Abbiamo intervistato Aurelio Castro ed Erika Mineo dell’Università di Padova sulla loro ricerca: ci sono correlazioni tra GdR, psicologia e atteggiamenti?
Negli ultimi anni, il gioco di ruolo ha acquisito una notorietà senza pari nella sua storia. Oggigiorno, la popolazione dei giocatori e delle giocatrici di ruolo è aumentata notevolmente, così come si sono moltiplicati gli eventi e i progetti che divulgano i giochi di ruolo.
Abbiamo visto i GdR portati negli ospedali per ridare un sorriso ai bambini malati, così come abbiamo letto di giochi di ruolo creati da professionisti per affrontare traumi psicologici. I giochi di ruolo hanno veicolato raccolte fondi di beneficenza e sono stati usati a scuola per insegnare l’inglese.
Certamente, esistono notevoli eccezioni in cui la stampa, specialmente quella nostrana (vi ricordate l’articolo di Libero sui LARP? Ne abbiamo parlato qui!), ha allegramente sparato a zero sui giochi di ruolo. Tuttavia, per fortuna queste uscite infelici sono ormai più un’eccezione che la regola.
Infatti, persino il mondo universitario sta volgendo lo sguardo su noi giocatori di ruolo, specialmente nel settore della psicologia. Lo abbiamo visto recentemente con la ricerca condotto da Aurelio Castro e da Erika Mineo. Erika Rosa Mineo è Dottoressa in Psicologia Cognitiva Applicata, mentre Aurelio Castro è dottorando in Scienze Sociali.
Da notare che Aurelio, insieme a me, Roberto Lazzaroni e Claudia Pandolfi ha scritto la ricerca su Gioco di Ruolo e Discriminazione, di cui abbiamo parlato qui e scaricabile qui.
Vediamo meglio di cosa si tratta, intervistando anche i due ricercatori!
La ricerca: Gioco di ruolo e atteggiamenti in Italia
La ricerca in questione (compilabile qui!) si intitola Gioco di ruolo e atteggiamenti in Italia ed è stata ideata da Aurelio Castro ed Erika Mineo, affiliati all’Università di Padova.
Il questionario è rivolto sia a coloro che non hanno mai giocato di ruolo, sia a coloro che hanno giocato di ruolo, a patto che rientrino in una fascia d’età che va dai 18 ai 35 anni. Lo studio è basato sulle risposte ad un questionario online, nel quale vengono poste diverse tipologie di domande. Alcune di queste domande sono relative ai GdR, alle persone con cui li si gioca e al coinvolgimento nel gioco di ruolo. Altre domande, invece, sono relative ad altri aspetti della vita quotidiana della persona, comprendendo i suoi atteggiamenti nei confronti di varie tematiche politiche o culturali.
Questa ricerca ha una durata di circa 20 minuti e, ovviamente, tutti i dati personali in essa raccolti saranno anonimi e utilizzati solo ai fini della ricerca. Inoltre, partecipando al sondaggio sarà possibile vincere un buono da 25€ di Amazon inserendo, a fine questionario, un recapito.
Apparentemente, il ventaglio di domande della ricerca mette insieme argomenti che, secondo alcuni dei commentatori, c’entrano molto poco con i giochi di ruolo. Tuttavia, Aurelio ed Erika non sono degli sprovveduti e sanno cosa stanno facendo. Per comprendere meglio la loro ricerca e i motivi che li hanno spinti a condurla, abbiamo intervistato per voi questi due ricercatori!
Che scopo ha questa ricerca?
Aurelio
Senza fare spoiler a chi vuole darci una mano con lo studio, la ricerca si prefigge di esplorare due componenti fondamentali del giocare di ruolo:
a) Comprendere il rapporto di chi gioca con il gioco di ruolo stesso ed immedesimarsi con un personaggio;
b) Il relazionarsi con altre persone che giocano o che potrebbero iniziare a giocare.
Concretamente ci interessa capire se e in che modo l’esperienza del giocare di ruolo ha un impatto su questi processi psicologici. Per farlo stiamo provando a confrontare sia chi gioca di ruolo, abitualmente o meno, che chi non ha mai giocato a un Gioco di Ruolo.
Secondo noi il GdR ha delle potenzialità e tramite questo studio correlazionale stiamo esplorando come alcuni aspetti legati al gioco di ruolo si colleghino con diverse variabili sociali generalmente indagate in psicologia. Ovviamente chi partecipa, dandoci un grande aiuto, alla ricerca troverà gli obiettivi in forme estesa a fine questionario.
