Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli è un film molto complesso. Uscito dalla sala la settimana scorsa ho provato un misto di sensazioni; ero contento di essere tornato al cinema dopo la pandemia, ero un po’ meno contento di aver visto un film simile. Sebbene si tratti di un lungometraggio tecnicamente massiccio, Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli ha troppi punti deboli. Non riesce nello sfondare l’attenzione dello spettatore rispetto a Endgame.
La recensione è ricca di spoiler, pertanto non andate oltre se non avete ancora visionato Shang-Chi. Per amore di struttura narrerò la storia di Shang-Chi senza l’utilizzo dei flashback.
La trama sotterranea
Millenni fa, un enorme mostro stava per distruggere l’universo. Questo essere, chiamato Divoratore di Anime, venne fermato dai valorosi guerrieri di Ta Lo, un luogo mistico al di lù del mondo terreno, con l’aiuto del Grande Protettore, un drago orientale. Il Divoratore di Anime venne quindi segregato e contenuto, ma non eliminato. Ciclicamente la sua influenza riesce ad oltrepassare la sua prigione e spingere uomini di grande potere a liberarlo.
L’uomo di grande potere è Wenwu (Tony Leung), il detentore dei dieci anelli; un artefatto mistico proveniente da un luogo sconosciuto capace di infondere forza e resistenza al portatore. Grazie a questi Wenwu è diventato l’uomo più potente della terra. Spinto dall’ingordigia, si mette quindi alla ricerca di Ta Lo ma giunto alle porte del villaggio viene fermato da Jiang Li (Fala Chen) di cui si invagisce e per la quale abbandona le mire di potere e crea una famiglia.
Purtroppo, però, il potere detenuto da Wenwu attira comunque persone spiacevoli alla sua casa, che non si fanno scrupoli e uccidono l’amata davanti agli occhi dei due figli. Il lutto sconvolge Wenwu che torna ad essere quello di prima: un uomo gretto, potente e crudele. Addestra il figlio maggiore, Shang-Chi, a divenire un assassino, mentre la sorella apprende di nascosto le nozioni insegnate al fratello.Shang-Chi, subito l’allenamento, si tira però indietro, abbandonando la vecchia vita e fuggendo negli U.S.A, cambiando identità.
La trama del film
Shaun (come si fa chiamare ora) viene però raggiunto, dopo diversi anni, dagli sgherri di suo padre. Apprende quindi che anche la sorella è fuggita; cerca quindi di mettersi sulle sue tracce per avvertirla dell’imminente pericolo con l’amica Katy (Awkwafina). La sorella Xialing (Meng’er Zhang), divenuta una regina del crimine, decide però di ignorare le avvisaglie di pericolo; la trappola di Wenwu scatta e i tre vengono catturati.
Wenwu è accecato dal desiderio di riabbracciare la moglie, con il Divoratore di Anime che lavora dietro le quinte per portarlo a liberarlo. I due figli comprendono che c’è qualcosa che non va, fuggono dalle grinfie del padre e raggiungono Ta Lo, dove apprendono quale è il reale pericolo e si preparano a fermare Wenwu. Quando i due schieramenti si affrontano la battaglia è brutale, ed è proprio durante questa che Wenwu viene sconfitto, passa i dieci anelli a Shang-Chi che riesce a sconfiggere il Divoratore di Anime e diviene quindi il portatore dell’artefatto.
Lati tecnici
Ovviamente se c’è una cosa che abbonda nelle casse della Marvel sono i denari; ed i denari (ovviamente) pagano gli effetti migliori, i tecnici più bravi e gli sforzi più eccessivi. Shang-Chi è un film che a livello tecnico è assolutamente incredibile; CGI potentissima, assieme ad una regia sicura e piacevole, rendono ogni scena fenomenale (soprattutto se paragonata ai primi film del MCU, si possono notare passi in avanti incredibili).
Destin Daniel Cretton (Short Term 12, Il Castello di Vetro, Il Diritto di Opporsi) ha sempre girato film molto profondi, con protagonisti drammatici e tematiche molto importanti. Shang-Chi è anche questo, sebbene tutto sia patinato e lasciato quasi non detto probabilmente a causa del target Marvel. Non si tratta di un film (da questo punto di vista) coraggioso come Suicide Squad, anzi: è un film molto bloccato, senza spargimenti di sangue (ci sono giusto una o due scene pericolose) ma per il resto tipicamente Marvelliano
Il timido tentativo di narrare una barriera culturale che si infrange
Personalmente, però, non mi basta una CGI potente per farmi godere un film. Shang-Chi è un lungometraggio dotato di buoni punti di forza e tanti punti deboli, a partire proprio dalla barriera culturale tra i due mondo narrati nel film. Si poteva essere coraggiosi, cercare di rappresentare meglio la differenza e il tentativo di unificazione di due culture differenti, invece si ha giusto un cenno di questa con la presenza dei doppi nomi dei protagonisti (Shang-Chi che decide di chiamarsi Shaun, Wenwu che è chiamato Il Mandarino).
Oltretutto il mondo di Ta Lo ha un ubicazione specifica, sebbene si tratti di un piano trasversale al mondo reale; non si tratta di mescolare, quindi, differenti culture (come accade con il Santuario di Londra di Doctor Strange) bensì di un luogo che grida in maniera abbastanza deciso di appartenere ad una cultura sola. Non so se questo sia un limite od un privilegio (in casi contrari si potrebbe parlare di appropriazione culturale?) ma personalmente avrei preferito una visione dell’Oriente distaccata da quella del periodo dei Tre Regni.
SI tratta di un Flashback continuo
Altro punto debole della pellicola è la struttura; ho volutamente scritto la trama, qua sopra, tralasciando i flashback per una ragione; il lungometraggio ne è pieno, ogni quindici, venti minuti veniamo catapultati indietro e avanti per ricevere informazioni, dettagli, pareri e cambi di visione. Questo non solo smorza molto il climax delle scene, rende proprio faticoso seguire il tutto.
In sostanza, il film è per buona parte della sua durata una miniera di informazioni riguardanti la storia (mai coperta, in effetti) dell’oriente nel MCU. Apprendiamo che ci sono i dieci anelli, che esiste Ta Lo, che esisteva un pericolo enorme; poi apprendiamo dell’organizzazione, delle bische clandestine e di come queste siano legate tra loro. Ovviamente in tutte queste informazioni manca un legame col passato e con lo schiocco di Thanos (appena accennato) ma visto il caso, non me ne lamento.