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Cabinet Of Curiosities – Differenze tra serial e antologia

Debutta su Netflix l’ultima fatica di Guillermo del Toro: Cabinet of Curiosities. Si tratta di una serie antologia horror che si basa, e trae spunto, dalla tradizione Gotica e del Grand Guignol. Otto storie a cura di otto registi e sceneggiatori diversi che raccontano con toni e voci personali l’orrore nelle sue forme più disparate. 

Il format antologia deve la sua fortuna agli anni ‘50 in cui fiorisce e prospera. Con il tempo questa fama diminuisce e ad oggi sono rare le opere che rientrano sotto questa dicitura, soprattutto per una questione economica. 

Un produttore che si vede presentare un progetto antologico non sempre è propenso ad accettare. In questo caso Netflix si fa forte del nome di del Toro e della folta schiera di fan che si porta dietro. È brutto parlare sempre di soldi, ma la televisione è business e come tale il rientro deve essere maggiore alle uscite, altrimenti il gioco non vale più la candela… ed è così che si perdono prodotti anche se validi. 

Per sua natura l’antologia è composta da storie separate tra di loro, unite solo dal genere che hanno in comune. Questo vuol dire pagare registi, scrittori, sceneggiatori e altre figure di volta in volta. Per non parlare di come il cast, sempre diverso, influisca sul budget. A cambiare è anche la location, con costi aggiuntivi ragguardevoli.  

Un serial è diverso. Il team di scrittura resta lo stesso per tutta la durata del progetto, a meno che non succedano tragedie inenarrabili, e gli episodi sono collegati tra di loro dai personaggi e dal setting. Un risparmio su tutta la linea.

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Cabinet of Curiosities Gullielmo

Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities

Otto episodi tratti da mostri classici del genere, tra cui Lovecraft e lo stesso del Toro. 

La parte più interessante è probabilmente l’introduzione ai diversi episodi, tenuta dallo stesso del Toro che espone i fatti che lo spettatore andrà a vedere e introduce i diversi registi. Il problema è che a volte, come nel caso del terzo episodio (The Autopsy) vengono date troppe informazioni che rendono superflua la visione.

… Siamo soli nell’universo? Registrata su un dispositivo moderno, tra sangue e morte, la risposta è un “No” decisamente terrificante. 

Prodotto degnissimo, soprattutto dal punto di vista della composizione scenica e della regia, sempre puntuale nell’offrire allo spettatore una visione ampia e dettagliata della storia che si racconta, non apporta però niente di nuovo al genere. 

Anche le storie narrate a volte risentono delle tempistiche dettate dalla piattaforma. Si nota un ritmo che procede a singhiozzi. Troppo spesso si tende a concludere la storia negli ultimi dieci minuti. Una scelta azzardata che diviene controproducente.  

Non aiuta la decisione presa di mostrare allo spettatore la creatura che di volta in volta rappresenta l’entità stessa del male e del pericolo. È uno dei limiti del genere horror ed anche una delle problematiche che rendono difficile per il regista mantenere la tensione nel corso di tutta l’opera.
Una volta che la creatura viene inquadrata non è mai spaventosa come la mente dello spettatore ha immaginato e questo spezza la tensione emotiva ed il coinvolgimento.
Mentre la cosa funziona sulle pagine di un racconto, basti pensare a Lovecraft ed esempio, non è facile ricreare lo stesso effetto sullo schermo.    

Nei diversi episodi lo spettatore vede facce note di attori che più di una volta si sono cimentati con il genere horror nelle sue diverse forme. Impossibile non notare Sebastian Roché (Supernatural) nel primo episodio, nel ruolo dell’esperto di occulto che è la summa tra Aleister Crowley e l’italiano Gustavo Rol. 

La forza di questo progetto sta nel raccontare l’orrore quotidiano, quello che tutti possono vivere e provare sulla propria pelle. 

Che sia questo l’orrore della guerra e delle sue conseguenze, il dramma dei veterani che vengono abbandonati a loro stessi, o ancora il declino della società dove non ci si fanno scrupoli nel saccheggiare le tombe, violandole e violando la dignità di chi in esse riposa. Oppure l’orrore del perdere il proprio figlio e non riuscire a parlarne con il compagno o la compagna, così da rischiare di perdere anche loro e ritrovarsi completamente soli e nell’impossibilità di dare voce alle proprie sofferenze. 

Lo spettatore più attento, ed amante del genere, può facilmente notare in Cabinet of Curiosities diversi omaggi a film, serie e racconti che hanno fatto la storia dell’horror, ma a volte queste citazioni risultano pesanti, come se si volesse puntare l’attenzione su come gli autori conoscano la materia meglio dello spettatore che è chiamato solo a guardare ed imparare. Si esclude così quella fascia di appassionati ed esperti che non ha bisogno di essere presa per mano e condotta dove vuole il regista.

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Giudizio positivo o negativo? 

Le decisioni prese portano ad uno scontento sia da parte degli intenditori, sia da parte di chi si approccia al genere per la prima volta. Gli episodi si dividono in due categorie: quelli veramente ben fatti e quelli che lasciano a desiderare. Sia critica che pubblico sono abbastanza concordi con indicare una parità tra le due parti. 4 episodi da guardare e godere, e 4 che lasciano il tempo che trovano. 

In definitiva, come abbiamo già detto, un prodotto degno, ma che può anche essere lasciato in background quando si fa altro. Senza infamia e senza lode, ci aspettavamo di più da un mostro sacro come del Toro!

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