Mi è capitato recentemente di parlare dell’AP MirkWood, che ho recensito qui, con un gruppo di amici. La discussione volgeva sull’effettiva utilità degli Adventure Module e sulla quantità di lavoro che effettivamente andavano a togliere al narratore. Ovviamente finimmo con il parlare di D&D (il gioco meno famoso dell’universo) e, trattando le varie uscite, qualcuno mi consigliò Descent Into Avernus. “È fighissimo” “Dovresti provarlo, criticone che non sei altro!” “È come la maionese, perfetto ovunque“.
Scettico, acquistai DiA (Descent Into Avernus) in versione foil e, grazie ad Amazon Prime (o al lavoro di chi viene sfruttato là dentro?) il giorno seguente ero già intento a sfogliarlo. Per leggersi si leggeva bene e mi chiesi se si sarebbe mantenuto bello anche nella pratica.
È proprio per questa ragione che consiglio a chiunque si appresti a seguire questa recensione a trattare l’AM con le pinze perché, a causa delle tempistiche, mi è stato davvero impossibile giocarlo. Si tratta, quindi, di una recensione a freddo, senza i consueti bilanciamenti in corso d’opera che caratterizzano molti, moltissimi prodotti di D&D 5E. La recensione sarà ricca di spoiler!
Una panoramica generale sull’utilizzo degli AM
Gli AM (Adventure Module) sono quei manuali che escono a cadenza annuale (per quanto riguarda D&D 5E) che modificano la trama delle ambientazioni ufficiali e dettano legge riguardo tutte le avventure, i moduli e le aggiunte riguardanti la DM Guild. DiA parla, appunto, dell’Averno, il primo strato dei Nove Inferi di Baator, pertanto prepariamoci a fare il pieno di diavoli nei prossimi mesi.
DiA è uno dei pochissimi moduli che tratta dell’Averno nella storia di Dungeons&Dragons. Gli autori e la Wizard, in effetti, sono sempre stati piuttosto timorosi nel parlare degli inferi. I primi, ed ultimi, tentativi arrivano direttamente dalla seconda edizione con Planescape, Fires of Dis, A Paladin in Hell e For Duty & Deity, tutte tra il ’95 e il ’98. Palliativi arrivano anche durante la terza edizione, con i Fiendish Codex II ed alcuni Dragon Magazine, il #75 e #76. La 4a edizione se ne lava le mani inserendo il tutto nel DMG, ma applicando una fondamentale differenziazione. La quinta sembrava proseguire lungo la stessa direzione prima di DiA.
Perché è così difficile parlare di piani oltre quello materiale? A causa di una delle lavate di mani più celebre della storia dei giochi di ruolo, ovviamente. L’Averno è difatti infinito (non nella 4E, che in quanto a lore spaccava) e non ha tangibili confini né spaziali né temporali. Oltre a questa sua inconsistenza, l’inferno è teatro del male, e solitamente è il luogo all’interno del quale gli eroi soggiornano pochi giorni, non una vita intera. Perché, si sa, gli eroi sono buoni, non cattivi.
È difficile quindi pensare ad un AM che tratti dell’Averno a causa di queste problematiche; sarebbe complesso parlarne in modo generale (impedendo difatti la creazione di un manuale che aiuti il sandbox) ed è quasi obbligatorio inserirvi un binario. Avernus decide di non osare come SKT e si stabilisce in una via di mezzo che non sa di pesce né carne.
Ancora non mi è chiaro il motivo per il quale abbiano dovuto fare il retcon da quarta a quinta in quanto la quarta a background ed eventi spaccava di brutto sul serio, mentre la quinta è una pallida imitazione venuta male della terza. Ogni volta che ci ripenso mi viene lo sbocco.
Io, prima di rendermi conto che ho praticamente tutti i manuali di quinta e quelli di quarta li ho schifati perché mi facevano schifo le meccaniche.
Inferno Fuori
L’avventura comincia con uno degli agganci più tristi della storia degli agganci tristi, inserendosi nella classifica degli inizi in taverna e quelli in manette (si RoD, sto parlando di te). Il capitano delle guardie costringe gli avventurieri ad andare in locanda e a parlare con una spia. Le motivazioni sono flebili e raccolte a casaccio, ma il susseguirsi di eventi che porterà i giocatori nelle viscere dell’Averno sono piacevoli (anche se, esattamente come era accaduto in DH, pericolosi oltre ogni bilanciamento).
L’avventura continua quindi con un velocissimo viaggio verso Candlekeep e, immediatamente dopo, ad Elturel, dove si svolge il secondo capitolo della campagna. La struttura di Elturel è complessa; da un certo punto di vista aiuta i personaggi ad entrare negli inferi (moralmente parlando) dall’altra lascia tanto, tantissimo vuoto, da riempire quanto basta dal narratore. Un po’ come dire “ok, stiamo finendo i binari, preparatevi al giro libero“.
Alcuni incontri sono terribilmente difficili e fuori bilanciamento, alcune prove sono quanto di più simile ad un Save or Die io abbia mai trovato su un manuale di quinta, ma per il resto è ben strutturato e lascia spazio a rapide aggiunte.
