Oggi parliamo del capolavoro della From Software Elden Ring. Uscito lo scorso mese su tutte le piattaforme, il videogioco ha raggiunto traguardi mai visti: la media di 9 su 10 in gran parte delle redazioni di settore farebbero gridare al capolavoro. Con un traguardo tracciato alle porte di Leyndell, facciamo il punto della situazione.
Piano coi forconi. Quando si tratta di toccare certe comunità la tossicità è dietro l’angolo. L’abbiamo visto con Il Signore degli Anelli nella storia con le traduzioni di Alliata contro Principe. Anche le Space Marine femmine hanno la loro sana dose di tossicità. Oggi però parliamo di Elden Ring, del gioco di Sbeku: il rischio di cadere in fallo è dietro l’angolo. Ma il capolavoro della From Software è davvero un capolavoro?
ATTENZIONE
Questa recensione è una prima parte di una più ampia recensione: più nello specifico, è una recensione di circa 70 ore di gioco e altre 50 con due personaggi: un cavaliere errante buildato tutto su Forza ed un Confessore con una build Destrezza/Fede. La recensione riguarda le zone di Sepolcride, Liurnia (Maniero Cairano compreso) e Caelid (in parte Dracotumulo).
C’era una volta un Chosen Undead
L’Elden Ring più Dark Souls-esco di sempre comincia, come sempre, con la creazione del nostro silenzioso protagonista (che emette però lamenti quando soffre). Dopo avergli affidato una classe ed un oggetto del quale forse ignoriamo l’uso, veniamo alle prese con il primo boss: un grosso affare con tante braccia quanta voglia di picchiarci. Non importa se verremo picchiati oppure ce la caveremo: il nostro destino, come nella vita vera, è soffrire ed è soffrendo che arriveremo in fondo a questa storia.
Elden Ring appare, in tutto e per tutto, come un Dark Souls. Non mi basta avere una mappa gigantesca (è davvero enorme) ed avere il cavallo per farmi cambiare idea. Elden Ring è Dark Souls. Lo capisco dai primi due colpi di spada e dalle caratteristiche pozze di sangue davanti ad un “prova buco ma dita“. Ed è proprio questo quello che più mi piace: la tranquillità della monotonia, il sapere di avere tra le mani la solita Claymore con spazzate laterali e roll con calante. Elden Ring, nella sua struttura di base, mi risulta già visto. Gli incantesimi azzurri, i vasi fiammanti, i miracoli gialli. Tutte cose che mi tranquillizzano, mi sussurrano “ehi, sei a casa”.
Sepolcride: il tutorial del tutorial del super sayan turorial
Ovviamente la Sentinella dell’Albero Madre attira la mia attenzione: mi picchia furiosamente e fin da subito mi appare come imbattibile. Qui mi viene in soccorso l’alabarda, gentile concessione del cavaliere errante: la sua portata mi aiuta ad eliminarla al 17° livello (sudato). Col confessore dovrò aspettare di essere al 25 per prendermi le sue rune/anime. Il levelling è lo stesso di Dark Souls, motivo per il quale so dove mettere i primi punti: alla build centellinata penserò più tardi: sicuramente ci sarà una Rosaria.
Mentre con il guerriero mi dirigo verso Forte Tempesta, con il confessore vado a Sud, all’isola del Pianto. E, mentre in Dark Souls non c’era scappatoia da un boss troppo forte, in Elden Ring ti puoi permettere di saltare intere zone, tenerle per dopo. Questo mi piace, ma immagino sia la necessaria conseguenza di avere un mondo open world. Margit mi picchia forte, mi ci blocco. Il danno è insostenibile a meno di non essere estremamente bravi, e molti attacchi sembrano essere ritardati apposta per farmi cadere in fallo con le capriole. O forse sono solo arrugginito.
A Sud le cose vanno meglio ma il confessore continua ad essere molto fragile e di miracoli grossi non se ne vedono. Mi metto in pari e, al 30, batto Margit con entrambi. Non è facile e come primo “boss serio” capisco che Elden Ring non è da prendere sottogamba. Il livello di difficoltà mi sembra più alto rispetto agli altri Souls, più punitivo nei danni e verso i nuovi arrivati. Godrick, poco dopo, è quasi più semplice (come impatto) del suo predecessore. Al 45 lo porto a casa, e la lore mi si apre addosso.