Sicuramente siamo consapevoli, in quanto roleplayer sufficientemente esperti, che ci sono tanti processi psicologici in gioco quando si interpreta un personaggio al tavolo. Per ragioni di tempo e fondi non abbiamo potuto sviluppare uno studio per indagare a 360° gradi l’esperienza del giocare di ruolo, sempre che sia possibile.
Erika
Ci teniamo anche a ricordare che la nostra ricerca è aperta anche a persone che non hanno mai giocato di ruolo. Infatti, vogliamo indagare eventuali differenze tra chi, tramite il GdR, si abitua ad immedesimarsi in un personaggio e chi non usa il GdR.
Con questo non vogliamo dare il messaggio, assolutamente errato, che chi gioca sia automaticamente “migliore” dei non giocatori. Semplicemente, forse la pratica del giocare di ruolo e dell’immedesimarsi può contribuire all’identità personale e alle relazioni con gli altri. Il “come” lo scopriremo.
Perché il gioco di ruolo può interessare al mondo accademico?
Aurelio
Riteniamo possa esserci un interesse reciproco tra questi due mondi, ci sono già stati rilevanti contributi sulle esperienze di gioco. Molte persone che fanno ricerca hanno sperimentato e incontrato le potenzialità del gioco di ruolo come strumento di sviluppo personale, educativo e formativo, di rilassamento, per formare i gruppi e anche come strumento terapeutico per singole persone e/o gruppi sociali.
Noi personalmente ci ritroviamo in una intersezione tra questi due mondi e cerchiamo di contribuire facendo ricerca anche in quanto persone che giocano di ruolo.
Erika
Per farvi alcuni esempi, il gioco di ruolo può essere uno strumento importante anche in ambito educativo.
Infatti, aiuta ad affrontare temi importanti come l’educazione sessuale (Gilliam et al., 2016) o la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili. In una ricerca viene fatto interpretare un test per HIV e la comunicazione di sieropositività (Sechrist, 1997) per far vivere alle persone questo tipo di esperienze e riflettere sul processo medico.
In un altro studio di Sileo e Gooden (2006) usano, largamente, l’idea dell’interpretare il chiedere del sesso sicuro con un partner che si oppone all’uso del preservativo. Questa situazione di ruolo aiuta a sviluppare strategie di comunicazione e risoluzione dei conflitti oltre il facilitare pratiche di sesso sicuro.
Altre ricerche (Enfield, 2006; Rosselet & Stauffer, 2013) mostrano come il GdR potrebbe essere adoperato per sviluppare nuove competenze sociali e come strumento per la crescita personale. I giocatori, interagendo con gli altri e con ambientazioni diverse da quelle di ogni giorno, hanno la possibilità di porsi nuove domande su se stessi e maturare nuove prospettive sul mondo che li circonda.
Le potenzialità il GdR le ha tutte, ci sono ricerche internazionali a sostegno di queste potenzialità all’estero e stanno aumentando. Noi ci auguriamo che la nostra indagine esplorativa possa essere un buon punto di partenza e una spinta per altre ricerche in Italia sull’argomento.
Vi è capitato di fare qualche altra ricerca accademica sul mondo nerd?
Aurelio
Nei primi mesi del 2017 ho condotto una ricerca etnografica sui gruppi e le associazioni che condividono giochi da tavolo e di ruolo (definito come game sharing). Quella esperienza di un anno e mezzo è stata rilevante per entrare nel mondo nerd non solo da player, ma come studioso a tutti gli effetti.
L’idea di fondo era di indagare come si parli del tempo libero tra nerd e che benefici porti il condividere la passione, gli spazi e, soprattutto, i giochi con tante persone. Concretamente mi interessava capire come si crea una rete di gioco e cosa significa giocare. Tra le diverse cose venute fuori ho voluto rimarcare che giocare è una valida forma di tempo libero per persone di tutte le età e non un passatempo infantile. Un’attività ludica, ma seriosa, insomma.
Grazie alle persone che mi hanno sostenuto giocando con me, oltre che raccontandomi le loro esperienze, la ricerca è piaciuta e queste riflessioni saranno pubblicate a breve su Archivi Antropologici del Mediterraneo.
Perché alcune domande sembravano totalmente non correlate al GdR e in realtà che motivazione hanno?
Aurelio
Le persone che hanno partecipato allo studio si sono spesso stupite della varietà di domande messe nella ricerca. Abbiamo voluto esplorare tante tematiche in un colpo, solo che è molto difficile se proponi un questionario di 20-25 minuti.
Nella ricerca non c’è nulla di preoccupante o che voglia esprimere giudizi (soprattutto negativi!) sul giocare di ruolo, perché è un’attività dalle potenzialità positive. Noi non facciamo ricerca per giudicare ciò che pensano le persone, ma per comprendere i significati delle loro azioni e come si interagisce con la società.