Massì dai, carina questa Elturel tutta distrutta ed in fiamme, scossa da terremoti frequenti e piena di diavoli. Tutti questi scontri mi sembrano complessi, però…
Io, prima di leggere i possibili danni da caduta con conseguente morte da Elturel e accorgermi che i personaggi non hanno alcun modo di fuggire dall’Averno.
Inferno dentro…
Il terzo capitolo di DiA è il suo nucleo e campo giochi; qui sono descritti la manciata di luoghi, incontri, eventi e png che caratterizzeranno il nostro viaggio nel primo piano degli Inferi. Questo capitolo è il “lascio di redini” della Wizard, un enorme campo di prova delle qualità del narratore. Sarà lui a doversi, proprio come in RoT, rimboccare le maniche e creare la propria campagna.
Il pregio di questa infinità di contenuti sono le descrizioni: accurate, con un tono in linea con l’intera campagna e mai banali, anche se alcune sono parecchio sacrificate. Il difetto risiede nell’impossibilità di crearvi un contorno: molto spesso i personaggi si trovano ad affrontare scontri senza possibilità di fuga o approccio. Lo scontro “comincia” esattamente come in un videogioco, senza alcuna dinamicità a renderlo fruibile in un secondo momento.
La parentesi Mad Max
DiA ha ricevuto alcune pesanti critiche (e lodi) anche grazie al sistema di Macchine Infernali al suo interno. Le macchine infernali sono una nuova meccanica (come quella inserita in Saltmarsh) che consente ai giocatori di pilotare una bestia meccanica feroce e malvagia. Proprio come in Mad Max, l’Averno è popolato da signori della guerra con il proprio mezzo e crew, pronti a dare battaglia agli eroi e l’un l’altro, in uno scontro continuo.
Le regole, per quanto danno a vedere, sembrano ben costruite e non intralciano il normale scorrimento del gioco; hanno un sistema unico per il carburante (decisamente interessante) e si prestano bene a modifiche e adattamenti.
Le distanze nell’Averno sono relative: per raggiungere un luogo potrebbero volerci giorni attraverso una via e settimane attraverso un’altra. Tutto è relativo.
“All’Averno piace cambiare”. Sempre io, dopo aver letto le distanze percorribili e le alimentazioni delle macchine infernali, e chiedermi il perché di questa descrizione.
…e molto più in profondità.
Con il quarto capitolo si ritorna in un discreto binario, entrando in un labirinto aperto dalle molteplici stanze, una “trama” di fondo ed un obiettivo ben stabilito. Il livello di sfida alza un po’ l’asticella senza troppi colpi di testa ed il capitolo rimane piacevole dall’inizio alla fine. I gruppi più numerosi potrebbero aver bisogno di un po’ di aggiunte, anzi, a causa dei GS che sballano completamente dopo l’ottavo livello.
I (molteplici) finali di DiA sono quanto di più epico, commovente, leggibile e ben strutturato si possa chiedere a D&D. Purtroppo gli errori si pagano, ed un pessimo incipit condito con un terribile avanzamento su binari sono difficili da sovrascrivere.
Un ritorno alla Terza, o forse no?
Le ultime cinquanta pagine (circa) di DiA sono dedicate a Baldur’s Gate, città nella quale si svolge il primo capitolo della campagna. La città era già stata affrontata in SCAG ma, vista la qualità infame di quel dannato manuale, i creatori hanno ben deciso di chiedere perdono. In teoria è tutto ben costruito e piacevole, ma (lo ammetto) mi manca la quantità spropositata di informazioni che avevamo in terza; la linea editoriale di ora, basata su manuali e informazioni sparse, mi fa torcere le viscere.
Infine, eccoci giunti alle regole per i patti diabolici e le macchine infernali. I primi sono decisamente più fuffosi rispetto ai secondi, dando una buona interpretazione per ogni tipologia di patto (senza limitarsi a quelli infernali, con un po’ di reskin). Le macchine infernali, invece, sono uno spettacolo. Piacevoli, complesse quanto basta, altamente modificabili e davvero ben fatte.
Il mio punto di vista
Che ci troviamo di fronte all’ennesimo miglioramento da parte della Wizard è indubbio; lontani sono i giorni nei quali la Wizard ci lasciava da soli al gestire le nostre campagne (e si, sto parlando ancora di te, Rise of Tiamat) ma il vizio al lupo è rimasto. Gli AM rimangono quelli di sempre; eccellenti nel railroad, spaventosamente vaghi nel sandbox, addirittura poco informativi nel trattare di ciò che trattano. Ed è forse questa vaghezza a demolire le aspettative, soprattutto se si inquadra l’intera campagna all’interno dei Forgotten Realms.
Il mio consiglio rimane comunque quello di acquistarlo (potete trovarlo qua e qui i dadi), se non per il voler andare all’avventura negli Inferi, per poter assaggiare un po’ di spunti interessanti. Rimango comunque allibito dall’incapacità della Wizard di creare avventure per i suoi stessi prodotti, in quanto devo ancora vedere un’AM che tratti i livelli sopra il 15. Forse nemmeno loro sanno come fare al gestire un gruppo simile?
Vedrò se questa mia domanda troverà risposta con il prossimo AM. Per ora mi godo questo caldo clima infernale di fine Ottobre, tra musica metal e ammirami gridati al megafono.