Liurnia: il bello dell’acqua e degli incantesimi
Avevo già avuto modo di visitare Caelid e avevo capito, dalle barre che si riempivano di status alterati, che quel posto l’avrei odiato. Arrivato a Liurnia e sapendo di avere da affrontare maghi e stregoni mi sono preparato a vedere le cose strambe; Dark Souls mi ha insegnato che quando si parla di magia si parla di cristalli, uomini di pietra e cose che se schivi va bene, se non schivi sei fatto.
Procedendo passo passo cerco la chiave in una palude che mi appare enorme: la sensazione di perdermi qualcosa è sempre presente (e sì, mi sono perso l’orrore sul fondo del Castello Grantempesta). L’accademia non è un problema: gli spazi angusti si prestano bene alla Claymore e ai roll da panico quando incontri giganteschi vasi turbinanti.
Il Lupo di Radagon è rognoso: scappa quando voglio colpirlo e fa troppo male quando mi colpisce. Per il resto si fa senza problemi. Il secondo “main boss”, Rennala, mi dà sensazioni da Falso Idolo fin da subito. Mi preparo ad affrontare cose strane, distruttivi incantesimi e smaterializzazioni e in effetti ci prendo. A salvarmi è la bassa stabilità, che mi consente di vincere al secondo tentativo. Passato l’impatto iniziale Elden Ring mi sta sembrando semplice…quasi troppo semplice.
Caelid: quando lavare col fuoco non è abbastanza
Entro a Caelid bello come la primavera e i dannati cani giganti mi confondono. I corvi giganti mi confondono. Gli avatar di Albero Madre mi confondono. Millicent la lascio nella palude per troppo tempo e la batto solo per fortuna. Tutto mi fa gridare alla palude di DS3, alla città infame, ad Astarea. E questa zona mi fa schifo come non mai.
Avanzo lentamente a suon di miracoli e preghiere fino ad incontrare il primo doppio boss del gioco (di una certa rilevanza). Mi picchiano tante volte, ma riesco a fare la progenie leonina. Il cavaliere del crogiolo è una roll dance bellissima con la claymore: roll roll roll della coda e attacco. ripetere tutto e si fa no damage.
Radahn è gigante. In confronto a Rennala è inscalfibile. Mi serve l’aiuto di varie evocazioni e anche dopo tre tentativi sono in affanno. Poi con il confessore uso il fiato marcescente e lo elimino in modo semplice e veloce. Chi l’avrebbe mai detto che la mia peggior nemica sarebbe divenuta la mia migliore alleata. Dracotumulo è sofferenza.
Cosa mi è piaciuto per ora?
La lore. Non riesco a starci dietro anche se sembra che te la tirino addosso; ad ogni cenere, evocazione o luogo c’è qualcosa da annotare, scoprire, collegare. Martin ha fatto un bel lavoro e per ora, pur rimanendo fisso sui punti saldi di DS, mi sembra che Elden Ring sia piacevole. Il fuoco purifica, la magia aliena, i morti nascono dalle radici del mondo e così via. Tutto mi sembra così ricollegato a Dark Souls che mi sento a casa.
La mappa. Enorme, vasta, grida “esplorami” ad ogni frame. Ed è bella da esplorare, vedere cosa ci sarà in quel punto dove sembrano esserci rovine, torri, alberi. Davvero un bel lavoro, sia sul mondo di sopra che nel mondo di sotto. Il fatto di ricercarne i pezzi, dissolvendo quindi la nebbia e avere sempre qualcosa di nuovo da fare è intrattenimento puro.
Cosa mi ha lasciato un po’ meno felice
La scelta di tornare ai vecchi moveset e alle vecchie armi. Se da un lato avevo la sicurezza, confortante, di conoscere l’arma che imbracciavo, dall’altra capivo che certe armi non facevano per me. Il martello lento e quindi troppo facile da schivare in pvp, gli incantesimi, gli archi. In un paio di moveset ho capito che Dark Souls era tornato e con questo tutte le build mono stocco/frusta/spadone gigante con parry incorporato.
Questo l’unico difetto, per ora, che ho trovato in un gioco che, a 120 ore, mi sembra ancora appena scalfito. Un gioco vasto, gigantesco, colossale. Uno Yhorm da affrontare senza Storm Ruler a renderti lo scontro più accessibile.