Riteniamo che il GdR sia connesso a tanti processi psicologici e comportamenti sociali. Quindi, ambiziosamente stiamo cercando di esplorarne il più possibile, e se saranno legati al giocare di ruolo lo scopriremo nelle analisi. Per sapere se due variabili (ad es. numero di sessioni GdR giocate e la tendenza personale a ridurre conflitti) sono collegate tra loro abbiamo bisogno di far compilare diverse scale di misura e vedere, tramite le analisi, come interagiscono. Magari, più si gioca e più migliorano le capacità di mediazione nelle relazioni.
Cercare di comprendere cosa “accade” quando ci si immedesima con il proprio PG non è facile. Per questo motivo stiamo esplorando diverse modalità di gioco e cosa voglia dire “relazionarsi con altri giocatori e giocatrici”.
Che step successivi ci saranno in questa ricerca?
Aurelio
Sappiamo ancora molto poco sul mondo “psicologico” del GdR e di chi gioca di ruolo. Nonostante gli studi sul role playing aumentano anno dopo anno, c’è ancora molto da fare. Sarà importante creare diverse strade di ricerca e, concretamente, trovare dei fondi per fare ricerca su questi temi. Questo ci permette concretamente di chiarire se e come una variabile sociale influisce sul GdR.
Grazie a studi internazionali e ricerche nazionali sappiamo che il gioco di ruolo ha dei risvolti positivi sui rapporti interpersonali e sulla crescita personale di chi gioca. Vorremmo concentrarci sugli aspetti formativi del gioco di ruolo, magari fornendo dei buoni spunti di ricerca per altri psicologi e scienziati sociali che vogliano mettersi in gioco.
Non mancano, ogni tanto, degli studi su effetti negativi del gaming in generale che ci mettono in guardia dal tenere posizioni solo celebrative. Sicuramente ci guideranno i risultati dello studio per capire cosa può essere utile alla community GdR partendo dalle nostre competenze.
Un po’ di fonti bibliografiche
Qualora foste curiosi sugli studi che Aurelio ed Erika hanno citato, ecco una breve bibliografia!
- Enfield, G. (2007). Becoming the hero: The use of role-playing games in psychotherapy. Using superheroes in counseling and play therapy, 227-241.
- Fein, E. (2015), Making meaningful worlds: role-playing subcultures and the autism spectrum, Culture, Medicine, and Psychiatry, 39,2: 299-321.
- Gilliam, M., Jagoda, P., Heathcock, S., Orzalli, S., Saper, C., Dudley, J., & Wilson, C. (2016). LifeChanger: A pilot study of a game-based curriculum for sexuality education. Journal of pediatric and adolescent gynecology, 29(2), 148-153.
- Rosselet, J. G., & Stauffer, S. D. (2013). Using group role-playing games with gifted children and adolescents: A psychosocial intervention model. International Journal of Play Therapy, 22(4), 173.
- Sechrist W. (1996), Personalizing HIV infection: Moving students closer to believing…“this could actually happen to me!”, Journal of HIV/AIDS Prevention & Education for Adolescents & Children, 1, 1:105-107.
- Sileo T.W. & Gooden M.A. (2006), HIV/AIDS prevention education: Considerations for American Indian/Alaska native youth, Journal of HIV/AIDS prevention in children & youth, 6, 2:47-64.
Avvicinare il gioco di ruolo al mondo accademico: diamo il nostro contributo!
Il fatto che il mondo accademico sia interessato al gioco di ruolo è un fatto assolutamente positivo. Infatti, significa che il nostro passatempo preferito sta crescendo.
Si sta scoprendo che il gruppo di amichetti che gioca nel seminterrato (a proposito, avete letto la nostra recensione di Stranger Things?) si sta dedicando ad un passatempo positivo, che aiuta a sviluppare nuove competenze. È vero che viviamo in una società in cui pare che i soli passatempi permessi siano quelli che, in qualche modo, “producono” qualcosa. Quindi, il gioco di ruolo non dovrebbe essere legittimato solo perché scopertosi utile.
Tuttavia, questa sua utilità sociale può essere utilizzata nelle scuole, in progetti utili che coinvolgano gli studenti e li mettano, letteralmente, in gioco. Inoltre, può tranquillizzare tutti i genitori preoccupati per il fatto che i figli stiano perdendo tempo o stiano “ancora giocando con i soldatini”.
Quindi, aiutare Aurelio ed Erika in questa loro ricerca è importantissimo per noi giocatori e giocatrici di ruolo. È un’occasione per scoprire qualcosa di più sul nostro hobby e per aprire la strada ad una sua legittimazione al di fuori del mondo ludico.
Andate al link del loro questionario e compilatelo, che giochiate di ruolo o meno!