ricordo, quando cominciai a giocare, male oserei dire, perché facevo scelte stupide, ma provavo a cercare soluzioni alternative al semplice tirare. Il sistema di gioco con il quale le mie e le avventure dei miei compagni erano giocate, di certo non aiutava l’interpretazione. Avete presente il GIRSA? Ecco non era proprio tutta questa festa a 11 anni. Ogni tre passi dovevi tirare un dado
Le cose cambiarono successivamente. Conobbi la 3.0 e la mia massima aspirazione fu far rotolare più dadi possibile mentre lanciavo la palla di fuoco con il mio mago di 7° livello. Certo perché mica potevamo cominciare dal livello 1° e provare a crescere e capire quello che stavamo facendo. L’esperienza risultò traumatica e per fortuna si arenò dopo poche sessioni. A quei tempi non si sottoscrivevano dichiarazioni di intenti e dei ragazzi delle superiori non volevano trovarsi tutti i sabati pomeriggio a far rotolare dadini, ecco dovevamo anche giocare a Magic: the Gathering. Cosa pensavate? Che davvero uscissimo con altre persone? Eravamo degli sfigati a quei tempi.
Vampiri aiutò fortemente questo cambiamento e gli schieramenti si divisero. Chi voleva fare giochi narrativi si dirigeva verso Vampiri, mentre chi voleva tirare i dadi andava a fare D&D, non che a Vampiri se ne tirassero pochi eh, non confondetevi.
Vi chiederete perché tutti questi preamboli vero? Beh quando “smisi” (#NonGiocate) di giocare vidi che l’importanza concettuale del dado mutava col passare del tempo.
Il dado e l’età dei giocatori
Col passare del tempo, ho avuto modo di osservare, durante le fiere, che più l’età dei giocatori avanza più questi sono interessati a tirare una secchiata di dadi piuttosto che interpretare, ma attenzione, non tutti non facciamo di tutta l’erba un fascio.
Certo, mi rendo conto che in due ore si devono spiegare le meccaniche di un gioco e non far perdere tempo ad interpretare, ma un minimo proviamoci. Ho anche capito che certe tematiche non devono MAI essere toccate in one-shot e fiere, perché non sai mai chi hai accanto.
Ho sentito gente lamentarsi che nella one-shot ci sia troppo rail-roading, che si tirino troppi dadi, o troppo pochi. Nessuno è mai davvero contento al cento per cento di quello che succede nelle one-shot, e chi dice il contrario mente a se stesso. C’è sempre qualcosa che non va bene al giocatore.
Il giocatore giovane invece è un’altra esperienza invece. I giocatori giovani cercano vie alternative all’uso del dado, vuoi perché non conoscono sempre bene le regole, o perché hanno più fantasia di noi. Forse è quello il punto.
La fantasia!
Che sia quella la causa per cui il mezzo è diventato il fine ad una certa età?
Uno pensiero filosofico sul dado
Il filosofo e sociologo Umberto Galimberti ora, e Karl Marx prima, avevano già spiegato, nel loro pensiero, come il mezzo fosse diventato lo scopo e lo scopo diventa il mezzo.
Dunque la domanda sorge spontanea: quale sarà il destino del dado per noi giocatori?
Molti giochi hanno provato a dare una risposta. Pensiamo a Vampiri nella sua nuova incarnazione: abbiamo, da regolamento, dadi di interpretazione che ci spingono a creare gioco (i dadi fame), o il sistema Genesys impiegato dalla Fantasy Flight Games per i suoi giochi, come ad esempio “la Leggenda dei Cinque Anelli“.
Hanno provato sì a dare una risposta, ma noi cosa ne pensiamo? Nei prossimi giorni speriamo di potervi portare delle testimonianze di alcuni game designer, influencer, fondatori di case editrici e community manager del panorama ludico italiano che possano condividere con noi il loro pensiero, ma prima di tutto vorremmo sapere: voi cosa ne pensate?